CANTONE (Cantoni), Bernardo (Bernardino)
Figlio di un maestro Taddeo, nacque presso la pieve di Balerna (Valle d'Intelvi) nel 1505.
Il padre apparteneva alla famiglia degli Augustoni, originari di Cabio. Il nomignolo di Cantone (Canton), che gli Augustoni avevano l'abitudine di aggiungere al proprio cognome forse fin dal secolo XV, finì per soppiantarlo del tutto. Dai documenti risulta che il C. aveva almeno tre fratelli, Antonio, Pietro e Angelo. Antonio fu anch'egli architetto e suo collaboratore.
Nel 1519, quattordicenne, scese a Genova per inserirsi nell'arte dei maestri antelami "lombardi", ivi fiorente dal sec. XII. Compiuto il regolare apprendistato, lo troviamo presente già nel 1527 in un'opera d'assetto urbanistico (in cui si utilizzavano appunto maestri antelami), la creazione di piazza Ferraria (ora piazza Matteotti); ma è dal 1531, come afferma lui stesso in una relazione ai Padri del Comune del 1571 (Varni), che passò stabilmente al servizio di questa magistratura addetta alle opere pubbliche. Così figura come maestro antelamo con garzone insieme con dieci altri nella strutturazione dell'ora scomparsa piazza di Ponticello nel 1535-38, che richiese demolizioni di spine edificate e avviò l'urbanizzazione dei sobborghi orientali; è presente nell'ampliamento di piazza Fossatello nel 1539, e partecipò infine con Francesco di Gandria (architetto del Comune) e Donato di Balerna alla quasi totale ricostruzione della Lanterna nel 1543. Contemporaneamente dava avvio a un'attività di architetto privato (costruzione della casa Cicala in piazza dell'Agnello nel 1542; probabile collaborazione nel cantiere del palazzo di Antonio Doria all'Acquasola, ora palazzo della prefettura, nel 1541-43).
Nel 1546, coronando quindici anni di servizio che evidentemente avevano rivelato in lui non comuni capacità tecniche e imprenditoriali, il C. venne nominato architetto camerale in sostituzione di Francesco di Gandria. Nella nuova veste, che prevedeva mansioni di perito pubblico e di controllore ufficiale dell'attività edilizia nonché la responsabilità tecnica dei lavori di riassetto della città e del molo, stese nel 1549 un progetto, poi non realizzato, di ricostruzione della chiesa di S. Ambrogio, già demolita nella creazione di piazza Ferraria, e circa nello stesso periodo fu impegnato nello studio di risanamento del quartiere di Vallechiara con la creazione di una piazza interna. Ma l'impresa di gran lunga più importante che il C. ebbe ad affrontare come architetto camerale fu certamente l'apertura della Strada Nuova (attuale via Garibaldi), decretata nel 1551.
Questa iniziativa urbanistica ed edilizia, presto celebre in Italia e, grazie alle incisioni del Rubens, anche in Europa, mirava a creare un lussuoso quartiere residenziale nella zona alta della città, tra il Fonte Maroso (ora piazza delle Fontane Marose) e la scomparsa chiesa di S. Francesco, sotto il diruto Castelletto.
La felicità dei risultati raggiunti, soprattutto edilizi, e innovazioni come la lottizzazione a blocchi separati invece che a schiera continua hanno fatto considerare nel tempo l'apertura della strada esclusivamente sotto il profilo di un'alta operazione estetica e formale; non sorprende quindi che dal Vasari sino ad oggi se ne sia sempre addossata in un modo e nell'altro la responsabilità progettuale a Galeazzo Alessi, allora presente a Genova, riducendo la funzione del C., che non pareva da tanto, a quella di un mero esecutore. Ma i fondamentali chiarimenti (anche documentari) portati dal Poleggi, che hanno messo in evidenza il carattere affaristico ed empirico dell'operazione e ne hanno ridimensionato la troppo decantata novità formale, permettono di considerare non necessario l'intervento dell'Alessi e di restituire al C. la totale responsabilità dell'apertura della nuova via.
