CLES, Bernardo
Nato l'11 marzo 1485 a Cles (Trento) da Ildebrando, maresciallo di corte di Sigismondo del Tirolo e consigliere di corte presso il "gubernium" austriaco, e da Dorothea Fuchs von Fuchsberg, apparteneva a una famiglia di ministeriali trentini di cui si hanno notizie sin dal sec. XI. Aveva otto fratelli, tra i quali il diplomatico Baldassarre, e quattro sorelle. Dopo la morte del padre fu affidato alle cure di un pedagogo rozzo ("plagosus"), e all'età di dodici anni (1497) si trasferì a Verona per studiare retorica. Nel 1504 si immatricolò all'università di Bologna; nel 1506 è ricordato come sindaco, nel 1508 come procuratore della nazione germanica. Il 7 ag. 1509 ricevette gli ordini minori, il 14 e il 15 maggio 1511 difese le sue tesi come doctor utriusque iuris. Ancora nello stesso anno risulta in possesso di un canonicato nella cattedrale di Trento, che papa Giulio II gli confermò il 13 febbr. 1511.
Durante il suo soggiorno a Bologna il C. era entrato in contatto con due personaggi influenti: con Matteo Lang vescovo di Gurk e vicario imperiale in Italia, e con il cardinale Giovanni de' Medici, il quale nel 1512 gli procurò il titolo di protonotario apostolico. Dopo essere stato chiamato dal vescovo di Trento, Georg von Neydeck, a far parte della luogotenenza, l'imperatore Massimiliano I nel 1513 lo nominò membro del reggimento di Innsbruck. Nel marzo e nell'aprile 1514 fece parte di una commissione incaricata dal papa di visitare e di riformare il convento dei minoriti di Bolzano. Dopo la morte di Georg von Neydeck (5 giugno 1514), il capitolo del duomo di Trento elesse unanimemente vescovo il C., il quale però in un primo momento trascurò di chiedere la conferma pontificia. Scartata la candidatura di Matteo Lang, si oppose al C. il decano di Trento Iacopo Bannisio, il quale dichiarò illegittima l'elezione perché avvenuta in sua assenza. Ma la decisione del papa, in data del 25 sett. 1514, dette ragione al Cles. Con la concessione di vari benefici il C. poté ben presto ristabilire i buoni rapporti con il decano. Nei giorni dall'8 all'11 sett. 1515 egli fu ordinato prete e consacrato vescovo, rinnovò gli accordi conla contea del Tirolo ed inaugurò il primo sinodo, nel corso del quale annunciò una grande visita pastorale.
Governatore di Verona per conto di Massimiliano I sin dall'ottobre 1514, il C. divenne col tempo la persona che teneva i contatti tra l'imperatore, il reggimento di Innsbruck e Verona, nello stesso tempo entrò in stretti rapporti con Milano. Negli anni tra il 1515 e il 1521numerosi esuli milanesi, e soprattutto Francesco Sforza, furono suoi ospiti a Trento. Durante questi anni di guerra e soprattutto dopo la vittoria dei Francesi presso Marignano (14 sett. 1515), il C. si preoccupò della sicurezza del suo vescovato, organizzando la difesa e conducendo a Trento, all'inizio del 1516, 14.000 svizzeri. Con la pace di Bruxelles (3 dic. 1516), fu nominato commissario per la consegna della città di Verona alla Francia. Dopo aver trattato con il generale francese Lautrec e i commissari veneziani sulla liquidazione spettante alle truppe imperiali e sulla protezione dei cittadini veronesi fedeli all'imperatore, il 15 genn. 1517 consegnò al Lautrec le chiavi di Verona e tornò a Trento.
Nel 1518 iniziò un nuovo lungo periodo di assenza del C. dalla sua diocesi. Alla morte di Massimiliano (12 genn. 1519) fece parte del governo ad interim e dal 9 aprile anche della commissione che aveva il compito di prendere possesso, a nome dei fratelli Carlo e Ferdinando d'Asburgo, dei possedimenti ereditari austriaci. Dopo essersi adoperato per l'elezione di Carlo a re dei Romani, il 28 giugno 1519 fu presente all'ingresso di Carlo a Francoforte. Il 20 fu investito a Worms delle regalie della Chiesa di Trento.
