LAMA, Bernardo Andrea
Nacque probabilmente a Napoli, intorno al 1685. Le notizie sulla famiglia e sui suoi primi anni sono pressoché nulle. C. Denina lo dice calabrese, ma il L. nelle sue opere si definiva napoletano. Un fratello, Mario, fu professore di fisica nell'Università di Napoli.
Destinato alla carriera ecclesiastica, entrò nel seminario di Napoli, ma lo lasciò improvvisamente nel 1705 per andare a Parigi, con l'intenzione di conoscere Nicolas de Malebranche. Nella capitale francese il L. si trattenne poco meno di tre anni.
Per qualche tempo lavorò con il benedettino Matteo Bandur (Anselmo Maria Banduri), filologo e bizantinista dalmata che, trasferitosi a Parigi nel 1702 grazie a una pensione del granduca di Toscana, stava allora lavorando a Imperium orientale, sive Antiquitates Constantinopolitanae in quatuor partes distributae (Parigi 1711). Il L. avrebbe dovuto aiutarlo come traduttore dal greco e dall'ebraico; il rapporto fra i due, tuttavia, non diede i frutti sperati, e il L. iniziò presto a frequentare gli ambienti culturali parigini, dedicando sempre meno tempo all'opera di Banduri. Particolarmente importanti per la sua formazione furono l'amicizia con Nicolas Fréret e, tramite questo, la frequentazione del salotto di Henri de Boulainvilliers, uno dei principali centri di diffusione del pensiero spinozista in Francia. Ancora vent'anni dopo M. Agostino Campiani definiva il L. "vero filosofo spin[ozista]" (lettera a F. d'Aguirre, 28 ag. 1728, in Milano, Biblioteca Trivulziana, Mss., 196).
Nel 1708, vedendo che le sue speranze erano destinate a non avverarsi, il L. decise di trasferirsi a Roma, per trovarvi un impiego di prestigio. Poteva contare su diversi amici, fra cui in particolare il canonico napoletano Carlo Maiello (m. 1738), già suo professore nel seminario di Napoli, del quale erano note le battaglie antigesuitiche, sorte in particolare per i suoi insegnamenti cartesiani.
Oltre che a lui, a Roma il L. si legò ad altri due personaggi destinati a incidere non poco sul suo pensiero: il medico Giovanni M. Lancisi, professore di chirurgia alla Sapienza, e soprattutto l'abate napoletano Celestino Galiani. Quest'ultimo gli fece conoscere l'opera di Newton, favorendo il suo passaggio dal cartesianesimo al newtonianesimo. Per ottenere un impiego nelle segreterie pontificie o una cattedra universitaria, tuttavia, il L. doveva completare gli studi. A questo fine nel 1714 tornò a Napoli, dove divenne allievo di G. Argento, frequentando quindi lo stesso ambiente di Pietro Giannone (due componimenti del L., il primo in latino il secondo in greco, sono in Vari componimenti per le nozze del signor Gaetano Argento, Napoli 1714, pp. 94, 104).
A Roma, nonostante l'interessamento degli amici, il L. riuscì solo a esser assunto come segretario presso i Colonna. La soluzione non lo soddisfaceva e, dopo altri tentativi, nel 1717 riuscì a divenire segretario di mons. Francesco Landi, ambasciatore pontificio a Parigi e futuro arcivescovo di Benevento: al suo seguito il L. fece così ritorno nella capitale francese. Anche questa volta, però, il soggiorno in Francia si rivelò provvisorio. Confidava nella possibilità di ristabilire i contatti nati in occasione del primo viaggio, ma si trovò in una città in piena crisi politica.
La morte di Luigi XIV e l'incapacità di Filippo d'Orléans di riportare in una situazione di equilibrio il potere monarchico avevano fatto riesplodere le tensioni fra i ceti. Anche se attratto dai dibattiti allora in corso a Parigi su posizioni filoparlamentari e filogallicane, contrarie all'applicazione della bolla papale Unigenitus (1711), il L. aveva in realtà maturato il desiderio di tornare a Roma, sperando di essere chiamato per interessamento di vecchi amici a una "scrittoria vaticana". Partito improvvisamente dalla Francia nel 1717, raggiunse Torino, da dove gli era già stato rivolto il caldo invito a porsi al servizio di casa Savoia. Le sue mire continuavano a essere rivolte a un impiego a Roma, e tuttavia le pressioni dei funzionari sabaudi raccolti intorno ai disegni di riforma promossi da Vittorio Amedeo II riuscirono infine a far breccia nelle sue resistenze.
