CORNAZZANO, Bernardo da
Nacque tra il 1160 ed il 1170 ed appartenne alla potente famiglia vassallatica della Chiesa di Parma, destinata a guidare le sorti di numerosi Comuni italiani attraverso l'esercizio dell'attività podestarìle, svolta da alcuni suoi membri.
Le origini della famiglia sono state studiate in modo incompleto dal Pochettino, il quale propose la derivazione dei Cornazzano di Parma (che non devono essere confusi con l'omonima famiglia di Piacenza) da un ramo cadetto dei Bernardingi, sia perché furono di legge salica e tennero vasti patrimoni allodiali e feudali nel Parmense, sia perché numerosi nomi della dinastia bernardingia sono ripetuti nell'ambito del gruppo parentale dei Cornazzano. Tali giustificazioni non provano in modo certo la derivazione proposta dal Pochettino e poi accettata dal Bascapè e dalla Dragoni. Successivamente il Formentini (1948) ha ritenuto che i da Cornazzano possano aver origine da un ramo della casata Obertenga, giacché i membri delle due famiglie appaiono citati l'uno accanto all'altro con frequenza in atti di natura privata. Recentemente però lo Schumann ha sollevato numerosi dubbi su tale ipotesi e non ha assolutamente inserito i da Cornazzano nella genealogia obertenga. È pertanto necessario riproporre il problema delle origini della famiglia.
Il primo documento in cui è fatta menzione di un da Cornazzano è il placito tenuto a Parma il 21 nov. 1046 dal messo di re Enrico III, Teutemario. Dal documento sappiamo che la famiglia aveva avuto in beneficio dal vescovo di Parma, Cadalo, il castello di Pizzo, il grande bosco di Gazzo ed i beni immobili della parte massarizia dello stesso territorio, immobili appartenenti ai canonici di S. Maria di Parma. Queste terre furono al centro di una lunga vertenza che durò sino al termine dell'XI secolo, ma i da Cornazzano continuarono a mantenere il possesso degli immobili, che garantiva ad essi la dignità di vassalli episcopali. Nel 1051 Oddone (II) da Cornazzano dichiarò anche di essere vassallo del duca e marchese di Toscana, Bonifacio: ed alla famiglia dei Canossa il gruppo parentale dei Cornazzano rimase legato almeno sino alla morte della contessa Matilde.
Si può pertanto ritenere che questa casata non appartenne né al gruppo comitale dei Bernardingi, né alla famiglia marchionale degli Obertenghi, sia perché i suoi membri non sono mai indicati nelle pergamene con il titolo di "comites" o di "marchiones", sia perché non esistono sicure attestazioni per tali discendenze. I da Cornazzano risultano invece legati, anche se di legge salica, con i grandi proprietari terrieri longobardi e con la feudalità dei Canossa e del vescovo di Parma. Alla fine dell'XI secolo un figlio di Gandolfo da Cornazzano, Lanfranco, divenne canonico di S. Maria di Parma e probabilmente favorì l'avvicinamento dei membri della sua famiglia all'ente ecclesiastico. Infatti Oddone III da Cornazzano, il 3 ag. 1136, dichiarò con un suo iudicatum che se fosse morto senza figli maschi avrebbe donato la metà delle sue proprietà allodiali, poste nella contea di Parma, alle chiese di S. Giovanni e di S. Maria della stessa città. Dalla donazione Oddone III eccettuava alcuni beni che egli stesso aveva ceduto in feudo o in livello ad alcuni suoi vassalli: egli risulta pertanto senior di una clientela di milites minores, direttamente da lui dipendenti. I beni in questione sembra fossero posti in Sissa, lungo il tratto terminale del corso del Taro, vicino alla corte di Palasone, al castello di San Secondo ed al castello di Pizzo. Le proprietà dei Cornazzano erano ancora poste, dunque, nelle località di cui si è detto per l'XI secolo.
I rapporti con la canonica di Parma divennero invece molto tesi nella seconda metà del XII secolo, quando i canonici organizzarono una forma di signoria territoriale sul luogo di San Secondo e sui contermini territori di Palasone, Sissa e Pizzo, antiche terre beneficiali dei Cornazzano. L'espansione del capitolo di S. Maria costrinse numerosi membri della famiglia ad alienare i loro possessi, posti in quelle zone della pianura parmense, ma ciò non significò la completa rottura tra l'ente ecclesiastico ed i da Cornazzano. Infatti nell'ultimo ventennio del XII secolo i rapporti con la Chiesa maggiore di Parma erano divenuti più numerosi e complessi, sino a subordinare totalmente la famiglia nel rapporto vassallatico con l'ente ecclesiastico. Tuttavia nello stesso periodo i da Cornazzano, denominati già nel 1116 "cives parmenses", si inserivano nelle strutture del mondo comunale, di cui sarebbero divenuti protagonisti nel corso del XIII secolo. Già nel 1179 Giacomo era stato rettore della Società dei militi di Parma, una potente associazione politica che salvaguardava gli interessi del ceto vassallatico all'interno del Comune; questa presenza è indice sicuro dell'orientamento della famiglia verso la gestione dei problemi politici di Parma e dell'Italia centro settentrionale, attraverso la importante carriera podestarile che alcuni dei Cornazzano seguiranno durante la prima metà del Duecento.
