VARISCO, Bernardino
– Nacque a Chiari, in provincia di Brescia, il 20 aprile 1850, da Carlo, direttore del ginnasio locale, e da Giulia Bonatelli, sorella del filosofo Francesco Bonatelli.
Il padre era un cultore appassionato delle lingue e delle civiltà classiche, ma, privo di ambizioni sia accademiche sia scientifiche, rimase per tutta la vita a dirigere il ginnasio di Chiari, giungendo al punto di rifiutare la presidenza del liceo di Rimini offertagli, probabilmente per il suo orientamento patriottico, dal governo dello Stato unitario, di recente proclamazione. La madre di Bernardino era la seconda moglie del padre, che dalla prima, scomparsa in giovane età, aveva avuto un solo figlio, morto da bambino. Con Giulia, Carlo Varisco ebbe, oltre a Bernardino, tre figlie. Rimasto vedovo una seconda volta, si sposò per la terza, di nuovo con una Bonatelli, alla quale pure sopravvisse.
L’infanzia e l’adolescenza del giovane Varisco furono contraddistinte da un’educazione ispirata a sentimenti patriottici e irredentistici, pervasi da una profonda religiosità. Dopo aver concepito, senza riuscire a portarlo a termine, il disegno di arruolarsi nell’esercito italiano allo scoppio della terza guerra di indipendenza – quando era appena sedicenne, allievo del Collegio nazionale di Torino –, in occasione dell’esame con il quale avrebbe coronato il suo percorso scolastico scrisse un componimento intriso di un così profondo e sincero sentimento nazionale e contraddistinto da un’enfasi letteraria tanto efficace che gli valse la medaglia d’oro del re, venendo valutato come la migliore prova scritta di italiano tra tutte quelle composte da coloro che, nel suo stesso anno, sostennero l’esame di licenza liceale.
Terminato il liceo, Varisco si iscrisse al Politecnico di Torino, città nella quale aveva svolto il suo percorso scolastico secondario, per poi passare all’Università di Padova dove si laureò in ingegneria e conobbe la sua futura moglie, Natalina Müller. Il matrimonio lo costrinse ad abbandonare la prospettiva di intraprendere una libera professione, cosa che avrebbe richiesto troppo tempo, tenuto conto dei suoi nuovi obblighi, per ottenere un reddito soddisfacente, e lo indusse a dedicarsi all’insegnamento della matematica presso l’istituto tecnico di Porto Maurizio. Qui nacquero le sue due figlie, Giulia e Maria, rispettivamente nel 1877 e nel 1879, ma, contemporaneamente, iniziò a declinare la salute della giovanissima moglie (aveva appena 16 anni quando si erano sposati), che morì nel 1881, a soli 23 anni. Questa morte prematura fu causa, per Varisco, di una profonda afflizione testimoniata, tra l’altro, da alcune lettere al padre in cui Bernardino dichiarava di essere stato trattenuto dal por fine alla propria vita solo dal senso religioso del dovere e della responsabilità nei confronti delle figlie. L’evento luttuoso determinò, inoltre, un lacerante conflitto con il suocero Luigi Müller, che lo ritenne responsabile del destino di Natalina, accusandolo di averne causato la morte con l’impedire che lei si trasferisse, per un periodo, in provincia di Padova allo scopo di riprendersi dal logoramento fisico cui i due parti ravvicinati avevano sottoposto il suo gracile organismo. Il suocero attribuiva l’opposizione di Varisco alla morbosa gelosia da lui nutrita nei confronti della moglie, e non volle mai più rivedere il genero.
Nonostante il dolore per la perdita subita, aggravato dalla mortificazione prodotta in lui dalle accuse del suocero, Varisco si sposò una seconda volta, con la figlia di un preside di Porto Maurizio, ma il matrimonio non durò che i pochi mesi necessari ai due coniugi per rendersi conto dell’incompatibilità dei loro caratteri e delle rispettive esigenze, concludendosi, in breve, con una separazione.
Fu a quel punto che Varisco si trasferì da Porto Maurizio a Bergamo e che iniziarono a intensificarsi i rapporti e gli scambi con lo zio materno: il filosofo Francesco Bonatelli. Questi, aderente a una visione spiritualistica e religiosa della vita alla quale aveva ispirato il proprio pensiero filosofico, esercitò progressivamente un’influenza sempre più decisa su Varisco che, laureato in ingegneria e insegnante di matematica, propendeva inizialmente per un indirizzo filosofico di orientamento positivistico. È grazie allo zio che in Varisco si risvegliò un interesse per la filosofia molto meno generico di quanto non fosse la sua istintiva simpatia di scienziato per il positivismo, al quale, comunque, continuò a guardare con attenzione anche dopo l’avvio del proprio più diretto impegno filosofico, ma in modo maggiormente avvertito e consapevole dal punto di vista concettuale.