Come si deduce dalla stessa relazione consuntiva presentata dal C. all'ufficio dei Padri del Comune il 22 maggio 1558, in cui figura come "caput operis situum viarum et aliorum in confinibus ecclesie sancti Francisci, videlicet vie nuove vocate da strata magiore", è certo comunque che il grave onere tecnico ed imprenditoriale della realizzazione pratica della lottizzazione fu rovesciato sulle sue spalle dalla stesura del tracciato alla direzione dei lavori di demolizione, dallo spianamento a la speronatura del colle retrostante ai rilevamenti alla ricerca dei compratori delle aree e così via, in mezzo a un logorante gioco di interessi in conflitto.
L'impresa di Strada Nuova tenne occupato il C. dal 1551 al 1552 (la guerra di Corsica venne poi a determinare una lunga interruzione dei lavori). Nel 1556 cominciò una sua lunga collaborazione con l'Alessi nel cantiere della chiesa di S. Maria Assunta di Carignano, che doveva prolungarsi sino al 1567. Data la sua presenza intermittente a Genova, l'Alessi aveva bisogno di appoggiarsi per il regolare proseguimento dei lavori della chiesa ad autorevoli ed esperti capi d'opera locali, fra i quali ebbe prediletto il Cantone. I loro rapporti ci sono testimoniati dalle lettere dell'Alessi al C. (Varni), in cui al tono secco d'istruzioni non discutibili si accompagnano nel tempo espressioni di affetto e di stima per la perizia e il buon carattere del maestro ticinese, al quale l'Alessi finisce per rivolgersi col titolo di "fratello honorando".
Gli impegni inerenti alla sua carica e quelli derivantigli dalla esigente collaborazione con l'Alessi non impedirono al C. di mettere contemporaneamente a frutto il raggiunto prestigio in una vasta attività al servizio di privati nelle varie funzioni di imprenditore, ingegnere, decoratore, nonché di progettatore e costruttore. Il C. d'altra parte era adusato, come tutti i maestri antelami, a lavorare in società con altri maestri, che recavano ognuno l'apporto della propria specializzazione, e ciò gli permetteva di assumere come imprenditore ogni genere di incarichi. Lo vediamo così impegnato (particolarmente nel sesto e settimo decennio) in prestazioni che vanno dalle perizie di costi e forniture alla sistemazione di servizi in complessi agricoli, alla rifinitura di edifici allo stato di struttura (lo scomparso palazzo Vivaldi a Piccapietra, 1549; la casa di Agostino de Franchi in piazza della Postavecchia, n. 1, 1565, in collaborazione con G. B. Castello), a lavori di ammodernamento e consolidamento di vecchie dimore signorili (villa di Pellegrina Cybo in Albaro, 1560; casa di Leonardo Spinola in contrada Canneto, 1560), a collaborazioni di vario genere con altri architetti, fino all'assunzione in proprio, come architetto e imprenditore, della progettazione ed edificazione di palazzi e ville.
Alcuni edifici, per la cui costruzione esistono negli archivi municipali impegni sottoscritti dal C. (casa Lercari Serra in p. Pinelli, n. 3, 1558; palazzo di Benedetto Fieschi in contrada Giustiniani, 1559, non identificato; case di Ambrogio Serravalle e di Nicola Usodimare in contrada delle Grazie, 1559), appaiono, quando leggibili, opere di scarso rilievo, ma altri, se gli si devono attribuire, appartengono all'edilizia genovese più avanzata, particolarmente i palazzi eretti in Strada Nuova, della cui edificazione dunque egli appare uno dei protagonisti, come era stato il protagonista della progettazione.
Dal 1558, riprendendosi i lavori in Strada Nuova, la dpcumentazione d'archivio portata alla luce dal Poleggi attesta la presenza del C. come "caput fabrice" nel cantiere del palazzo di A. Pallavicino al n. 1 (ora Banco di Napoli; 1558-1563); contemporaneamente, con lo stesso titolo, il C. è presente nel cantiere della villa di Giovan Battista Lercari (poi Lercari Sauli; 1558-1563) in via Don d'Aste n. 8 a Sampierdarena. Se il termine "caput fabrice" va inteso (cfr. Poleggi) come architetto responsabile, queste due opere vanno attribuite al Cantone.