Nonostante fosse uno degli avversari più convinti di Lutero, manteneva tuttavia buoni rapporti con il suo protettore, il principe elettore Federico il Saggio, il quale dal canto suo sperava (ma inutilmente) di potersi procurare tramite il C. informazioni importanti dalla corte imperiale. Anche dai luterani il C. era considerato "un valente giurista e uomo di buone intenzioni" (Christian Scheurl, in Tisot, Ricerche..., 1969, p. 75). Già alla fine del 1518 aveva condotto trattative, per incarico del papa, sulla questione luterana, e nel dicembre del 1520 il nunzio Aleandro, il quale era stato raccomandato al C. dal pontefice, si servì di lui per entrare in contatto con il principe elettore Federico. Partecipò alla Dieta di Worms, seppure solo per poco tempo, e tornò a Trento nel marzo 1521.
Già in occasione delle trattative preliminari agli accordi di Bruxelles circa la divisione dell'eredità (febbraio 1522), il C. sostenne il punto di vista di Ferdinando e in seguito entrò definitivamente al suo servizio. Sin dal maggio 1522 risulta suo cancelliere, nel giugno è ricordato come presidente del consiglio di corte austriaco. Ciò non impedì che anche più tardi il C. ricevesse incarichi occasionali da Carlo che gli promise una pensione annua di 2.000 ducati. Ferdinando, dal canto suo, cercò ripetutamente di procurargli ulteriori entrate e lo difese contro gli attacchi dei ministri del fratello.
Durante la Dieta di Norimberga (1522-23), il C. collaborò strettamente con il nunzio Francesco Chiericati e fece parte di una commissione speciale contro Lutero. Anche in quest'occasione ebbe frequenti contatti con il principe elettore di Sassonia. Nonostante il fallimento della Dieta, Adriano VI, al quale lo legava una comunità di interessi, soprattutto per quel che riguardava la riforma del clero, lodò l'operato del Cles. I suoi rapporti con la Curia romana cambiarono con l'ascesa al soglio pontificio di Clemente VII: pur rimanendo uno strenuo sostenitore del Papato nel campo della fede, lo avversò d'ora in poi politicamente. Tuttavia anche per il nuovo nunzio Girolamo Rorario, il C, rimase il punto di riferimento più valido alla corte di Ferdinando. Dopo i suoi tentativi (del resto falliti) di impedire nel novembre 1523 un rifiuto definitivo degli Stati protestanti tedeschi di trattare con il Papato, l'8 genn. 1524 ricevette una lettera di ringraziamento del papa, il quale gli fece intravvedere la possibilità di crearlo cardinale. Quando Clemente VII lo avvertì della presenza di infiltrazioni protestanti nel suo vescovato, il C., nell'impossibilità di recarsi personalmente a Trento, ordinò ai suoi vicari di combatterle severamente e rilasciò nel novembre 1524 un'istruzione precisa per la visita pastorale della diocesi. Ancora nello stesso anno partecipò alla riunione, tenutasi a Ratisbona, dei principi tedeschi, i quali vi discutevano come estirpare certi abusi in seno al clero; in quest'occasione si tenne in stretto rapporto con il nunzio Lorenzo Campeggi che condivideva le sue idee. Ma nonostante ciò giudicò disperata la situazione religiosa in Germania e non esitò a rimproverare al papa (febbraio 1525) l'inopportunità della sua politica che inevitabilmente avrebbe aumentato ancora di più l'odio dei Tedeschi contro la Curia e tutti i preti e monaci cattolici in Germania.
