FALCONI, Bernardo
Non si conosce la data di nascita dello scultore; alcuni documenti (cfr. Lienhard-Riva, 1945, p. 147) attestano che era originario di Rovio (Canton Ticino) e figlio di Domenico. Le notizie sull'artista si estendono in un arco di tempo che va dal 1657 al 1696. La prima data coincide con la realizzazione a Venezia delle cinque statue (S. Teodoro e quattro Angeli, 21 marzo 1657-20 febbr. 1658) sulla sommità della facciata della Scuola grande di S. Teodoro. Tale commissione può ipotizzarsi collegata a rapporti con due suoi conterranei, gli architetti Antonio e Giuseppe Sardi, al primo dei quali spetta il progetto della facciata stessa.
Il fatto che il Temanza (1738) parli di una presunta origine romana del F., in mancanza di notizie relative alla sua formazione artistica, suggerisce l'ipotesi di un soggiorno romano che potrebbe spiegare il gusto classicizzante delle cinque statue di S. Teodoro. affine a quello delle opere contemporanee di G. Le Court, e alcune suggestioni algardiane affioranti nelle sculture degli anni Sessanta. Il gusto classicizzante si ritrova, infatti, nel S. Sebastiano (firmato) della cappella Venier della chiesa degli Scalzi di un contenuto patetismo rilevabile anche, unito a modi più sciolti ed eleganti, nell'algardiana Speranza (firmata "B.F.F.") dell'altare di S. Antonio dei Frari (1663 c.). A quest'ultima si affiancano, per stretta consonanza stilistica, la Carità dello stesso altare e la Madonna col Bambino dell'altar maggiore dei Ss. Giovanni e Paolo.
Tra il 1660 e il 1664, anni di intensa attività che precedono il primo soggiorno piemontese, il F. allargò i suoi rapporti di lavoro dal cantiere dei Sardi a quelli longheniani. A S. Pietro di Castello operò in stretto contatto con il Le Court, scolpendo (1662-63) tre Angioletti reggenti l'urna del beato Lorenzo Giustiniani nella parte posteriore dell'altar maggiore in pendant con i tre della parte anteriore, spettanti invece al fiammingo.
Il F. si sforzò evidentemente di seguirne lo stile, ma gli esiti sono impacciati nella modellazione dei corpi e spenti nell'articolazione espressiva dei volti.
Più sciolto nel tema dei putti si era invece rivelato nella realizzazione bronzea di quelli reggimensa, di qualche anno anteriori (1660), per l'altar maggiore di S. Giovanni Evangelista a Parma, la prima testimonianza nota di un'attività di bronzista, per cui il F. godette di grande fama ma di cui oggi poco è dato conoscere.
Gli scarti qualitativi appaiono del resto un dato abbastanza costante nel linguaggio del F., che si lascia talora andare a una resa meno sorvegliata come nel Santo e nella Santa domenicani (1659-1661) dell'altar maggiore della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo: una trascuratezza che in occasione dei lavori per quest'ultimo altare divenne addirittura oggetto di una causa tra i committenti, i padri del convento veneziano, e lo scultore.
Il 24 apr. 1664 il F. si impegnò ad eseguire cinque statue per il fastigio della facciata della chiesa di S. Salvatore, che gli furono pagate il 27 maggio 1664 e il 28 maggio 1665. Si tratta del Redentore e dei Quattro evangelisti; il Redentore fu sostituito nel 1698 dall'omonima statua eseguita da Alvise Tagliapietra che restaurò anche gli Evangelisti (Archivio di Stato di Venezia, Convento S. Salvatore, b. 30, t. 61, c. 17).
Nel corso del 1664 l'artista aveva anche iniziato la sua attività torinese, che in questa prima fase si alternò a quella veneziana. Il 6 dicembre vennero pagate le spese del suo viaggio da Venezia a Torino, dove la sua opera era stata inizialmente richiesta quale scultore in bronzo. Altri pagamenti sono registrati il 17 genn. 1665 e successivamente durante lo stesso anno. Il 1° ott. 1665 Carlo Emanuele II assunse al suo servizio il F., di cui veniva lodata la "... particolar virtù che possede nella scultura de' bronzi e marmi ..." (Schede Vesme, 1966, p. 449).