Chiamato dunque a Torino nel 1718, visse in prima persona l'elaborazione dei nuovi programmi di studio destinati all'ateneo della città. Vittorio Amedeo II gli conferì inizialmente la cattedra di lingua greca, destinandolo però successivamente a quella di eloquenza latina.
Il L. chiarì il proprio programma culturale nella prolusione al corso del 1720, richiamandosi alla tradizione di Telesio, Campanella, Galileo e Cartesio e rifiutando quella aristotelica e scolastica. L'incontro determinante a Torino fu con il siciliano Francesco d'Aguirre, avvocato fiscale dell'Università, amico e corrispondente di alcuni dei maggiori intellettuali italiani, fra cui Scipione Maffei, L.A. Muratori, P. Giannone e P. Metastasio. Altre amicizie importanti negli anni torinesi furono quelle con altri docenti giunti in Piemonte negli stessi anni: i teologi Francesco D. Bencini e Giuseppe Roma (quest'ultimo allievo di Galiani), il grecista ed ebraista Giuseppe Pasini e infine A. Campiani (allievo di Gian Vincenzo Gravina). Inoltre il L. strinse amicizia con l'incaricato d'affari inglese Edmund Allen, con il quale discusse a lungo di matematica e di newtonianesimo. Dalla corrispondenza del L. con l'antico maestro Galiani emerge anzi con chiarezza che nell'ambiente accademico torinese tali temi erano assai discussi.
Sin dall'arrivo, proprio perché al centro di una rete di conoscenze che aveva riprodotto a Torino stimoli e speranze della cultura romana scientificamente più avanzata, il L. fu oggetto di attacchi e polemiche contro le sue idee, giudicate eterodosse. Le accuse partirono nel 1720 dalla Congregazione di S. Filippo Neri di Chieri, presso la quale gli era stato concesso dal sovrano di recarsi per rimettersi in salute. Il re intervenne a favore del L. e l'episodio si chiuse senza conseguenze (Copia di lettera del professor Lama al superiore della Congregazione di S. Filippo Neri di Chieri, in sincerazione delle accuse fattegli d'aver gettato e sostenuto varie proposizioni pendente il suo soggiorno in detta città in novembre 1720, in Arch. di Stato di Torino, Materie economiche, Istruzione pubblica, R. Università, m. 2, c. 21). Vittorio Amedeo II, in effetti, riponeva grande fiducia nel L., come emerge, fra l'altro, dalla decisione di affidargli il commento a un manoscritto dell'abate fiorentino A. Niccolini sulla spinosa questione della bolla Unigenitus (Ouvrage de l'abbé Niccolini sur la constitution Unigenitus, 1723 circa, Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie ecclesiastiche, categoria 24, Unigenitus, m. 2, n. 18). Le note a questo testo, di carattere strettamente storico-filologico, non mancavano di lasciar trasparire le simpatie gallicane del L., contro cui i gesuiti tentarono uno degli ultimi atti di forza prima che le riforme scolastiche del 1729 ne svuotassero l'egemonia in campo educativo. Causa di nuove polemiche fu, nel 1723, una serie di iscrizioni latine eseguite dal L. e da Campiani, su ordine di Vittorio Amedeo II, in onore di Maria Caterina d'Este (1656-1722), vedova del principe Emanuele Filiberto di Savoia Carignano. Attaccato dai censori come autore di componimenti goffi e stravaganti, il L. si difese in un libretto pubblicato anonimo a Torino nel 1723, Degli elogi funerali. Ragionamento ai letterati della città di Torino, in risposta ad una novella critica intitolata I difetti dell'artefice maestri dell'arte. Ricco di ironia nei confronti dei detrattori, il L. dimostrava la purezza classica dei suoi componimenti, facendo sfoggio di cultura antica, non solo latina, ma greca ed egizia, e ritorcendo l'accusa di contraddizione e ignoranza sui detrattori. In un secondo volume, Degli elogi funerali. Ragionamento II (Torino 1724) criticò lo stile tardo barocco radicato negli ambienti gesuitici, contrapponendo il rinnovamento culturale avvenuto con l'umanesimo. All'anno successivo risale poi la Risposta prima del conte torinese alla lettera del cavalier di provincia (s.n.t., ma Torino 1725), in cui dietro i due personaggi indicati dal titolo si celano il L. e il cavaliere Carlo Giacinto Ferreri. Tali polemiche, comunque, confermarono il prestigio del L.; anche Montesquieu, durante il suo viaggio a Torino del 1728, lo incontrò, giudicandolo fra gli uomini più dotti della penisola.
