FERRARI, Bernardo Carlo
Nacque a Sanremo (prov. di Imperia) il 26 nov. 1837 da Leonardo e da Francesca Grossi. Si laureò in giurisprudenza a Torino l'11 giugno 1859, e nello stesso anno ebbe la nomina a consigliere di governo a Nizza Marittima, dove svolse funzioni di segretario particolare del governatore marchese M. Cordero di Montezemolo. Quando questi, nell'aprile del 1860, lasciò l'incarico, il F. andò a Torino. Qui fu nominato consigliere aggiunto al governo della provincia, ma pochi mesi dopo fu messo a disposizione del ministero dell'Interno e inviato nelle province napoletane, la cui luogotenenza era retta da L. C. Farini. Fu addetto alla sezione del gabinetto di C. Nigra, che nel gennaio 1861 era arrivato a Napoli come segretario di Stato del nuovo luogotenente, Eugenio di Savoia principe di Carignano; ebbe stretti rapporti sia con C. Nigra sia con il conte Gustavo Ponza di San Martino, luogotenente dal maggio 1861, e con il conte Girolamo Cantelli, commissario civile in quelle province per un breve periodo. Nel corso della sua permanenza presso la luogotenenza delle province napoletane, il F. prestò anche servizio presso il commissariato generale delle Marche e svolse una missione in Calabria.
Nel novembre 1861 fu nominato consigliere presso la prefettura di Napoli e due anni dopo fu destinato a Cosenza, presso la prefettura di Calabria Citeriore. Nei due anni successivi ebbe l'incarico di reggere le sottoprefetture di Paola, di Castrovillari e di Rossano, e nel 1865 fu trasferito ad Ancona, dove, in occasione di un'epidemia di colera, si distinse nell'organizzare i soccorsi. Per questa attività ottenne una medaglia d'argento come benemerito, mentre lo studio statistico sul colera da lui compilato in questa occasione ricevette l'encomio del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Nel febbraio 1866 fu nominato consigliere delegato presso la prefettura di Ascoli Piceno, da cui fu trasferito un anno dopo, in seguito a richiesta del prefetto che, pur riconoscendone le doti e lo zelo, ne criticava l'eccessiva ambizione e il comportamento altezzoso: difetti, questi, che gli avevano procurato una diffusa ostilità, in particolare da parte della stampa liberale locale, la quale lo accusava anche di favorire la parte più reazionaria della giunta municipale.
Prima di assumere servizio a L'Aquila, dove era stato assegnato, fu incaricato di reggere per brevi periodi le sottoprefetture di Fermo, di Vasto e di Bovino. Rimproverato dal ministro dell'Interno di non aver saputo svolgere un'efficace opera di conciliazione in un dissidio sorto tra la prefettura e l'intendenza di Finanza, fu trasferito da L'Aquila, dove nel 1870 si era sposato con Maria Petrini-Cappa, ad Agrigento (all'epoca Girgenti), dove assunse servizio nell'aprile del 1872.
In Sicilia il F. dovette affrontare una situazione di ordine pubblico resa difficile dalle dimostrazioni di protesta provocate dall'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Nella regione era molto attiva la propaganda sobillatrice di due partiti opposti, il clericale ed il repubblicano; una parte di quest'ultimo era legata all'Associazione internazionale, che in Sicilia aveva il suo centro principale ad Agrigento, dove era sostenuta dall'avv. A. Riggio, direttore del foglio di sinistra La Giustizia. Il F., di forti sentimenti monarchici e convinto della necessità di trattare con mano ferma una popolazione abituata a rispettare la forza e fondamentalmente ostile all'autorità governativa, si fece presto molti nemici, specie nella giunta municipale, e subì ripetuti attacchi dal giornale del Riggio.
Nonostante le testimonianze di stima da parte del Consiglio provinciale di Agrigento per la sua opera volta a ristabilire l'autorità e la pubblica sicurezza nella provincia, le accuse di corruzione a suo carico provenienti da più parti resero necessario il suo trasferimento a Campobasso. Dopo pochi mesi, all'inizio del 1874, fu destinato alla prefettura di Bergamo. In seguito a denunce insistenti della disonestà del F. durante la sua permanenza ad Agrigento, il ministero nello stesso anno promosse un'inchiesta amministrativa sul suo operato, affidandola all'avv. T. Tarchioni, consigliere delegato presso la prefettura di Catania.
Nella sua relazione, il Tarchioni affermò di aver riscontrato effettive irregolarità nell'amministrazione del F., ma di non aver raccolto prove sufficienti in merito alle accuse più gravi, come quella di aver percepito compensi per alcune sue mediazioni. Propose quindi di punire il funzionario con il pagamento degli addebiti a suo carico, con una nota di biasimo, con la retrocessione a consigliere semplice, o addirittura con la dispensa dal servizio. Il ministero decise di retrocedere il F. e di imporgli il risarcimento dei danni; scartò, invece, la pena maggiore giudicando non eccessivamente gravi le accuse provate e tenendo presente gli ottimi precedenti del F., che nello svolgimento delle sue funzioni aveva sempre dato prova di zelo e abilità.