Se è ipotizzabile che a Venezia lo scultore si fosse inserito grazie al rapporto con i Sardi, in Piemonte il suo operato si affiancò significativamente a quello di altri maestri ticinesi attivi per la corte con alcuni dei quali lavorò tra l'altro nel castello di Venaria Reale e in quello di Rivoli. La maturazione stilistica del linguaggio del F. nei primi anni torinesi ben si coglie nei due busti in marmo, firmati, conservati nel castello di Rivoli, di Carlo Emanuele II e Maria Giovanna Battista di Nemours, nelle sembianze, rispettivamente, di Apollo e Diana (da identificare con le due statue, destinate alla "sua camera" del palazzo reale e ricordate come di Adone e di Venere nei pagamenti corrisposti al F. nel 1669 (cfr. Schede Vesme, 1966, p. 449).
Infatti in esse si raffina e si evolve in senso aulico quella vena classicistica di matrice algardiana presente nelle sue migliori opere veneziane. Al tempo stesso l'acquisita "venezianità" si palesa nel delicato pittoricismo che ammorbidisce il modellato esente da irrigidimenti di sapore accademico.
A giudicare dalle tracce fornite dai documenti noti (cfr. Schede Vesme, 1966, p. 450), negli anni tra il 1673 e il 1675, di nuovo il F. lasciò per qualche tempo Torino. Il 17 febb. 1673 si trovava a Bissone, dove è ricordato abitante nel 1677 e nel 1678 (una sua casa è ivi documentata già in data 24 nov. 1676). Nel 1676 era presente a Genova e presumibilmente intorno a tale anno era attivo con alcuni collaboratori a Finale Ligure. Nel 1678 risulta anche domiciliato a Padova quando il Senato veneziano il 10 agosto approvò l'accordo (del 25 giugno precedente) stretto con i procuratori de supra per il gruppo in rame sbalzato dei due Atlanti reggenti il globo e la Fortuna sopra quest'ultimo della Dogana da Mar (Arch. di Stato di Venezia, Senato. Terra, filza 975, alla data).
In un arco di tempo che va dalla fine degli anni Settanta al 1688, anno in cui figura di nuovo in Piemonte, si colloca l'ultima attività veneta del Falconi. Il momento più importante è rappresentato dai lavori di Padova, dove si inserì nell'équipe di scultori impegnati nella decorazione degli imponenti altari barocchi della basilica di S. Giustina. Lavorò per quelli di S. Giuliano (statue firmate di S. Matteo e S. Andrea, 1680 ca.), del beato Arnaldo (commissione del 1681, statue del Beato e gruppo sottostante di tre Puttini), di S. Urio (statua di S. Urio e quelle firmate di S. Taddeo e due Angeli, uno dei quali datato 1682) e di S. Massimo (statua di S. Bartolomeo, firmata e datata 1682).
Spiccano i santi Taddeo, Matteo (è molto simile allo stesso santo, semplificato nella resa formale, realizzato per la chiesa di S. Maria delle Grazie di Este) e Andrea, che riflettono le migliori doti dell'artista; il persistente gusto classicistico, ulteriormente maturato in ambiente torinese, riesce a conferire accenti di pacata solennità alla monumentalità, pur sempre enfatica, delle ampie forme. Nel S. Bartolomeo un crudo naturalismo si combina con la tensione espressionistica della maschera di pelle che pende dal suo braccio assimilando l'immagine ai ricorrenti scheletri cari ad una tematica barocca alla quale anche il F. dà così il suo originale contributo. Una variante più spenta dello stesso santo padovano appare il S. Bartolomeo, firmato, di S. Maria delle Grazie di Este.
A partire dal 1688 fino al 1689 di nuovo il F. è documentato a Torino, dove operò per la corte, dedicandosi a quel tipo di lavoro, in pietra, in stucco e in bronzo, che già nel precedente soggiorno gli aveva procurato fama (Schede Vesme, 1966, pp. 450 s.). Nel 1692 dovette essere attivo anche per una cappella del Sacro Monte d'Orta. Il 29 luglio 1693 venne incaricato di terminare (in collaborazione con Siro Zanella) il Colosso di S. Carlo di Arona (Farina, 1976, p. 66 n. 3). L'ultima notizia riguarda una sua presenza in patria dove è ricordato il 24 genn. 1696 insieme al fratello Carlo.