Quando all'inizio di maggio del 1525 nel Trentino scoppiò la rivolta dei contadini, il C. si ritirò in un primo momento nella rocca di Riva, da dove iniziò una vivace corrispondenza con Ferdinando, il papa e la Repubblica di Venezia. Per consiglio di Ferdinando nel giugno tornò a Trento e fu nominato il 22 luglio plenipotenziario per il Tirolo. Durante i combattimenti contro i contadini e dopo la loro sconfitta (fine di agosto) il C. si dimostrò più duro di Ferdinando stesso, il quale lo esortò varie volte ad usare più clemenza nei confronti dei ribelli sconfitti. Nonostante ciò, il C. punì con estrema severità, del resto non inconsueta per il tempo, i capi dei contadini. Non riuscì invece ad affrontare validamente, perché non disponeva dei mezzi sufficienti, la crisi economica da cui era colpito il Trentino a causa della rivolta dei contadini, dei cattivi raccolti ripetutisi dopo il 1510, della guerra e della peste. Le lettere indirizzate al governo di Innsbruck per chiedere soccorsi rimasero senza risposta.
L'arciduca austriaco, che lo teneva in altissima considerazione anche dopo la rivolta dei contadini, lo scelse ora come suo primo consigliere, licenziando Matteo Lang e Gabriele da Salamanca, fino ad allora i personaggi più potenti della sua corte. La creazione dell'amministrazione centrale austriaca ebbe inizio con la nomina del C. a presidente del Consiglio segreto, il 1º genn. 1526. Il 24 febbr. 1527 assistette a Praga all'incoronazione di Ferdinando a re di Boemia; il giorno successivo egli stesso incoronò la moglie di Ferdinando, Anna. Dal febbraio 1528 fino al gennaio del 1539 tenne anche il titolo di cancelliere supremo, confermatogli il 9 nov. 1528 da Carlo, e fu l'unico, all'interno della Cancelleria austriaca, ad esserne investito. Riuniva dunque nelle sue mani le cariche più alte ed esercitava la massima influenza su tutte le faccende del governo di Vienna e in particolare sulla politica estera di Ferdinando.
Nel 1529 partecipò alla Dieta di Spira conclusasi senza risultati; nel febbraio dell'anno successivo si recò con un seguito di duecentocinquanta persone a Bologna per presenziare, come rappresentante di Ferdinando, all'incoronazione imperiale di Carlo, celebrata dal 23 al 25 dello stesso mese. Il 9 marzo 1530, dopo anni di promesse, gli fu conferita finalmente la dignità cardinalizia con il titolo di S. Stefano al Monte Celio; il 17 aprile, nel duomo di Trento, ricevette il cappello cardinalizio dalle mani del legato Campeggi. Nel dicembre fu a Colonia per preparare l'elezione di Ferdinando a re dei Romani, avvenuta poi il 5 genn. 1531. Nel luglio 1532 l'imperatore gli procurò le entrate del vescovato di Elne (presso Perpignano), 2.000 scudi annui. Dal dicembre 1532 fino al febbraio 1533 partecipò, anche questa volta come rappresentante di Ferdinando, ai colloqui tra il papa e l'imperatore a Bologna.
Anche nel periodo della sua massima attività politica il C. fu sempre impegnato nella difesa della Chiesa cattolica. Per incarico suo Johann Fabri vescovo di Vienna compilò un elenco degli errori di Lutero. Quando gli sforzi del C. di avviare discussioni teologiche incontrarono resistenze, in particolare da parte di alcuni superiori degli Ordini religiosi, ottenne dal papa il permesso speciale di poter scegliere per le discussioni progettate chierici regolari anche senza il consenso dei loro superiori. Ma col tempo il C. abbandonò i progetti tendenti a risolvere le controversie religiose con le trattative ed assunse un atteggiamento decisamente militante. Già all'inizio della Dieta di Augusta (giugno 1530) si pronunciò senza riserve a favore della guerra religiosa. Ma proprio in quel periodo perse la sua influenza alla corte di Ferdinando. Sotto la spinta di consiglieri pronti al compromesso oppure protestanti, il re assunse sempre più una linea tollerante nella questione religiosa. A tutto ciò si aggiunse che gli intrighi del papa contro gli Asburgo, la sua ostilità nei confronti del concilio e il suo disprezzo degli interessi di Ferdinando (soprattutto nel Württemberg) misero il C., nella sua doppia qualità di primo ministro e di cardinale, in una situazione insostenibile. Nelle lettere indirizzate nel 1533 al nunzio Pietro Paolo Vergerio espresse la sua convinzione che ogni ulteriore sforzo fosse inutile, visto che già negli anni precedenti non era stato raggiunto nessun risultato tangibile. Offrì ripetutamente le sue dimissioni e chiese il permesso di potersi dedicare esclusivamente alla sua diocesi. In effetti, all'inizio di luglio 1533, dopo aver partecipato alle trattative di Kaaden, si allontanò da Praga con questo proposito, ma poco dopo fu richiamato dal re alla corte.
