CENNINI, Bernardo
Nato il 2 genn. 1415 a Firenze dal beccaio Bartolommeo di Cenni del Fora in campo Corbolini, nel "popolo" di San Lorenzo, nell'anno 1427 era già a bottega dal setaiolo Tommaso di Domenico Borghini, con un salario di otto fiorini l'anno. La sua formazione di orafo va collocata in questo periodo, dati gli stretti legami tra setaioli e orafi, le cui corporazioni erano unite in una sola arte. Nel 1430, appena quindicenne, gli venne a mancare il padre; per mantenere la famiglia si vide costretto ad affittare la casa di via della Stipa, unica eredità paterna, e ad abitare con un tale Francesco di Giovanni, detto Piacente. Poco dopo, verso il 1431, lasciò definitivamente l'attività di setaiolo per iniziare a esercitare l'oreficeria. A questo scopo si mise in società con un altro orafo, Iacopo di Filippo da Bisticci. Il giuramento all'arte venne fatto dal C. il 20 marzo 1443 e il 4 sett. 1444 versò la quota di 10 fiorini necessaria all'immatricolazione. Nel 1439 sposò Angiola di Antonio di Piero del Rosso, da cui ebbe quattro figli maschi, Piero, Domenico, Bartolommeo, e Giovan Francesco. La società con Iacopo di Filippo si sciolse nel 1446, e il C. rimase debitore di 102 fiorini, che doveva pagare all'orafo in ragione di 2fiorini e mezzo al mese. L'insuccesso dell'attività in proprio lo indusse ad aggregarsi alla più solida impresa orafa della città, la bottega di Lorenzo e Vittorio Ghiberti, allora impegnata nella fusione e rinettatura della terza porta in bronzo del battistero (la porta del Paradiso).
A questa nel 1447 mancavano ancora le parti ornamentali, e cioè le cornici, le testine decorative e gli stipiti col fregio a motivi vegetali; è proprio nell'ambito di questi lavori che va inserita l'attività del C. come collaboratore della bottega ghibertiana. Testimonianza di ciò darà anche il figlio Piero, che ne parla esplicitamente - non senza una punta di orgoglio filiale - in una lettera del 1475 a Pirrino Amerino (Mancini, 1909, pp. 220-227).La partecipazione del C. all'esecuzione delle parti accennate è accertata negli anni 1448 e 1452(R. e T. Krautheimer, Ghiberti, London 1971, pp. 383 doc. 96, 420 doc. 277), ma anche la critica più attenta ha riconosciuto l'impossibilità di individuare le parti a lui riferibili.
I suoi interventi furono comunque sufficienti a farlo conoscere alla committenza pubblica, perché subito dopo, nel 1453, troviamo il suo nome nel Libro della Zecca con la qualifica di intagliatore di ferri. È un incarico che si ripeterà anche negli anni 1454, 1455 e 1459 e che lo introduce alle tecniche dell'intaglio e della fusione, che gli saranno indispensabili per l'impresa tipografica degli anni successivi.
Tradizionalmente iI C. è stato indicato come il "reinventore" della stampa a Firenze, un ambiente di per sé refrattario o per lo meno non favorevole, per le raffinate tradizioni culturali e per la produzione quantitativamente rilevante di codici manoscritti, all'introduzione del nuovo mezzo di diffusione delle opere scritte. Ciò è stato ribadito dal Ridolfi (1954), il quale ha dimostrato che Lorenzo Genesini da Lendinara, tipografo del Mesue, recante la data del 9 giugno 1471,e quindi precedente il volume del C., non aveva operato a Firenze, come si era a lungo creduto, ma nell'Italia settentrionale.
L'attività di stampatore del C., per la novità dell'esperienza e le difficoltà tecniche da superare, dovette impegnare a fondo le risorse dell'orafo: in una portata al catasto del 1469 egli afferma di aver venduto una casa già di proprietà della moglie Angiola per potere dotare la sorellastra, di avere contratto un debito di 200 fiorini con l'orafo Betto di Francesco Betti e di avere impegnato la sua casa di campo Corbolini. Pur con una doverosa tara alle sue confessioni d'indigenza comuni nelle dichiarazioni di redditi nella Firenze del sec. XV -, è immaginabile il notevole sforzo finanziario che dovette affrontare la famiglia del C. (parteciparono all'impresa anche i figli Piero e Domenico, allora diciannovenne) per portare a termine l'iniziativa. L'idea di cimentarsi nella stampa d'un libro e la scelta dell'opera vanno attribuite a Piero che ne curò l'edizione: i Commentaria in Vergilium di Mauro Servio Onorato, seguiti in appendice dal trattatello Ad Aquilinum de natura syllabarum, opera dello stesso autore. Il volume impresso dal C. è un in folio di 237 carte, diviso in tre parti (corrispondenti al commento alle Bucoliche, alle Georgiche e all'Eneide), concluse ciascuna da un colophon certamente composto da Piero, recanti le date, rispettivamente, del 7 nov. 1471, del 9 genn. 1472 (1471, secondo l'uso fiorentino) e del 7 ott. 1472.
A questa data erano già uscite due edizioni dei Commentaria: una attribuita al Mentelini di Strasburgo, l'altra stampata a Venezia nel 1471 dal Valdarfer di Ratisbona. Che i Cennini fossero al corrente dell'esistenza di altre edizioni precedenti la loro lo indica l'assunto fatto proprio come programma ed espresso nel colophon: "satis videri cuique debebit: si hi libri… prae aliis emendati reperientur".
