BERNARDO da Perugia
Nato a Perugia verso la metà del sec. XII, dopo aver fatto la professione monastica nell'abbazia di Santa Maria del Farneto in Val di Chiana, si era recato a Bologna per frequentare quello Studio; colà aveva continuato a dimorare per molti anni, forse per insegnare, o forse più semplicemente per approfondire la sua cultura. Possedeva molti libri preziosi, ed egli stesso fu autore di due opere, di cui conosciamo solo l'argomento. In un momento non ben precisato della sua vita si recò, probabilmente al seguito di qualche prelato, alla corte di Ungheria. Entrato nelle grazie del re Bela II (1173-1196), si vide affidare l'educazione dell'erede al trono Emerico.
Quando Emerico successe al padre (3 apr. 1196), B. continuò a mantenere i suoi rapporti con la corte ungherese, partecipando ad alcune legazioni pontificie in Ungheria come persona gradita al re ed esperta di cose magiare. Appunto in tale veste egli accompagnò il cardinale Gregorio Crescenzio nella sua seconda missione in Ungheria; ritornando da questa missione, il cardinale e il suo seguito si arrestarono a Spalato, allora dominio dei sovrani ungheresi, e la cui sede episcopale era da tempo vacante. Qui B., come ricorda Tommaso Arcidiacono, l'antico storico della Chiesa spalatina, seppe guadagnarsi le simpatie del clero e del popolo, onde gli Spalatini, "sperando di poter avere da lui, che era amico del re, molti favori per la loro chiesa e per la loro città, lo elessero arcivescovo".
In realtà, la venuta di B. a Spalato non fu un fatto casuale, così come l'elezione non deve essere considerata soltanto come un episodio di cronaca cittadina. Essa va vista invece nel più ampio quadro della lotta in corso tra Emerico e suo fratello Andrea, duca di Croazia, il quale, non tollerando interferenze nei territori da lui amministrati, aveva di fatto sottratto al dominio regio la Croazia e la Dalmazia, e vi esercitava una incontrollata signoria. Giunto al culmine della sua potenza, Andrea aveva potuto imporre nel 1198 due prelati a lui favorevoli nelle diocesi di Zara e Zagabria, e aveva cercato di fare altrettanto a Spalato. Ma quest'ultimo disegno era fallito per l'opposizione degli stessi Spalatini: in tal modo al re si era offerta l'occasione propizia per fare accettare, nella primavera del 1200, la candidatura del suo fidato Berriardo. è lecito supporre che questa iniziativa di Emerico fosse appoggiata da papa Innocenzo III, desideroso che in Ungheria si consolidasse il potere regio e insieme preoccupato per il fatto che in Dalmazia si moltiplicavano i vescovi eletti per intervento dell'autorità laica e si accentuava la penetrazione dell'eresia catara, fenomeni certamente connessi con il protrarsi dei disordini politici.
All'inizio del suo episcopato B. svolse una intensa attività suggeritagli dalle direttive papali e in armonia con gli interessi del suo re. Appena insediato, riferì al pontefice sui disordini che si verificavano in talune diocesi dalmate, e da lui più tardi ebbe l'incarico di rendere pubblica la scomunica lanciata contro l'arcivescovo di Zara, Nicola, e due altri vescovi della provincia spalatina. Contemporaneamente iniziò la lotta contro i catari che a Spalato erano capeggiati da due fratelli, di origine italiana, ma cittadini di Zara, Matteo e Aristodio, ambedue pittori e cesellatori di vaglia, i quali, avvantaggiati dalla loro conoscenza delle lingue latina e slava, stavano esercitando una larga opera di proselitismo. Come si conveniva a un uomo di elevata cultura, B. dapprima cercò di indurli ad abiurare con i dotti discorsi e le eloquenti esortazioni. Riuscita vana l'opera di persuasione, li scomunicò, confiscò i loro beni e li fece espellere dalla città con tutti i loro seguaci; fu però pronto a riammetterli, insieme coi loro discepoli, nel seno della Chiesa cattolica e nel possesso dei beni appena diedero segno di ravvedimento. Nel corso di questi eventi maturò probabilmente quel trattato contro gli eretici che l'Arcidiacono gli attribuisce. Il pontefice, cui era giunta l'eco di questo iniziale successo, volle che l'arcivescovo di Spalato affiancasse il cappellano papale Giovanni de Casemaris inviato in Bosnia nell'autunno del 1202 per perseguire l'eresia in quello che era il suo centro di diffusione. B. però, a quanto sembra, non si mosse dalla sua sede, forse per non lasciare la Dalmazia proprio mentre Zara veniva espugnata dai Veneziani e dall'esercito crociato. Impotente ad intervenire in difesa degli assediati, attese che la flotta veneta riprendesse il suo viaggio verso il Levante per organizzare la riscossa nell'intento di ricuperare al suo re l'importante città adriatica. Attingendo al tesoro regio custodito dai Templari di Vrana, assoldò dieci galere di Gaeta che aiutarono i fuorusciti a rientrare a Zara dopo aver sbaragliato il presidio postovi dai Veneziani. Questi, per ritorsione, distrussero la villa che l'arcivescovo aveva fatto costruire su di un'isoletta nei pressi di Spalato. Nel frattempo, la nascita dell'erede al trono di Ungheria aveva riacceso i contrasti tra Emerico e Andrea e diviso il regno in due parti avverse.