Quando giunsero le prime notizie della pericolosa malattia di Clemente VII (fine luglio 1534), nell'entourage di Ferdinando, partendo dal nunzio Vergerio, sorse il progetto di procurare al C. la tiara. Questi inizialmente tenne un atteggiamento distaccato, ma poi entrò in contatto con varie corti italiane e mandò due agenti a Roma. Ferdinando incaricò Matteo Lang di preparare il terreno a Roma, mentre i Fugger mettevano a disposizione un capitale di 100.000 ducati. Ma visto che l'imperatore e la Francia si erano già messi d'accordo sulla candidatura del cardinale Alessandro Farnese (il quale, eletto il 13 ottobre, assunse il nome di Paolo III), il C. abbandonò il progetto. Ben presto stabilì ottimi rapporti con il nuovo papa che vedeva di buon occhio il concilio, e lasciò cadere anche il suo proposito di ritirarsi dalla politica europea. Quando tornò a Vienna, il 20 marzo 1535, aveva ottenuto da Paolo III la proroga della nunziatura del Vergerio. Il 21 dicembre dello stesso anno tornò in Italia, incaricato di una difficile missione diplomatica: davanti a Carlo V, che sperava di incontrare a Roma, doveva trattare con gli inviati del voivoda di Transilvania, Giovanni Szapolyai; inoltre doveva ottenere che dopo l'estinzione degli Sforza il ducato di Milano (o per lo meno una parte delle entrate di esso) passasse a Ferdinando oppure, se questo non fosse possibile, proporre di offrirlo al voivoda in cambio della rinuncia alle sue pretese sull'Ungheria. Tuttavia, il C. non trovò l'imperatore a Roma e pertanto all'inizio di marzo del 1536 proseguì per Napoli. Ma nelle trattative seguenti i conflitti tra gli interessi dei due fratelli Carlo e Ferdinando si manifestarono in tutta la loro evidenza e né l'abilità diplomatica del C. né la volontà del Granvelle di giungere ad un compromesso approdarono ad un risultato. Il 20 marzo il C. riprese il viaggio senza aver ottenuto nulla di positivo. Durante gli ultimi anni della sua vita i problemi religiosi del tempo ripresero un posto di primo piano nelle preoccupazioni del C., e soprattutto lo impegnarono il grande concilio e la riforma della propria diocesi. L'8 apr. 1536, Paolo III incaricò otto cardinali, tra i quali il C. di elaborare la bolla di convocazione del concilio. Essendo impegnato in altri affari, il C. era costretto a declinare l'invito, ma il 27 giugno inviò al papa i "Praeparatoria futuri universalis nuper indicti concilii" del Fabri. Dopo la consegna della grande bolla di convocazione a re Ferdinando da parte del nunzio, il 14 nov. 1536 il C. tenne la grande orazione inaugurale. Ora, dopo i primi progetti non realizzati del 1524 e altri tentativi intrapresi sia dal 1531, avviò anche i programmi di riforma e le visite generali per la diocesi di Trento. Tuttavia, a causa dei suoi impegni politici, il C. non poté eseguire personalmente le visite del 1537 e del 1538 e si fece sostituire dal canonico Alberto de Alberti e dal parroco trentino Giorgio Ackerle. Dichiarazioni fatte al papa e al nunzio negli anni tra il 1537 e il 1539 rivelano chiaramente il punto di vista radicale assunto dal C.: l'imperatore avrebbe dovuto molto prima concludere la pace con i principi cristiani dell'Europa per poter ricondurre i protestanti, se necessario con le armi, alla Chiesa cattolica; ora solo con grande difficoltà si potevano prendere provvedimenti e cioè una grande spedizione, con il concorso anche di principi non tedeschi, contro i luterani, che dovevano essere combattuti ricorrendo anche a misure economiche e mettendo su un corpo di funzionari efficienti. Ma le più importanti dovevano essere le misure militari: bisognava però impegnare soltanto truppe italiane e spagnole, non i Tedeschi che davano poco affidamento dal punto di vista religioso.