Nel frattempo il L. proseguiva il suo lavoro didattico, destinato a confluire nel regolamento del 1729 per le nuove scuole provinciali e, soprattutto, nei programmi per i corsi di latinità, umanità e retorica, che avrebbero sottratto al monopolio religioso il controllo della struttura scolastica secondaria e in cui era evidente la lezione di Muratori, suo costante punto di riferimento. L'attività di docente fu affiancata da quella non meno impegnativa di storiografo. Poco dopo averlo fatto venire a Torino, Vittorio Amedeo II incaricò il L. di scrivere una storia della dinastia sabauda che sostituisse quella di Samuel Guichenon (Histoire généalogique de la maison de Savoie, Lyon 1660). L'opera doveva rispondere a precise esigenze politiche: celebrare la dinastia e la sua politica italiana, sostenerne le origini sassoni, dimostrare il legittimo possesso del vicariato imperiale, indicare come il potere sabaudo si fosse consolidato arginando il particolarismo feudale e comunale e limitando le pretese della Chiesa.
Dal 1721, quindi, il L. lavorò con grande impegno alla stesura dell'Histoire de la maison de Savoye (Arch. di Stato di Torino, Corte, Storia della R. Casa, categoria 2, mm. 12-18). Pur fortemente condizionato, realizzò un'opera di moderna erudizione facendo tesoro delle lezioni apprese a Napoli e soprattutto a Parigi. Anche se non dichiarata era inoltre implicita la lezione di Muratori, cui il gruppo del L., Aguirre, Bencini, ecc. guardava come a un riferimento costante. La redazione dell'Histoire terminò nel 1728. Il sovrano la sottopose a diversi funzionari, fra cui l'intelligente e colto segretario di Stato agli Interni Pietro Mellarède. Questi trovò che l'opera non rispondeva appieno alle esigenze politiche che ne avevano sollecitato la scrittura. Il L., tra l'altro, non aveva esplicitamente sostenuto l'origine sassone della dinastia per non polemizzare con Muratori, che tale tesi aveva respinto nelle Antichità estensi. Colpiva, poi, che il L. avesse trattato Ginevra come una Repubblica, riconoscendole l'indipendenza che lo Stato sabaudo non aveva mai voluto legittimare, e la Sindone in termini che potevano apparire perlomeno ironici, se non implicitamente increduli. Problematiche erano, inoltre, anche le pagine sui Valdesi, in cui il L. si era espresso in modo che avrebbe potuto urtare le potenze protestanti. A queste stesse ricerche si deve ricondurre la stesura delle Memorie diverse... onde stabilire la sovranità della Real Casa di Savoia sopra il marchesato di Saluzzo (ibid., cat. 5, Acquisti e diritti, m. 4, c. 15), in parte confluite nell'opera maggiore.
Alla fine del 1729 il L. si era ormai convinto che l'Histoire non sarebbe mai stata pubblicata. Decise allora di rompere con Torino; all'inizio del 1730 di nascosto si portò a Milano, accolto da Aguirre, che aveva lasciato Torino tra la fine del 1727 e l'inizio del 1728, trovando un prestigioso impiego nel capoluogo lombardo come questore della Giunta del censimento. La notizia, subito comunicata - fra gli altri - a Muratori, era un'ulteriore prova dell'esaurirsi della spinta creativa del riformismo amedeano, che una decina di anni prima aveva attratto intellettuali da tutta la penisola e ora li allontanava, proprio quando le nuove leggi sull'Università sembravano coronare un decennio di riforme. In maggio il L. andò a Vienna, con l'intento di trovare impiego presso gli Asburgo.