Il primo edificio, frontespizio di Strada Nuova, con duplice facciata, sulla strada stessa e sulla piazza delle Fontane Marose, è tradizionalmente attribuito all'Alessi per le affinità con il palazzo Marino a Milano di cui è sempre stato considerato un'anticipazione; ma ora il Poleggi ha invertito il rapporto tra i due edifici, dimostrando che il palazzo genovese è posteriore al palazzo milanese. La villa Lercari, detta "La Semplicità", forma con la villa Grimaldi, detta "La Fortezza" (1559-1567), di Bernardo Spazio, e villa Imperiale, poi Scassi, detta "La Bellezza" (1561-1564), di D. e G. Ponzello, il complesso delle ville cinquecentesche di Sampierdarena noto come la "triade alessiana". In essa il C. ebbe probabilmente la collaborazione di B. Spazio.Contemporaneamente è anche documentato il suo intervento con un incarico di forse totale responsabilità nel palazzo di Angelo Giovanni Spinola (ora Banca d'America e d'Italia, 1558-1564), sempre in Strada Nuova al n. 5.
L'edificio, che non corrisponde nella facciata e nel cortile ai progetti primitivi, documentati dalle incisioni del Rubens, austero e di eroica grandezza, rivela affinità con la citata villa Grimaldi e quindi con i modi di B. Spazio.
Dal 1563 il C. è presente in un'altra opera della stessa strada, in cui ancora figura come "caput fabrices": il palazzo di Giambattista Spinola (ora Doria, 1563-1566) al n. 6, dove ebbe la collaborazione di G. B. Castello. Alterato nel Seicento nella severa e nuda facciata e nelle logge interne, rivela un inedito rapporto del cortile con l'atrio da una parte e il giardino dall'altra, che lo colloca tra i palazzi di Strada Nuova più innovatori.
Negli stessi anni 1563-1565 il C. restituiva la collaborazione al Castello nel cantiere del palazzo di Nicolosio Lomellino (ora Podestà), sempre in Strada Nuova al n. 7, e più tardi in quello del palazzo di Bartolomeo Lomellino (poi Rostan-Reggio, ora istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele II", 1565-1570) nella contrada Vallechiara (largo della Zecca, n. 4), identificato dal Poleggi col palazzo I del Rubens.
Di quest'ultimo edificio, assai affine a quello di Giambattista Spinola, il C. rimase presto l'unico responsabile per la partenza del Castello.
In parallelo con questi impegni privati, il C. curava per il Comune la trasformazione del palazzetto del Molo in sede della magistratura dell'Abbondanza (1565-1568) e faceva uno studio (1568) per raccogliere le acque del Peralto. Dopo il 1568 il C. non appare più impegnato in imprese di rilievo, ma solo in minori lavori, prevalentemente di restauro, al servizio del Comune, per cui nel 1572 stendeva anche un progetto non realizzato di ricostruzione della chiesa in rovina di S. Pietro in Banchi.
A tanti impegni di lavoro altri il C. ne aveva aggiunti di carattere corporativo: arbitro dell'arte dei maestri antelami nel 1561 e console nel 1562.
Il 3 febbraio 1576 lasciò la carica di architetto di Camera a Giovanni Ponzello. Morì a Genova, probabilmente nella sua casa di vico S. Filippo, tra il 1576 e il 1580 e fu sepolto, per sua richiesta, nella chiesa di S. Maria Annunziata del Vastato. Lasciò sette figli, quattro maschi e tre femmine, avuti dalla moglie Nicoletta De Rozo.