Ma oltre al suo impegno sul piano della politica e della religione, il C. si dimostrò anche un fautore energico dei principî rinascimentali, soprattutto nell'architettura. Già nel 1515 aveva idee precise su come trasformare la sua città episcopale in questo senso: le strade dovevano essere rettificate ed allargate; dovevano essere costruiti nuovi ponti e dighe nei punti più pericolosi del fiume; gli edifici stessi dovevano essere migliorati secondo principi pratici ed estetici. I principî più importanti di questo "stile clesiano" erano: la pietra invece del legno come materiale di costruzione, il rialzamento dei palazzi in forme classiche, l'armonizzazione dei tetti e delle facciate, un modo solido e più semplice di costruzione, la decorazione delle facciate con affreschi. Nonostante le resistenze incontrate dal C. e dal suo primo collaboratore Antonio da Vigolo da parte dei proprietari degli edifici in questione, nella maggior parte dei casi questi principî furono applicati. Per iniziativa del C. sorsero a Trento la chiesa di S. Maria Maggiore e una parte del duomo (completamento del campanile e costruzione della grande cupola), la chiesa parrocchiale di Cles e la rocca di Civezzano; i castelli e i palazzi di Cles, Toblino, Cavalese Stenico, Riva, Tenno, Castel Selva e numerosi palazzi a Trento stessa subirono una trasformazione radicale. Ma il progetto al quale il C. era affezionato di più era la costruzione del Magno Palazzo a fianco del vecchio castello del Buonconsiglio: nel 1535 i lavori erano quasi completati, nonostante che nel 1531 un incendio avesse distrutto quasi del tutto la parte fin ad allora finita. Anche sul piano dell'umanesimo il C. favorì la sintesi tra le tendenze artistiche e scientifiche e quelle pratiche. Fece pubblicare gli statuti di Trento (1528), si preoccupò dell'istituzione di archivi esemplari (compilazione di catasti) ed ampliò la biblioteca vescovile. Sin da quando era studente (le prime notizie a proposito risalgono al 1503) coltivò la letteratura classica. Ebbe contatti personali o epistolari con numerosi poeti e dotti: con Pietro Andrea Matthioli, Friederich Nausea, Ludovico Nogarola, Johann Alexander Brassicanus, Beatus Rhenanus, Ursinus Velius, Pietro Aretino, Pietro Bembo, Girolamo Balbi ed altri. Il Cuspiniano gli dedicò il suo proclama a favore della guerra contro i Turchi (Oratio ad principes,ut bellum suscipiant contraTurcos), il Catalogus Caesarumac imperatorum e la seconda parte della Austria. Con Erasmo da Rotterdam il C. intratteneva rapporti quasi di amicizia; nel 1529 lo invitò alla sua corte promettendogli entrate superiori a quelle che era disposto a pagare Ferdinando. I due uomini si erano conosciuti probabilmente già nel 1520. Nel carteggio conservato tra il C. ed Erasmo, l'umanista, desideroso di trovare consiglio ed aiuto, nelle situazioni critiche si rivolge all'abile politico pratico delle cose del mondo, mentre il C., nelle sue lettere di risposta, raccoglie i quesiti del letterato senza accennare mai ai propri problemi.
