CONTARINI, Bernardo
Nacque a Venezia il 13 ott. 1521 da Carlo di Panfilo, del ramo contariniano di S. Felice e da Ludovica di Lorenzo Barbo; il padre fu celebre avvocato, diplomatico e politico e morì a Brescia mentre era provveditore generale quando il C. aveva solo sette anni; quattro o cinque anni dopo la madre morì tragicamente, assassinata dal fratello. Un fratello, Giovanni Vittore, si fece frate domenicano, fu priore di S. Pietro Martire a Murano e poi vescovo di Capodistria; una sorella sposò, in prime nozze, Silvestro Gabriel e in seconde Pietro Giustinian.
Con la scomparsa dei genitorì il C. dovette venire a trovarsi in una situazione economica non molto florida, se si pensa che fu la stessa Ludovica Barbo a far inoltrare una supplica al Senato dopo la morte dei marito, per ottenere una provvigione con la quale mantenere la famiglia. Non conosciamo i primi anni della gioventù del C.; ritroviamo infatti il suo nome alcuni anni dopo, quando era entrato nella vita pubblica e muoveva i primi passi di una lunga e prestigiosa carriera politica e amministrativa; soltanto si potrebbe notare che l'intensificarsi della sua presenza nelle magistrature si verifica relativamente tardi, fino al moltiplicarsi di esse negli anni della sua intensissima vecchiaia; ciò potrebbe anche essersi verificato per non avere avuto agli inizi una struttura familiare ed economica in grado di sostenerlo.
Nel 1546 sposò Trevisana di Giovanni Boldù; ma bisogna arrivare al 1556 per trovare la prima menzione del C. in un ufficio pubblico: in quell'anno, infatti, fu provveditore in Dalmazia (dove però probabilmente era stato anche un decennio Prima); l'importanza della carica fa pensare che questa dovesse essere stata preceduta da altre magistrature.
Dalle lettere dalmate dei C. emerge un problema tipico dei domini veneziani d'Oltremare: quello dei rapporti con i vari signorotti turchi che premevano alle spalle di quei domini, personaggi turbolenti, pronti ad approfittare dell'occasione per pretendere tributi e con i quali Venezia aveva problemi confinari e di convivenza non meno frequenti di quanti non ne avesse con la Porta. Il C. si lamenta infatti di non aver denaro a sufficienza per poter preparare i regali da presentare a questi signori a scopo di amicizia; più oltre avverte che Busdogan Cadì deve venire ai confini e che la sua più grave preoccupazione è quella di far capire ai contadini la ragione della venuta dei Turchi, costringendoli a rimanere quieti.
Dopo questo periodo dalmata seguono altri anni di silenzio delle fonti sul C.; nel 1564 fu eletto provveditore sopra i Conti, ma non entrò nella carica, essendo già stato nominato conte e capitano di Sebenico. Ricoperse tale carica per due anni, finoall'ottobre 1566 ed evidentemente dovette aver acquisito esperienza e prestigio, e forse anche degli interessi, in cose dalmate, se nel dicembre 1567 fu di nuovo inviato in quelle zone come rettore e provveditore a Cattaro e se, alla scadenza dei suo rettorato, gli fu ordinato di rimanere lì alla custodia della città in vista della grave crisi veneto-turca, che avrà come punti di massimo scontro Lepanto e la guerra di Cipro.
Le preoccupazioni dei C. erano essenzialmente militari e strategiche: si preoccupava di trattenere gente esperta di guerra che voleva partire dalla città e di rinforzare le fortificazioni. Ad un certo momento venne a sapere del tradimento del praefectus militum Troiano Siculo, che aveva pensato di consegnare la città ai Turchi; sventato abilmente il complotto, il C. fece uccidere il Siculo e lo fece appendere per i piedi alla porta della città. Nel marzo 1571 al C. si affiancò come provveditore Zaccaria Salamon: il C. stava !nale, riteneva in quelle condizioni di essere inutile alla Signoria e chiese di poter rimpatriare per farsi visitare; ma venne ancora per qualche tempo trattenuto a Cattaro. La gravità della situazione ebbe il suo riflesso immediato sulle condizioni finanziarie della città e il C. e il Salamon si lamentarono di essere costretti ad anticipi di tasca propria per far fronte alle spese pubbliche.