Nel giugno 1876 il F. prese servizio presso la prefettura di Verona, dove si dedicò in particolare allo svolgimento di un'inchiesta sulle condizioni morali e materiali dei Luoghi pii della città. L'anno successivo, il 14 nov. 1877, fu nominato sottoprefetto di Ariano di Puglia e nel settembre 1878 fu inviato presso la prefettura di Casale, dove, escludendo una temporanea reggenza della sottoprefettura di Lecco, rimase fino al 1883.
Per il F. si trattava del realizzarsi di un desiderio coltivato fin dagli inizi della sua carriera, quando, destinato a prestare servizio nelle province meridionali, aveva chiesto più volte il trasferimento al Nord, nella sua regione; ora, finalmente, come ebbe a scrivere, dopo 19 anni aveva "rimesso piede nell'antico Regno" e pregava in una lettera al ministero di lasciarlo a Casale, dove aveva meritato la stima e l'affetto di tanti. Tali considerazioni non erano però condivise dal prefetto di Alessandria, E. Veglio di Castelletto, che giudicava il F. troppo ambizioso, poco prudente e sincero, troppo legato alle persone che potevano aiutarlo nella sua carriera, e chiedeva che venisse trasferito in altra provincia.
Nonostante negli ultimi tempi della sua permanenza a Casale fosse fatto oggetto di biasimi da parte del ministero e del Consiglio di Stato per aver trattato con parzialità alcuni affari relativi al Comune di Montiglio il F. fu promosso, con decreto del dicembre 1883, consigliere delegato presso la prefettura di Alessandria.
Anche qui però la sua presenza non risultò gradita al prefetto E. Argenti, che la giudicò incompatibile con le accuse di irregolarità mossegli in precedenza. Inoltre il F. non nascondeva di avere legami con persone importanti da cui si sentiva protetto, e non si preoccupava di suscitare malumori e dissidi con il suo atteggiamento critico e di ricorrere a vari abusi nell'esercizio delle sue funzioni.
Nel novembre 1884 il F. fu trasferito ad Ancona, dove si distinse, tra l'altro, nella sua opera come commissario regio per la ricostituzione della Camera di commercio cittadina. Nel 1890 fu destinato a Pesaro, di cui venne nominato prefetto l'anno successivo. Assegnato alla prefettura di Bari nel 1892, fu coinvolto nelle accuse che l'on. P. Pansini, in un'interpellanza al presidente del Consiglio G. Giolitti, presentata alla Camera dei deputati il 10 apr. 1893, rivolse al governo per la sua ingerenza nelle elezioni politiche del novembre.
Il F. aveva cercato di assicurarsi i voti dell'amministrazione dei Comuni di Corato e di Molfetta a favore del candidato ministeriale e, non riuscendo nello scopo, aveva sciolto i due Consigli comunali. Il fatto, diventato di dominio pubblico, aveva suscitato scandalo: erano partite querele nei confronti del prefetto e di altri pubblici funzionari coinvolti nella vicenda.
In seguito a tali avvenimenti il F. fu collocato in aspettativa. Nel settembre 1894 fu richiamato in servizio presso la prefettura di Perugia e, successivamente, fu prefetto ad Ascoli Piceno e a Chieti. Nel 1902 fu trasferito a Bologna e due anni dopo a Venezia. Durante lo sciopero generale del settembre 1904 il F., nonostante si verificassero gravi disordini nella città, non utilizzò la forza pubblica di cui disponeva. Di questo si lamentò il sindaco di Venezia in una lettera a Giolitti, il quale, attaccato dalla stampa e in Parlamento per la completa inazione del governo nei confronti dei dimostranti, indusse il F. a presentare le dimissioni.
Il F. trascorse gli anni successivi a Roma, dove si dedicò alla professione forense. Morì a Sanremo il 10 maggio 1928.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Crispi, fasc. 77: Biografie dei consiglieri delegati al 1º maggio 1887;Ibid., Ministero dell'Interno, Direzione generale Affari generali e personali, Personale f.s., IIserie, b. 471, fasc. 11.153; A. De Gubernatis, Piccolo diz. dei contemporanei ital., Roma 1895, p. 381; P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino 1954, ad Indicem; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, Milano 1962, I, a cura di P. D'Angiolini, pp. 104, 143 ss., 199 ss.; II, a cura di G. Carocci, pp. 222, 288, 294, 361; F. Fiorentino, Ordine pubblico nell'Italia giolittiana, Roma 1978, p. 30; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1989, ad Indicem.