Questo più definito interesse per la filosofia lo spinse, al principio degli anni Novanta, a esporre, in una serie di contributi – pubblicati negli Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti grazie ai buoni uffici di Bonatelli – le proprie riflessioni di carattere filosofico su tematiche di natura logico-gnoseologica. Apparvero così, tra il 1891 e il 1893, le Ricerche intorno ai principi fondamentali del pensiero, le Ricerche intorno ai principi fondamentali del ragionamento e il saggio Di una nuova ipotesi intorno ai fondamenti del pensiero. Sempre nel 1893 uscirono, per i tipi di due tipografie, una di Bergamo e l’altra di Padova, Sul problema della conoscenza e Verità di fatto e verità di ragione. Con La necessità logica, pubblicato negli Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, nel 1895 si concluse questo primo, intenso periodo di elaborazione filosofica che lo occupò nell’ultimo decennio del XIX secolo. In precedenza Varisco aveva pubblicato degli scritti di carattere scientifico (se ne segnalano due: Sui numeri primi e Sulla deviazione apparente del piano di oscillazione di un pendolo dovuta alla rotazione terrestre).
È questa, presumibilmente, la fase alla quale va fatto risalire il suo originario orientamento positivistico, empiristico, deterministico, da lui stesso denunciato e rigettato in seguito, ma che non mancò di far sentire la propria influenza anche nei primi contributi di carattere filosofico. In questi, da un lato, tutto viene ridotto ad ‘atti’ e ‘stati di coscienza’, ma, dall’altro, tale distinzione si intreccia con quella fra esteriorità e interiorità in un modo che non lascia dubbi sul carattere non idealistico di una gnoseologia così concepita. In un quadro filosofico diverso, a distanza di una quindicina d’anni, nell’opera I massimi problemi, si ritrova una distinzione analoga tra ‘sensibile’ e ‘sentito’. La relativa indipendenza del sensibile rispetto al sentito comporta qui che, anche se del sensibile si può avere contezza solo attraverso un atto di apprendimento soggettivo ossia una sensazione individuale, esso sussiste indipendentemente da quell’atto e può essere oggetto di tanti altri atti distinti di apprendimento soggettivo (di analoghe sensazioni cioè che, avendolo come contenuto comune, siano espressione di altrettante diverse coscienze individuali). Come contenuto comune di atti di coscienze diverse, esso fornisce la base per conferire alla conoscenza unità e interconnessione. Ma se questa unità, che potrebbe essere definita ‘dal basso’, fosse la sola, non avremmo mai modo di coniugarla con un sistema organico di leggi razionali, che corrisponde a una unità ‘dall’alto’: gli stati di coscienza sono altrettante monadi che possono combinarsi in una unità razionale solo a condizione che la razionalità che li pervade (e che si riflette tanto nei sentiti quanto nei sensibili) sia a sua volta riconducibile a un principio unico e sovrasensibile, l’essere, del quale si tratta di comprendere se rappresenti solo una unità necessaria, rigorosamente governata da leggi deterministiche o non sia a sua volta una unità personale dotata di coscienza e trascendente tutte le coscienze, alle quali, con questo suo trascenderle, fornirebbe, appunto, unità. In effetti, sia pure all’interno della rigida necessità delle leggi dell’essere, la coscienza, fatto tra i fatti, è tuttavia contraddistinta dalla spontaneità, ossia dalla libertà e dal finalismo, che soli possono rendere conto dell’agire del soggetto che ne è depositario; di un soggetto, cioè, influenzato non semplicemente dalle leggi della ragione ma dal sentimento, dalla volontà e dai valori: tutti elementi senza i quali una vera e concreta conoscenza risulterebbe impossibile.
Il pensiero di Varisco è, pertanto, un pensiero che intende porsi al di là delle alternative fra materialismo e idealismo, immanenza e trascendenza, e che, proprio per questo, è stato spesso interpretato riconducendolo all’uno o all’altro di questi estremi (nella sua fase matura esclusivamente al secondo). In realtà la sua filosofia dovrebbe, piuttosto, definirsi come un pensiero oscillante fra i termini di questa duplice alternativa, volto a superarla rendendo conto insieme delle esigenze insopprimibili dell’una e dell’altra posizione, anche se tendente ad accentuare, nel suo sviluppo, l’aspetto idealistico (mantenuto, comunque, a una rigida ‘distanza di sicurezza’ dal neoidealismo di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, con i quali, soprattutto con il secondo, il rapporto non fu mai idilliaco, come risulta dai giudizi spesso sprezzanti che riguardo a Varisco si trovano formulati nella corrispondenza dei due filosofi) insieme a quello religioso o trascendente: due tratti che mal si combinano e che infatti inducono Varisco, nella sua ultima riflessione, ad affidarsi sempre più al sentimento religioso come all’autentica chiave per dispiegare, intera, la natura della ragione. Di questo esito conclusivo (anche se non necessariamente concludente) è documento l’opera postuma Dall’uomo a Dio, la cui importanza agli occhi di Varisco è provata dal suo affidarla, per sicurezza, alle poste, senza portarla con sé, ogni volta che si muoveva tra Chiari e Roma essendo nel frattempo divenuto senatore del Regno d’Italia, perché gli venisse recapitata al suo arrivo.