Negli anni successivi al suo ritorno a Venezia il C. vide consolidarsi la sua posizione nell'ambito del patriziato veneziano: nell'ottobre 1576 rifiutò l'elezione a giudice della Curia dei procuratori, ma dal 1576 al 1579 lo troviamo membro del Senato e del Consiglio dei dieci. Erano gli anni in cui i Dieci con la zonta detenevano un notevole potere, ripartito fra un numero molto circoscritto di patrizi, tanto che di lì a poco la situazione sfocerà nella crisi che porterà ad un ridimensionamento delle competenze del Consiglio stesso. Nel 1579 il C. lasciò nuovamente Venezia per andare provveditore a Zante; al suo ritorno ricoprì nel 1582 la carica di tansadore alla Camera dei venticinque e quella di censore; dall'ottobre 1583 al settembre 1584 fu savio sopra la Giustizia nuova; nel 1584 fu nuovamente censore; nel 1586 ancora tansadore e in quell'anno lo ritroviamo nel Consiglio dei dieci, sicché sembrerebbe che la sua posizione politica non sia stata scossa dalla crisi della zonta. Dal maggio 1586 al marzo 1587 fu savio sopra la Giustizia nuova; subito dopo venne eletto provveditore sopra l'Armar; dall'ottobre 1587 all'ottobre 1588 fu provveditore sopra i Denari.
Gli ultimi anni della vita del C. furono particolarmente intensi, un succedersi di magistrature che continuerà fin oltre gli ottanta anni; e se è vero che i patrizi veneziani ricoprivano, con una continua rotazione, cariche a carattere diplomatico, militare, economico e così via, pure è dato cogliere, in parecchi casi, quasi una sorta di specializzazione, vale a dire la continuata elezione di alcuni di essi a magistrature ruotanti tutte attorno a determinati aspetti dell'amministrazione dello Stato. Questo è, sembrerebbe, il caso del C., il quale fu eletto assai di frequente in quegli anni a magistrature di carattere finanziario, quasi avesse conseguito una specifica competenza.
Dopo essere stato, infatti, provveditore sopra i Denari, nel 1588 il C. fu eletto depositario in Zecca, ufficio avente il compito di curare la cassa della Zecca e di vigilare sulla distinzione tra denaro pubblico e depositi privati; dall'agosto 1588 all'agosto 1590 fu provveditore al Collegio della milizia da mar; nello stesso 1590 fu eletto provveditore alla Giustizia vecchia; dall'aprile 1590 al marzo 1591 fu provveditore sopra l'Armar e tra il 1591 ed il 1592 fu per altre due volte depositario in Zecca. Nel settembre 1591 venne eletto savio alle Biave ed in quel volgere di anni, accanto ad alcuni incarichi minori, fu ancora intensamente impegnato in compiti attinenti al pubblico denaro: nel 1593 e nel 1594 fu due volte provveditore alla Cassa degli ori ed argenti; negli stessi anni fu governatore alle Entrate, con ampi poteri di esazione e di controllo in materia di entrate ed uscite. Nel marzo 1593 lo ritroviamo nei massimi organi politici della Repubblica, eletto consigliere per il sestiere di S. Marco, carica cui verrà eletto altre due volte, nel 1595 e nel 1602. Ormai il prestigio dell'uomo e dell'età erano indiscussi; il C. continuò la sua instancabile attività di governo e di amministrazione, nel 1596 come provveditore sopra le Artiglierie, nel 1598 addirittura lasciando Venezia per andare capitano a Raspo. Al suo ritorno, oltre alla terza elezione a consigliere, ebbe nel 1602 la nomina a procuratore di S. Marco, la carica più prestigiosa dopo quella dogale nell'ordinamento veneziano, in genere assegnata a coronamento dell'attività al servizio dello Stato dei Patrizi più illustri. Dal settembre 1602 al settembre 1603 fu ancora una volta provveditore sopra le Artiglierie.
Morì a Venezia il 19 maggio 1604: era il più vecchio della nobiltà.
Ebbe otto figli, sei maschi: Tommaso, che fu illustre senatore, capitano a Corfù e capo del Consiglio dei dieci; Giovanni, senatore, consigliere, consigliere dei Dieci; Angelo, Giulio, Carlo, Francesco e due femmine.
Fonti e Bibl.: Arch. diStato di Venezia, Avo garia di Comun, Nascite patrizi, reg. 51/I; Ibid., Libri d'oro e Balla d'oro, Schedari nascite e matri moni, ad vocem;Ibid., Segretario alle voci, Ele zioni del Maggior Consiglio, regg. 4, 5, 7, 8; Ibid., ibid., Elezioni del Senato, regg. 2, 5, 6, 7; Ibid., Capi Consiglio dei dieci. Lettere rettori, b. 275, ff. 136-138, 139-141, 143; b. 280, f. 56; b. 283, ff. 139-142; Ibid., M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, c. 493; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Ital., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappel lari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 308r; A. Morosini, Historia Veneta, II, Venezia 1719, p. 290.