BELLINCIONI, Bernardo
Nacque da povera famiglia a Firenze il 25 ag. 1452, come risulta dal Libro delle età dell'Archivio di Stato di Firenze. Prestissimo diede prova di ingegno fertile e bizzarro con vari sonetti che attirarono l'attenzione di Lorenzo de' Medici, il quale lo prese a benvolere proteggendolo e manifestandogli la sua fiducia con l'affidargli vari incarichi, talvolta delicati se non importanti, come è testimoniato da parecchi versi del B. e dalle risposte relative di Lorenzo. Come tanti altri poeti dell'ambiente mediceo, divenne assai intimo di Lorenzo; a lui si rivolgeva il B. con la richiesta di aiuti materiali e di doni, lamentando la sua povertà e le sue disgrazie, ad alleviare le quali Lorenzo intervenne più volte o per liberarlo dal pagamento di una tassa sull'eredità patema o per farlo cancellare dal libro dei condannati. A Firenze ebbe relazioni ed amicizie con persone di riguardo e con letterati che frequentavano casa Medici, ma anche inimicizie e polemiche che lo posero violentemente in contrasto con vari personaggi fiorentini del tempo.
Fra i suoi protettori poté contare la madre di Lorenzo, Lucrezia Tornabuoni, che pare gli affidasse i suoi libri, e alla quale è diretta un'elegia in terzine attribuita al B. dal cod. Braidense A. D. XI. 24 sulla morte di Giuliano, del quale pure fu amico e al quale inviò versi scherzosi. Relazioni di varia intimità ebbe anche con Paolo Antonio Soderini, rettore dello Studio di Firenze, priore e ambasciatore a Venezia, con Cristoforo Landino., commentatore di Dante, con il poeta Luigi Pulci, che espresse la sua stima per il B. nel Morgante. Fra i suoi nemici il più notevole e acre fu Matteo Franco, cortigiano mediceo e poeta, che ebbe polemiche anche col Pulci.
Nel 1479 il B. si recò al campo di Roberto Malatesta, capitano al servizio del Comune di Firenze nella guerra contro il pontefice Sisto IV; al Malatesta, che si trovava all'assedio di Perugia, il B. aveva dedicato una canzone, e la sua visita è confermata da una lettera da lui inviata a Lorenzo che si trovava a Napoli: dal Malatesta il B. sperava di ottenere impieghi che non ebbe, sicché al principio del 1482 si dispose a lasciare Firenze al seguito del cardinale Francesco Gonzaga e nel 1483 si pose al servizio, in Mantova, del marchese Federico Gonzaga. In quello stesso anno però, come si rileva da una sua lettera diretta il 10 apr. 1483 al marchese Gonzaga durante una visita a Milano, cercava di stabilirsi in questa città, attrattovi dalla corte sforzesca, senza per allora riuscirvi. Nel gennaio 1484 si recò, così, presso Niccolò da Correggio, protettore di poeti e poeta egli stesso, presso il quale si trattenne probabilmente pochissimo. Infatti nel 1485 si trovava già stabilito a Milano; del che si ha conferma da due lettere di Francesco Trachedino che spiegava al destinatario, Benedetto Dei, come si stesse svolgendo, anche per interessamento del B., una manovra, perché potesse godere di una pensione del govemo milanese. A Milano il B. rimase per il resto della sua vita. Fu cortigiano di Lodovico il Moro e anzi intimo di questo. Di Lodovico il Moro fu sollecito servitore, favorendone con gli scritti varie iniziative politiche e divenendone quasi il più accreditato esaltatore. Alla corte sforzesca fu anche organizzatore di feste - come quella che si svolse a Milano il 13 genn. 1490 per festeggiare, a distanza di quasi un anno, le nozze del nipote di Lodovico, Gian Galeazzo, con Isabella d'Aragona - insieme con Leonardo da Vinci, fornendo egli i testi di spettacoli che quest'ultimo realizzava tecnicamente. Dallo Sforza ricevette incarichi di varia natura e anche di ben maggiore rilevanza. Il Moro doveva, infatti, nutrire profonda fiducia nella capacità e nella fedeltà del poeta fiorentino se lo destinò ad essere compagno e cubiculario del giovane nipote, il duca Gian Galeazzo. Nel 1488 inviava il B. a Napoli fra gli ambasciatori che si recavano colà per - ricondume Isabella d'Aragona, che veniva a Milano sposa del giovane duca. Con quest'ultimo i rapporti del B. furono sempre ottimi, come lo furono anche con Isabella; ne fanno testimonianza varie poesie e in particolare un sonetto nel quale Isabella compare in compagnia di Beatrice d'Este, moglie, dal 1491, di Lodovico e più tardi acerrima nemica della duchessa. Al servizio di Lodovico il B. dovette probabilmente migliorare le sue condizioni economiche, poiché nel suo testamento istituiva vari lasciti. Dovette giovargli anche l'amicizia con altri signori della corte milanese, come i figli di Roberto Sanseverino, Galeazzo e Giovan Francesco, il generale di Lodovico Sforza, Pier da Birago, e anche Piero dal Verme, il quale fu poi fatto avvelenare da Ludovico, desideroso di impossessarsi dei suoi feudi. D'altra parte non gli mancarono, anche nel periodo milanese, le polemiche con altri poeti cortigiani, e soprattutto con Antonio Cammelli, detto il Pistoia, probabilmente per ragioni di gelosia nel favore del signore presso cui servivano. Il B. morì in Milano il 12 sett. 1492.