In ogni caso, gli scritti dei suoi esordi filosofici, pubblicati negli anni Novanta del XIX secolo, furono preludio all’opera che diede per prima autentica fama e risonanza al suo pensiero, ossia Scienza e opinioni del 1901, la quale ottenne il premio reale e gli valse la cattedra universitaria presso l’Ateneo romano, dove cominciò a insegnare nel 1906, all’età di cinquantasei anni. La sua carriera accademica fu pertanto piuttosto breve, concludendosi con il pensionamento per raggiunti limiti di età nel 1925. Ma un ulteriore riconoscimento lo attendeva ormai settantottenne: la nomina a senatore nel 1928, per avere con la sua opera dato lustro all’Italia: carica il cui conferimento dimostra come, anche se le parole commemorative di Luigi Federzoni in Senato alla sua morte («meglio che veterano, profeta del fascismo», in Senato del Regno, Atti parlamentari, Discussioni, 11 dicembre 1933) si devono considerare senz’altro eccessive nella loro enfasi retorica, Varisco non fosse ostile al fascismo, che vide nascere probabilmente con favore, data la sua adesione alla causa nazionalista dalla quale fu spinto anche a collaborare, per qualche tempo, al periodico di Enrico Corradini L’Idea nazionale.
Dopo il fallimento del secondo matrimonio Varisco visse sempre con la prima figlia, Giulia. La seconda, Maria, alla quale era particolarmente affezionato, si sposò nel 1903 e morì nel 1918 quando non aveva ancora quarant’anni: questo evento gli diede l’ultimo grande dolore e ne sconvolse l’incipiente vecchiaia imprimendo un senso tragico all’ultima fase della sua esistenza.
Alla fine del 1933, giunto all’età di ottantatré anni, fu ricoverato per una sorta di logoramento senile nell’ospedale di Chiari, dove si spense il 21 ottobre circondato dall’affetto della figlia rimasta sempre con lui e degli allievi più cari accorsi al suo capezzale, tra i quali, in particolare, Enrico Castelli e Pantaleo Carabellese.
Opere. Una bibliografia sostanzialmente completa delle opere di Varisco è nel lavoro di Giulio Alliney (1943), ove non vengono menzionati i tre scritti di carattere scientifico che risalgono ad anni precedenti allo sbocciare della sua vocazione filosofica: Saggio sulla teorica dei rapporti, Padova 1872; Sui numeri primi, Jesi 1886; Sulla deviazione apparente del piano di oscillazione di un pendolo dovuta alla rotazione terrestre, in Giornale scientifico delle scuole secondarie italiane, 1890.
Fonti e Bibl.: L’unica biografia esistente di Varisco è rappresentata dalle poche pagine della prefazione (L’uomo Varisco) all’opera citata di Giulio Alliney, che di Varisco era nipote, essendo figlio della figlia Maria. La bibliografia su Varisco non è molto recente (segno di un interesse per la sua personalità e il suo pensiero che si è andato spegnendo): P. Carabellese, L’essere e il problema religioso. A proposito del conosci te stesso di B. V., Bari 1914; A. Levi, Il pensiero filosofico di B. V., in Rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi, 1920; G. Tarozzi, La filosofia di B. V., in Rivista di filosofia, 1923; E. Castelli, Il problema teologico in B. V., in Scritti filosofici per le onoranze nazionali a B. V., Firenze 1925; A. Pastore, Verità e valore nel pensiero filosofico di V., ibid.; P. Carabellese, Il pensiero di B. V., in Giornale critico della filosofia italiana, 1926; E. Castelli, Il pensiero religioso in B. V., in Studium, 1929; E. De Negri, La metafisica di B. V., Firenze 1929; E. Castelli, Il massimo problema nel pensiero e nella vita di B. V., in La scuola cattolica, 1933; C. Ottaviano, Il superamento dell’immanenza in B. V., in Archivio di filosofia, 1934; P. Carabellese, B. V., in Enciclopedia italiana, XXXIV, Roma 1937, s.v.; M.F. Sciacca, B. V., in Logos, 1937; T. Moretti-Costanzi, Il problema dell’uno e dei molti nel pensiero di B. V., Roma 1940; G. Alliney, B. V., Milano 1943; G. Calogero, La filosofia di B. V., Messina-Firenze 1950.