è probabilmente da attribuire a questo periodo una lettera indirizzata dal re agli Spalatini per compiacersi del loro atteggiamento di lealtà e per esortarli a restare sottomessi all'arcivescovo che lo rappresentava ed era - diceva - "uno dei maggiori principi del regno".
Dopo la vittoria riportata sul fratello, Emerico chiamò a sé il fedele arcivescovo e volle che fosse lui ad imporre la corona sul capo del figlioletto Ladislao III (26 ag. 1204). Ma nel volgere di pochi mesi la morte colse prima Emerico, poi Ladislao (7 maggio 1205), e Andrea poté salire al trono. Sembrò allora che le fortune di B., il quale non aveva voluto presenziare all'incoronazione del nuovo sovrano, dovessero vacillare per il contraccolpo di questi avvenimenti. Ma la sua posizione a Spalato e in Dalmazia era quanto mai solida, e d'altra parte Andrea era più propenso a guadagnarsi nuovi amici che a far vendette, e lo dimostrò nel 1207 con un ampio riconoscimento di tutti i diritti e possessi della Chiesa spalatina. Da allora B., forte del suo prestigio e favorito dal fatto di vivere in una città che in quegli anni era prospera e pacifica, poté reggere la sua Chiesa senza soverchie difficoltà e volgersi ad opere che dessero splendore al suo episcopato.
Nel 1210 fece eseguire un prezioso reliquiario e consacrò un nuovo altare per il martire salonitano s. Anastasio; nel 1214 commise a Andrea Buvina le porte della cattedrale che oggi sono considerate uno dei massimi capolavori della scultura romanica in Dalmazia. Anche l'architettura fiorì a Spalato nello stesso periodo, né furono trascurate le lettere, poiché è certo che durante l'episcopato di B. fu attiva una scuola di grammatica' per l'istruzione dei chierici.
Negli ultimi anni della sua vita B. fu colpito da una paralisi che lo rese quasi del tutto muto, ma volle recarsi ugualmente a Roma per presenziare al IV concilio lateranense indetto da papa Innocenzo. Al ritorno convocò il clero e i fedeli per fare una relazione sul concilio, ma non riuscendo quasi ad articolar parola dovette farsi sostituire dal vescovo di Traù, il fedele Treguano, che gli era stato compagno fin dai tempi delle missioni in Ungheria e che ora lo confortava della sua. assistenza. B. si spense nella tarda estate dei 1217, mentre Spalato ospitava il re Andrea che si apprestava a partire per la crociata.
Fonti e Bibl.: T. Smiciklas, Codex diplomaticus Regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae, II, Zagabriae 1904, pp. 348, 350, 362, 389, 391; III, ibid. 1905, pp. 5, 13, 18, 34, 54, 56, 63, 67, 70, 90, 96 s., 112, 126 s., 130, 145; Thomas Archidiaconus, Historia Salonitana, a c. di F. Racki, in Mon. spectantia historiam Slavorum Merid., Scriptores, III, Zagabriae 1894, pp. 78-90; D. Farlati, Illyricum Sacrum, III, Venetiis 176 s, coll. 229-245; H. Zimmermann, Die päpsdiche Legation in der Hälfte des XII. Jahrh., Paderborn 1913; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll. 748 s.