La sua produzione poetica nasce quasi interamente da occasioni esterne, e talvolta fu addirittura determinata da richieste di amici e di protettori. Nel complesso risulta di valore assai modesto e se ne possono porre in evidenza solo alcuni momenti, di congeniale abbandono ad un atteggiamento scherzoso e burlesco o di più nitida pittura di tipi e di paesaggi. Il B. appartiene alla vasta schiera di letterati pennivendoli, che nel Rinascimento furono assai numerosi e che traevano i loro mezzi di vita dall'impiego pratico delle loro cognizioni letterarie. La cultura di questi poeti, e anche del B., fu sempre piuttosto limitata, ed essi si affidavano interamente ad una certa facilità nel verseggiare.
Al periodo fiorentino e giovanile del B. appartengono parecchi sonetti scambiati con Lorenzo, in cui il poeta assicura il suo signore che adempirà puntualmente gli incarichi ricevuti (II, 57), o ringrazia di favori (II, 97)e di doni (II, 80), o scherza su figure di sciocchi (I, 213) o di importuni villani (II, 96). Altri sonetti sono diretti a Lucrezia Tornabuoni, ora per chiedere vivande per un'allegra brigata (II, 882), ora per ringraziarla di lodi espresse su di lui (II, 88); e lei, che aveva già forse consolato con il componimento già citato in morte di Giuliano (II, 160), cantò in versi nell'occasione della morte (II, 128). Efficaci, di intonazione ora malevola, ora burlesca, sono alcune delle rime polemiche, come il sonetto contro Matteo Franco, Taci, non ciarlar più che tu schimazzi (I, 201).Di più alti intenti letterari e morali è invece la canzone scritta nel 1479per ottenere il favore di Roberto Malatesta; in essa il poeta introduce l'immagine di una donna, che è poi l'Italia, la quale, fatte le lodi del Malatesta, si lamenta delle guerre e delle discordie che la travagliano, elaborando un motivo petrarchesco. La canzone si chiude con la preghiera del poeta al Malatesta che gli conceda il suo favore: segno che era questo che stava più a cuore al B., al di là di quei temi politici che trattava e che tornavano per esempio in un sonetto, probabilmente del 1480, contro Sisto IV e i suoi intrighi (I, 173).
Al periodo mantovano appartengono varie poesie ancora di argomento politico, come il sonetto, Che fa la lega ? (I, 30), a proposito della guerra di Ferrara (1481-84), e la canzone sulle disgrazie d'Italia rivolta ad Alfonso di Calabria (I, 73), che aveva preso il comando della lega ferrarese dopo la morte di Federico da Montefeltro e il passaggio ai Veneziani di Costanzo Sforza. Sonetti di lode rivolge il B. a Timoteo Bendedei e al Tebaldeo, conosciuti durante il suo passaggio per Ferrara (I, 108; II, 26; II, 178), mentre più complesse ambizioni letterarie manifesta nell'elegia, scritta pure in questi anni, per la morte del cardinale Francesco Gonzaga. In essa piange l'immatura morte del cardinale e ne descrive l'ascesa al paradiso, dove viene accolto da Rachele e Lia, dinanzi alle quali prova una gioia che lo fa pentire di aver desiderato di vivere più a lungo, e quindi da s. Pietro, che lo consola della morte in giovane età additando i mali e la corruzione del mondo e portandolo prima dinanzi a Beatrice, poi al padre e alla madre, che gli chiedono notizie del giovane marchese Federico e dell'Italia. Nella conclusione torna ad esprimere le lodi del Gonzaga. Evidente in essa è l'ispirazione dantesca, testimonianza laterale della nuova fortuna in cui torna Dante, al cui studio probabilmente il B. s'era dedicato quand'era a Firenze, sul finire del Quattrocento. Il soggiorno mantovano sarà più tardi gratamente ricordato dal B. in un sonetto forse del 1490, O fortunata, o ricca, o lieta Manto, in cui si celebrano le nozze di Isabella d'Este con il marchese Gianfranco Gonzaga. Dopo il passaggio a Milano, la poesia del B. verte spesso sull'abilità politica del Moro o cerca di presentare in modo favorevole la sua condotta così, ad es., il sonetto in cui cerca di convincere i Genovesi che il Moro ha loro evitato l'aggressione dei Fiorentini (I, 35), o quello che esalta l'accordo tra Lodovico e Lorenzo (I, 34), o infine quello che celebra la vittoria ottenuta dagli sforzeschi in Val d'Ossola sugli Svizzeri (I, 221). Più semplicemente volti a lodare le qualità del Moro sono i sonetti I, 33 e II, 104; altri personaggi della corte milanese sono lodati da lui: Gian Galeazzo (II, 18; II, 109), Isabella d'Aragona (I, 61-62), Beatrice d'Este (II, 5), Bianca Maria Sforza (I, 70). Varie rime sono dedicate all'illustrazione dei buoni rapporti tra il Moro e il nipote (I, 15-29; II, 43; I, 43; I, 37; II, 187). Né mancano nel periodo milanese rime polemiche, per esempio, contro Baccio Ugolini, cortigiano mediceo (I, 104, 106; II, 180), o contro Guidotto Prestinari (I, 190). Una parte notevole nella produzione del B. è tenuta dalle rime burlesche, solo in piccola parte fedeli agli schemi diffusi dal Burchiello; anzi le migliori sono quelle in cui liberamente caratterizza un tipo, l'avaro (I, 127-129), il mangione (I, 158), il paggio (II, 3), o evoca una situazione comica, una cattiva cena (II, 96), una cattiva osteria (II, 147).
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