Fonti e Bibl.: G. Martinioni, in F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare..., Venetia 1663, pp. 391 s., Sesto Catalogo, p. 24; T. Temanza, Zibaldon [1738], a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, p. 47; Arte ed artisti luganesi, in Boll. stor. della Svizzera italiana, XXI (1899), pp. 119 ss.; L. Brentani, Antichi maestri d'arte e di scuola delle terre ticinesi. Notizie e documenti, V, Lugano 1944, pp. 307-310; A. Lienhard -Riva, Armoriale ticinese, Bellinzona 1945, pp. 146 s.; N. Ivanoff, Monsù Giusto ed altri collaboratori del Longhena, in Arte veneta, II (1948), pp. 115, 117; L. Mallé, in Mostra del barocco piemontese, II, Torino 1963, pp. 34 s., tavv. 17b, 19ab; Id., Museo civico di Torino. Le sculture del Museo d'arte antica. Catalogo, Torino 1965, pp. 223 s.; Schede Vesme, II, Torino 1966, pp. 448-451; C. Semenzato La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, ad Indicem (con bibliografia precedente); A. Griseri, Le metamorfosi del barocco, Torino 1967, pp. 175 s.; A. Sartori, Regesto di S. Giustina, in La basilica di S. Giustina. Arte e storia, Padova 1970, p. 458; L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte. Dal secolo XVII al secolo XIX, Torino [s.d. ma 1973], pp. 31 s.; P. Farina, "Un altissimo monte a un monte sopra". Il S. Carlone di Arona, in Psicon, III (1976), 7, pp. 66, 67 n. 3; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, a cura di C. Fillarini, Padova 1976, p. 96; G. Melzi d'Eril, Sacro Monte d'Orta, in Isola San Giulio e Sacro Monte d'Orta, acura di G.A. Dell'Acqua, Torino 1977, pp. 212, 222; C. Palumbo Fossati, Presenza ticinese a Venezia (catal.), Lugano 1977, p. 16; P. Ceschi Lavagetto, L'altare maggiore, in L'abbazia benedettina S. Giovanni Evangelista a Parma, a cura di B. Adorni, Parma 1979, p. 198; L. Testi, Cronologia dei lavori nella chiesa, ibid., p. 243; C. Semenzato, in I benedettini a Padova..., Treviso 1980, pp. 425, 427, 429 s.; C. Palumbo Fossati, Gli architetti del Seicento Antonio e Giuseppe Sardi e il loro ambiente, in Boll. stor. della Svizzera italiana, XCVII (1985), 4, p. 171; XCVIII (1986), 1-2, pp. 15, 32 s.; G. M. Pilo, La chiesa dello "Spedaletto" in Venezia, Venezia [s.d. ma 1988], pp. 39 n. 135, 149; P. Rossi, Francesco Cavrioli: i due angeli reggenti le reliquie dell'altar maggiore della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, in Venezia Arti, 1988, 2, p. 213; Catalogo dei beni artistici e storici, V. Sgarbi. Rovigo. Le chiese, Venezia 1988, pp. 123 ss., 128 ss., 182; G. Dardanello, in Diana trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento (catal.), a cura di M. Di Macco - G. Romano, Torino 1989, pp. 28 s., 38 s.; P. Rossi, I "marmi loquaci" del monumento Pesaro ai Frari in Venezia Arti, 1990, 4, p. 84; Id., Due aggiunte al catalogo delle opere veneziane di B. F., in Per Giuseppe Mazzario (Quaderni di Venezia Arti, 1), Roma 1992, pp. 220 ss.; Id., B. F. collaboratore del Longhena negli altari dei Ss. Giovanni e Paolo e di S. Pietro di Castello, in Studi in onore di E. Bassi, Venezia in corso di stampa; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon..., XI, pp. 217 s., (s.v. Falcone).