La grandiosa attività edilizia e il mecenatismo del C. richiedevano un'abile amministrazione finanziaria. Il C. stesso nel 1537 compilò un resoconto (Proventuumextraordinariorum brevisannotatio). Al servizio di Massimiliano I, Carlo V e Ferdinando I, aveva speso 80.000 fiorini renani dai proventi della sua Chiesa, mentre dalla mensa vescovile gli venivano entrate di soli 12.000. Ma i suoi numerosi benefici, che poté conservare anche dopo la sua elevazione al cardinalato, gli procuravano annualmente entrate di circa 50.000 fiorini. Nel 1522 aveva espresso l'opinione che l'influenza del Fugger andasse ridimensionata; ma ben presto si doveva rendere conto che anche la propria situazione finanziaria dipendeva interamente da questa banca. Quando nel 1530 Ferdinando voleva rompere con i Fugger, e risarcire il C. con le entrate delle miniere tirolesi, il C. rifiutò, perché riteneva illusorio un qualsiasi finanziamento che escludesse i Fugger. Anche l'accordo finanziario tra Ferdinando e il C. del 15 ag. 1531, così fondamentale per gli anni successivi, aveva come presupposto la collaborazione dei banchieri. Così con gli anni il C. assunse la funzione di mediatore tra Ferdinando e i Fugger, i quali gli procuravano anche merci rare ed opere d'arte per l'abbellimento dei suoi edifici. L'abilità del C. negli affari gli procurò non pochi nemici, ma per difendersi gli bastava fare cenno alla sua lunga fedeltà al servizio della casa d'Austria.
Il 10 ag. 1538 Paolo III affidò al C. l'amministrazione della diocesi di Bressanone. L'iniziativa era partita da Carlo V e da Ferdinando, dato che durante il vescovato del predecessore, Giorgio d'Austria (un figlio illegittimo di Massimiliano I), vi si era creata una situazione insostenibile. Dopo aver definitivamente rassegnato tutte le cariche politiche nelle mani di Ferdinando (28 genn. 1539), il 16 e il 17 marzo assunse l'amministrazione dalle mani dei procuratori del vescovato e il 13 luglio fece il suo ingresso solenne a Bressanone. Il C. si impegnò moltissimo in questo nuovo compito preparando subito nuove misure per la cura delle anime e contro le eresie. Ma già all'inizio di maggio il professore Benedetto Vettori aveva diagnosticato a Padova la malattia del C., che da anni soffriva di catarri e di paralisi, come morbus gallicus. Morì a Bressanone il 30 luglio 1539 e fu sepolto il 4 agosto nel duomo di Trento.
Una valutazione omogenea del C. è resa difficile per la sintesi verificatasi in lui tra il presule responsabile del suo ufficio e il principe rinascimentale impegnato sul piano politico. I rappresentanti della Controriforma, soprattutto i nunzi, lo lodavano entusiasticamente, ma le poche visite pastorali realizzate non bastano a fare di lui un vescovo riformatore. Il C. si sentì più vicino spiritualmente al papa mediceo Leone X, la cui corte rinascimentale serviva come modello, che ad Adriano VI, la cui lotta contro il curialismo gli era risultata poco comprensibile. Anche se aveva dimostrato una certa comprensione per la situazione sociale dei contadini, cercando di tutelare i socialmente deboli con vari provvedimenti, come per esempio le leggi contro l'usura del 1524 (il cui autore era però probabilmente Antonio Quetta), alla fine si era convinto che le uniche misure efficaci fossero quelle militari. Ma il suo vero elemento era il servizio di corte, che lo mise in contatto anche con i personaggi sospetti, soprattutto con il potente ed odiato Gabriele di Salamanca, al quale lo unirono ben presto anche interessi economici (miniere di Idria). Ebbe grande influenza, anche se difficilmente precisabile nei particolari, su Ferdinando; si diceva che il C. non poteva esistere senza il re, e Ferdinando senza di lui. Non è possibile stabilire con esattezza fino a che punto il C. abbia collaborato ai tentativi di Ferdinando di creare in Austria un moderno Stato burocratico. Ma anche i suoi nemici gli riconoscevano il modo personalmente simpatico e conciliante di condurre le trattative e il fiuto politico, soprattutto nella politica estera.
I migliori ritratti del C. sono la medaglia di bronzo di Hans Schwarz di Norimberga, del 1519, conservata nel Landesmuseum di Innsbruck, quella del 1520 di Ulrich Ursenthaler nel Münzkabinett di Vienna ed infine quella, del 1532, che si trova oggi nel palazzo Tabarelli di Trento. Ma va ricordato soprattutto il ritratto di Joos van Cleve il Vecchio nella Galleria naz. d'arte antica di Roma.
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