Nel lasciare Torino aveva portato con sé il manoscritto dell'Histoire de la maison de Savoie, non è chiaro se per pubblicarla o come una sorta di assicurazione contro vendette per la fuga improvvisa. Certo è che il governo sabaudo si diede un gran da fare per recuperare il manoscritto. L'opera, lunga e complessa, fu affidata dal marchese Carlo V. Ferrero d'Ormea, primo ministro de facto, all'ambasciatore a Vienna, il marchese Giuseppe R. Solaro di Breglio, che nel 1732 ottenne dal L. la consegna dell'opera dietro pagamento di una somma ingente. Fu, peraltro, lo stesso Solaro, dopo averla letta, a sconsigliarne la pubblicazione, suggellando così una decisione probabilmente già presa.
A Vienna il L. si inserì nell'ambiente dei napoletani, legandosi in amicizia con Giannone (esule a Vienna dalla pubblicazione dell'Istoria civile, nel 1722), Pio N. Garelli, prefetto della Biblioteca Palatina dal 1725 e Nicola Forlosia, bibliotecario nella stessa. Contemporaneamente il L. riuscì a entrare nelle simpatie del marchese R. Rialp di Vilhena, ministro di Carlo VI, che lo fece assumere nella segreteria di Spagna, da lui diretta.
Una testimonianza sui rapporti del L. con Giannone e con il suo ambiente è offerta da una lettera inviata l'8 genn. 1731 ad Aguirre. Il L. vi raccontò di avere discusso con Garelli e Giannone la Lettera… a un amico sopra l'edizione delle Croniche del Villani fatta a Milano l'anno 1729, che attaccava duramente l'edizione delle Croniche realizzata da Muratori nei tomi XIII e XIV dei Rerum. Il L. e i suoi amici presero le difese di Muratori, accusando l'Accademia della Crusca (al cui ambito, giustamente, riconduceva la scrittura della Lettera, apparsa anonima). Nella lettera il L. riprendeva, peraltro, spunti delle Osservazioni… all'edizione del Villani, che Giannone aveva terminato nel dicembre del 1730. Un'ulteriore prova degli stretti legami col Giannone è data dalla lettura pressoché contemporanea, nel corso del 1731, della Philosophia adamito-noetica del frate calabrese Antonio Costantino, allora poeta cesareo. Sia il L. sia Giannone recensirono criticamente il lavoro, con giudizi sostanzialmente analoghi. Negli stessi anni il L. pubblicò le opere del poeta spagnolo del '500 F. Villegas-Ruiz, portando a compimento il lavoro iniziato dal religioso iberico M. Marti (Ferdinandi Ruizii Villegatis Burgensis quae exstant opera. Emmanuelis Martini Alonensis decani studio emendata et ad fidem Castelviniani codicis correcta a Bernardo Andrea Lama iterum recognita ac recensita nunc primum prodeunt…, Venetiis 1734).
La fine del dominio austriaco su Napoli e la nascita di un'autonoma monarchia sotto Carlo di Borbone costrinsero molti esponenti della colonia napoletana, fra cui Giannone, a lasciare la capitale austriaca. Anche il L., per un certo tempo, accarezzò l'idea di rientrare in patria e, negli anni successivi, cercò l'aiuto in questo senso di Berardo Galiani. Il ritorno, tuttavia, non fu possibile e il L. restò a Vienna, dove nel 1743 divenne sovrannumerario nella Palatina ed ebbe l'incarico di insegnare l'italiano ad alcune delle arciduchesse, figlie di Maria Teresa.
A questi anni, i meno indagati della sua biografia, risalgono ancora alcune edizioni di testi. Fra 1744 e 1757 pubblicò in due volumi, presso l'editore milanese G. Cairoli e insieme con gli amici Aguirre e Bianchi, il poema Adamo, ovvero Il mondo creato di T. Campailla, esposizione della dottrina cartesiana. Nel 1759 stampò a Vienna quello che fu forse il suo ultimo lavoro, la traduzione latina del Della regolata divozione dei christiani di Muratori (De recta hominis Christianis devotione opus Lamindi Pritanii), di cui si conosce almeno una seconda edizione a Venezia, nel 1760.
Il L. morì a Vienna nel 1760.
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