La figura del C. è stata per il passato relegata nella sfera artigianale del maestro antelamo di singolare perizia, versatilità e fortuna, ma sostanzialmente escluso dalla schiera degli architetti creatori. A modificare questa prospettiva critica, più che l'attribuzione di Strada Nuova, che si accompagna a una svalutazione estetica dell'operazione e che tutt'al più gli può meritare la qualifica di "massimo responsabile tecnico" della politica urbanistica genovese alla metà del sec. XVI, è venuta la nuova documentazione messa in luce dal Poleggi, che, proponendo l'attribuzione al C. delle importanti opere che abbiamo sopra elencato, lo eleva al rango di autentico architetto, sia pure nella forma peculiare dell'architetto imprenditore, senza pretese intellettuali, ma tale tuttavia da apparire, anche per la impressionante attività, come "il più conosciuto ed influente" tra tutti i costruttori operosi a Genova negli anni centrali del Cinquecento. Più difficile appare per il momento dare un giudizio sui valori espressivi delle sue opere, per cui si attende una verifica delle attribuzioni e una più vasta e approfondita indagine. Nel quadro che abbiamo qui tracciato risulterebbe un gran salto compiuto dal C. dalla casa Cicala, ancora arcaica nella sua concezione, seppure pesantemente condizionata dall'area disponibile, e più interessante semmai sotto l'aspetto decorativo, ai palazzi Pallavicino e Spinola di Strada Nuova e alla villa Lercari di Sampierdarena, allineati col più evoluto manierismo italiano. È indiscutibile che queste opere denunciano sintomi di timidezza, aridità e contraddittorietà nonché lampanti influssi di personalità più alte e più coerenti come l'Alessi e lo Spazio (con cui il C. ebbe lunga dimestichezza); ma è altresì vero che particolarmente le due ultime, con le loro "inedite esperienze nei disimpegni altimetrici e negli affacci" e in genere con i loro rapporti tra spazio interno e spazio esterno, rivelano una precisa sensibilità per quelle ricerche spaziali caratteristiche dell'architettura genovese, che, maturate nella seconda metà del sec. XVI anche per l'apporto del C., avranno clamorosa affermazione nel secolo seguente.
Presumibilmente figlio del fratello minore del C., Pietro, fu Battista, del quale si hanno scarsissime notizie (ma un figlio dello stesso nome aveva anche l'altro fratello del C., Angelo). Nato probabilmente a Genova verso la metà del sec. XVI, fu quasi certamente alunno dello zio. Nel 1596 fu nominato supplente dell'ingegnere camerale, che era allora G. Ponzello, succeduto nella carica al C. vent'anni prima. Ritiratosi o morto il Ponzello l'anno dopo, Battista partecipò con altri tre candidati al concorso per la nomina alla carica vacante, ma non ottenne nemmeno un voto. Nel 1599 venne chiamato a Sarzana (e il documento relativo lo designa col titolo di "mastro Battista Cantone architetto") perché presentasse un modello per ingrandire il coro e la sacrestia del duomo, senza che peraltro il progetto venisse per allora realizzato. Il suo nome riappare ancora con il titolo di "architectus" in un documento del 1611; in tale data doveva dunque essere ancora vivo e operoso.
Fonti e Bibl.: S. Varni, Elenco dei docc. artistici, Genova 1861, docc. 20, 210; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria, I, Genova 1864, pp. 42 s.; S. Varni, Spigolature artistiche nell'archivio della basilica di Carignano, Genova 1877, docc. III, VI, IX, XI, XIV, XIX; F. Podestà, Il colle di S. Andrea in Genova e le regioni circostanti, in Arti della Soc. ligure di storia patria, XXXIII(1901), p. 52; Id., Il porto di Genova dalle origini fino alla caduta della Repubblica genovese (1797), Genova 1913, pp. 24, 112, 150, 349, 355, 389; G. Martinola, L'architetto Simone Cantoni, in Boll. stor. d. Svizzera ital., s. 4, XXIII (1948), pp. 57 s., 77; E. Poleggi, Il palazzo di A. Doria all'Acquasola a Genova (1541-43), in Bollettino del Centro intern. di studi di architettura A. Palladio, VII (1957), pp. 101-112; Id., Strada Nuova..., Genova 1968, ad Indicem; Id., Genova e l'architettura di villa nel sec. XVI, in Boll. del Centro internaz. di studi di architettura A. Palladio, XI (1969), pp. 233, 235-237; M. Tafuri, L'architettura dell'Umanesimo, Bari 1969, pp. 161-164; P. Torriti, Tesori di Strada Nuova, Genova 1970, ad Indicem; Encid. Ital., VIII, p. 805. Per Battista vedi: F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria, I, Genova 1864, pp. 46 s.; A. Neri, La cattedrale di Sarzana, in Giornale ligustico, XVII (1890), p. 48; Arte e artisti del Ticino, in Boll. stor. della Svizzera ital., XII (1890), p. 251; G. Bianchi, Artisti ticinesi, Lugano 1900, p. 37; G. Martinola, L'architetto Simone Cantoni, in Boll. stor. d. Svizzera ital., s. 4, XXIII (1948), pp. 58 s., 77.