La nuova professione, che univa la tradizionale esperienza militare di questi milites, vassalli dei Canossa e della Chiesa, con la conoscenza e lo studio del diritto, fu inaugurata dal C., la cui carriera politica fu certamente molto lunga. Podestà di Parma nel 1192, egli è anche indicato con il termine "de Medesano", castello e borgo sulla strada "francisca" dove il Taro sfocia in pianura, centro di un gruppo di possessi della famiglia. Dopo questa data il nome del C. ritorna negli atti politici solo nel 1213, quando partecipò come testimone, con Nicola, vescovo di Reggio, ed i podestà di Parma e di Modena, alla pace sottoscritta tra il marchese d'Este, Aldrovandino, e Salinguerra, capo dei ghibellini nella città di Ferrara. Tre anni più tardi (1216) era podestà di Reggio, ove fece costruire la torre del palazzo comunale: durante la sua podestaria (agosto), i reggiani, alleati con Bologna, si recarono all'assedio di Rimini e dopo la firma della pace tra Rimini e Bologna (1° settembre) riportarono a Ceseria ben 1.007 prigionieri, liberati dalle carceri riminesi.
L'anno centrale della attività politica del C. fu il 1218, quando ricoperse la carica di Podestà della importantissima città di Cremona: durante questa permanenza politica egli ebbe modo di distinguersi come capo militare e come abile diplomatico, tanto da rappresentare uno dei punti di forza per l'attività politica del giovane Federico II in Lombardia. In questa regione la lega dei Comuni padani, che faceva capo a Milano e che annoverava le città di Piacenza, Lodi, Pavia, Como, Vercelli, Novara ed Alessandria, si opponeva da tempo alla coalizione formata da Cremona e Parma. I contrasti di interessi tra le due alleanze erano giustificati con l'adesione della lega milanese al partito di Ottone IV e dall'altra alla causa di Innocenzo III e di Federico II. La morte di Innocenzo III nel 1216, la successiva rappacificazione di Milano con la Chiesa e infine la morte di Ottone IV, avvenuta il 19 maggio 1218, non posero fine alla lotta tra i Comuni lombardi. Proprio nel maggio 1218 la lega milanese aprì le ostilità. Lo scontro avvenne a Gibello, nella pieve di Altavilla, tra Cremona e Parma (7 giugno) e l'esercito dei Milanesi fu seccamente sconfitto e volto in fuga, mentre numerosi prigionieri erano avviati verso la città di Cremona. Nel settembre dello stesso anno Federico II, desideroso, al pari della lega, di riportare la pace nella pianura padana, indirizzò al C. una lettera in cui chiedeva che la fedele ed amica città di Cremona gli inviasse ambasciatori per informarlo dei fatti avvenuti nei mesi precedenti e della posizione politica della città in ordine al problema della pace. Conosciuta la posizione cremonese, Federico II delegò a Giacomo da Carisio, vescovo di Torino e vicario reale, l'incombenza della trattativa con il C. e con la città di Cremona. Il 3 ott. 1218 il podestà informava il Consiglio Maggiore delle condizioni che Giacomo da Carisio proponeva, fra le quali era la clausola di accettazione delle proposte che avrebbe presentato il legato papale, cardinale Ugo di Ostia, mediatore ufficiale del compromesso tra le città lombarde. Sugli argomenti si era già espresso favorevolmente il Consiglio ristretto dei sapienti di Cremona e pertanto, vista la proposta avanzata dal C., anche il Consiglio di credenza diede il beneplacito. Lo stesso giorno il vescovo di Torino, presente a Cremona, fissava, d'accordo con il C. ed i sapienti del Consiglio, i vari punti della trattativa, che avrebbero dovuto essere esposti il 5 ottobre a Parma alle delegazioni dei nemici. Nella città di Parma il C., a nome del Comune di Cremona, sottoscrisse un compromesso di pace, che sarebbe stato inviato ad Ugo dei Conti di Segni, cardinale vescovo di Ostia, per l'approvazione definitiva. Il 30 ottobre il cardinale legato fu ospite del C. a Cremona e qui espose le clausole definitive della pace, che fu sottoscritta dai podestà di tutte le città padane interessate il 2 dic. a Lodi.
Le fonti in seguito tacciono sino al 1224, anno in cui il C. ricoperse la carica di podestà di Pavia, ma nulla sappiamo del suo operato. Il 10 marzo 1225 egli fu presente a Brescia, in qualità di "iudex" e di testimone, all'atto con cui Matteo da Correggio rinunciò alla podestaria del Comune della stessa città. Nel 1226 fu per la seconda volta podestà di Reggio e nell'anno successivo podestà di Modena, città in cui realizzò delle fortificazioni. In qualità di capo dell'esercito modenese cominciò la guerra contro Bologna per il possesso del Frignano.
L'ultima notizia a noi nota sul C. risale al 28 sett. 1229, giorno in cui Niccolò, vescovo di Reggio, fissò le condizioni per una tregua tra Bolognesi e Modenesi: il C. rappresentò in quella circostanza la città di Parma. Dopo questa data non si hanno più notizie del C., la cui eredità politico-diplomatica sarà raccolta dal consanguineo Manfredo.
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