Contrariamente alla tesi del Manni (1761), che attribuisce alla tipografia del C. una Vita di s. Caterina da Siena, composta anteriormente al 1471, nessun'altra opera a stampa, oltre i Commentaria, uscì dai torchi della famiglia Cennini. Altri studiosi di storia della stampa hanno ricondotto al C. varie opere impresse a Firenze nel periodo 1471-1472, ma senza alcun fondamento. Il C. non volle proseguire l'esperienza tipografica non solo perché le sue finanze ne erano uscite provate, ma forse perché nel frattempo si era stabilito a Firenze un tipografo professionista, Giovanni di Pietro da Magonza, e di fronte alla sua attività è probabile che a lui venisse meno ogni velleità di proseguire le esperienze nell'arte della stampa.
Nel 1476 il C. era console dell'arte dei beccai, carica puramente onoraria, ma che gli dette modo di entrare in relazione con la classe dirigente economico-politica della città. In quest'ufficio è ricordato dallo stesso Piero, in un atto rogato il 5 ottobre del 1476 con cui Domenico Bonsi viene nominato notaio dell'arte (Mancini, 1909, p. 216).
Il Bonsi era il candidato di Lorenzo il Magnifico, che andava tessendo il suo potere nella città con uomini fedeli nei posti-chiave anche nelle magistrature o incarichi di minore rilevanza. I due Cennini ebbero in questa elezione non poco peso, nonostante l'opposizione del partito favorevole all'avversario del Bonsi, Antonio Pucci.Il ritorno del C. all'attività di orafo è dell'anno seguente. L'arte di Calimala decise di far terminare il dossale d'argento del battistero, allogato nel 1367 agli orafi Betto di Geri e Leonardo di ser Giovanni, continuato da Cristofano di Paolo e Michele di Monte (1377), ma rimasto incompiuto (Firenze, Museo dell'Opera del duomo). La deliberazione dell'arte risale al 24 luglio 1477 e riguarda appunto il compimento dei rilievi sui lati del dossale, che dovevano rappresentare Storie di s. Giovanni Battista.
Le commissioni sono puntualmente documentate negli spogli strozziani dei Libri di Calimala (Becherucci-Brunetti, pp. 225 s.). Per evitare l'egemonia della scuola di Antonio del Pollaiolo, la committenza affida l'esecuzione dell'episodio con la Annunciazione della nascita del Battista al C. (18 ag. 1477), chiamando così in causa un rappresentante della bottega ghibertiana la cui autorità (di prestigio se non stilistica) doveva esser ancora avvertibile nell'ambiente degli orafi fiorentini. Il 13 genn. 1478 gli incarichi vengono definitivamente assegnati: l'Annunciazione a Zaccaria al C.; la Decollazione ad Andrea del Verrocchio; la Natività ad Antonio del Pollaiolo; il Convito di Erode ad Antonio di Salvi e Francesco di Giovanni.
La scadenza per la consegna è fissata al 20 luglio 1478; solo il 26 apr. 1481 sono saldati agli artisti i conti relativi alla rifinitura e al montaggio delle storie.
Stilisticamente, il rilievo del C. risente ancora delle forme ghibertiane, pur non possedendo l'euritmia del maestro, cosicché la narrazione rimane piuttosto slegata, anche se era indubbiamente arduo dare una realizzazione figurativamente unitaria ai tre episodi illustrati nel pannello: l'annunzio dell'angelo a Zaccaria sacrificante nel tempio; la risposta del sacerdote al giovane venuto a interrogarlo; l'incontro di Elisabetta con Maria e Giuseppe. È indubbio che il linearismo predominante nell'esecuzione sia retaggio del goticismo classicheggiante della bottega del Ghiberti: esso tuttavia può anche essere il riflesso delle tendenze disegnative dominate dalla funzionalità della linea proprie dell'arte figurativa della seconda metà del Quattrocento fiorentino.
Dopo questa impresa l'attività del C. si limitò a lavori di bottega, che aveva in affitto presso la loggia dei Cavalcanti, gestita dai figli Bartolommeo e Domenico. Nella dichiarazione catastale del 1480 egli pose di nuovo l'accento sulle sue condizioni economiche precarie, affermando che i committenti dovevano addirittura fornirgli le materie prime; che egli stesso era inabile al lavoro; che tutta la famiglia, formata da dodici persone tra moglie, figli, nuore e nipoti, viveva con lui. Contemporaneamente però denunziava il possesso di un podere a Santa Cristina in Chianti, presso Meleto. Del 1498 è la sua ultima portata al catasto (come la precedente, in Fantozzi, 1839, pp. 25-30): sidesume - in mancanza di altre testimonianze - che egli morisse in quest'anno. Venne sepolto nella tomba di famiglia in S. Lorenzo, da lui collocata nel 1481 nei sotterranei della basilica.
Nel 1871, quadricentenario dell'introduzione della stampa a Firenze, gli venne innalzato nella stessa chiesa un monumento funebre, opera dello scultore Leopoldo Costoli.
Domenico figlio del C., nacque a Firenze nel 1452; fu stretto collaboratore del padre e nel colophon di chiusura (c. 237)dei Commentaria è menzionato come "optimae indolis adulescens"; continuò a lavorare nella bottega paterna come orafo e glittico, perché cosi è indicato nelle portate del 1480 e del 1498, ma non ci resta testimonianza della sua opera perché già Hill (in Thieme-Becker), che pure aveva trovato la data (1477)di immatricolazione all'arte della seta, aveva notato l'assenza di documentazione per la data di morte (1504) e per le medaglie attribuitegli dal Milanesi (in A. Armand, Les médailleurs italiens..., Paris 1887, pp. 21 s.),che sono invece da avvicinare a Nicolò Spinelli.
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