SANTINI, Bernardino
– Nacque ad Arezzo il 12 agosto del 1593 da Bartolomeo e da Giovanna, di cui non si conosce il cognome (Arezzo, Archivio della Fraternita dei Laici, Vacchette dei battezzati in Duomo, 1560-1573, c.n.n.). Oggi giudicato il maggiore pittore aretino del Seicento è correttamente individuato nel «Santini vecchio», distinguendolo in modo definitivo dal figlio Giuseppe, menzionato invece come «Santini giovane». Attraverso una ricerca documentaria affrontata per la prima volta sistematicamente nel 2000 (Fornasari, 2000), non solo si hanno dati cronologici più precisi e allargati rispetto al solo quinquennio in cui i pochi elementi già noti erano stati concentrati in passato, ma è stata delineata per intero la sua lunga carriera, durante la quale, oltre a incarichi prestigiosi, egli ricevette commissioni di vario genere, svolgendo anche attività di disegnatore di architettura, di restauratore, di doratore e di ritrattista.
La primissima formazione di Bernardino avvenne nella bottega del padre Bartolomeo, anch’egli pittore, e capostipite di una dinastia di artisti conclusasi con Giuseppe, pittore come il padre e come il nonno, sebbene allontanatosi dalla lezione paterna e allineatosi al linguaggio di Pietro da Cortona, che era divenuto dominante in ambito aretino nella seconda metà del Seicento. La famiglia Santini, assai spesso impegnata anche in cariche istituzionali, faceva parte del ceto cittadino e godeva del quinto grado di nobiltà. Essa abitava nella contrada di S. Niccolò (Archivio di Stato di Arezzo, Antico Comune, Deliberazioni e partiti dei Priori e del Consiglio Generale, 31, 1596-1602, c. 11r). La cittadinanza aretina fu ottenuta da Bartolomeo il 12 novembre del 1596 assumendo lo stemma in campo celeste traversato con da croce gialla con quattro stelle d’oro. Dalla petizione inoltrata al Consiglio dei priori risulta che la famiglia Santini risiedeva in Arezzo già da cinquanta anni e che da dieci Bartolomeo esercitava l’«arte della pittura». Bartolomeo, nato e morto ad Arezzo (7 luglio 1566 - 2 novembre 1639), ricoprì cariche pubbliche e fu interprete di quel linguaggio pittorico, sviluppatosi in ambito aretino tra il Cinquecento e il Seicento, che per alcuni aspetti si manifesta di lontana eco vasariana e per altri, invece, era aggiornato sui motivi introdotti da Federico Barocci con la celebre Madonna del popolo (Firenze, Galleria degli Uffizi), destinata in origine alla pieve di S. Maria di Arezzo, e mediati nell’intero territorio anche attraverso le stampe, diffusissime in città e a Sansepolcro. Fu questo l’ambito in cui si formò il giovane Bernardino, rivelandosi fin dagli esordi aperto ad altre esperienze e particolarmente ricettivo.
La sua carriera, che si sviluppò soprattutto in Arezzo e in alcuni centri della provincia, segnò un innalzamento qualitativo rispetto al livello degli altri artisti locali a lui contemporanei. Impegnato solo in imprese di carattere religioso, Bernardino elaborò negli anni della maturità uno stile naturalistico che s’inserisce in composizioni di normalità controriformata, rivelandosi non disgiunto da accenti di stampo iberico caravaggesco, particolarmente graditi in alcune zone del territorio aretino, come il Casentino, e al contempo sostanzialmente fedele alla matrice fiorentina, con una vicinanza particolare ai toni luministici di Iacopo Vignali e con elementi mutuati dalla lezione di Baccio Ciarpi, documentata nella vicina Cortona. Come il padre, Bernardino fu bene introdotto nell’ambiente cittadino, mantenendo rapporti molto stretti soprattutto con le compagnie religiose, che a loro volta ruotavano intorno a famiglie nobili. Dotato di indole eclettica e come tale soggetta a continui cambiamenti nell’arco della intera carriera, per Bernardino fu fondamentale la frequentazione diretta dell’ambiente biturgense, confermata dalla conoscenza delle incisioni di Raffaello Schiaminossi e dalla vicinanza con Giovanni Battista Mercati, oltre cha dalla dipendenza da Cherubino Alberti, da Remigio Cantagallina e da Camillo Cungi, come attesta il primo nucleo di lavori, realizzati entro il 1629.
Il debutto di Bernardino in Arezzo è segnato da una serie di copie da Barocci. Una di queste è la tela con le Stigmate di s. Francesco, eseguita per il canonico Bernardino Innocenzo Redi e per la chiesa della SS. Annunziata intorno al 1620 e tratta fedelmente dal prototipo urbinate (Urbino, Galleria nazionale delle Marche). Impresa molto importante del periodo iniziale furono le pitture con Storie di s. Caterina nella sotto-chiesa di S. Francesco, dove all’epoca aveva sede la compagnia omonima. I rapporti tra la famiglia Santini e la compagnia risalivano al momento della nascita della compagnia stessa, sorta il 5 maggio del 1604, e continuarono anche negli anni successivi. Un dato importante è il fatto che nel testamento di un membro della compagnia, Claudio Rosaspina, morto nel 1651, Bernardino risulti nominato esecutore testamentario con l’incarico di lasciare una somma di denaro alla compagnia (Archivio di Stato di Firenze, Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, 2354, c.n.n.).
Dalla moglie Faustina Galinurli, figlia di Ottavio e originaria di Città di Castello, Bernardino ebbe tre figli: Giuseppe, nato il 28 aprile del 1623 e morto il 27 gennaio del 1700; Pietro, nato il 25 febbraio del 1635 e morto nel marzo dello stesso anno; e Bartolomeo, omonimo del nonno, nato nel 1638 e documentato soprattutto come doratore.
Nel 1622 Bernardino è documentato per alcuni lavori in duomo e nel 1627 firmò la Natività della Vergine nel santuario di S. Maria delle Vertighe. La presenza del pittore a Monte San Savino è connessa a una serie di commissioni ricevute dall’ordine camaldolese e assai spesso realizzate in collaborazione con il padre, sebbene già alla fine del terzo decennio del secolo la gestione della bottega familiare fosse in mano a Bernardino. Un lavoro ancora a due mani è il Matrimionio mistico di s. Caterina, dipinto per il soffitto dell’omonima chiesa aretina e trasferito dal 1930 nel palazzo pretorio. Databile alla fine degli anni Venti, il dipinto conferma ancora una volta la vicinanza con Mercati, attraverso la diretta dipendenza da un’incisione che quest’ultimo aveva tratto da Correggio. Un’altra testimonianza importante dell’attività precedente al 1630 è il Noli me tangere, oggi nel Collegio di S. Caterina, ma destinato alla chiesa di S. Maria Maddalena detta la Madonna del duomo. Esemplato sul modello omologo lasciato da Alessandro Allori nella chiesa aretina della SS. Trinità nel 1584, e non lontano dall’esempio di Mercati in S. Rita delle Vergini a Roma, il dipinto non è tuttavia ancora privo di riferimenti barocceschi.
Con la fine del terzo decennio del Seicento si consolidò la posizione e la superiorità di Bernardino, non solo rispetto al padre, ma anche nei confronti dei suoi contemporanei locali, tra cui Valerio Bonci, Antonio Marinelli e Sebastiano Pontenani. Nell’agosto del 1627 Bernardino era ormai «pittore della città di Arezzo» (Arezzo, Archivio della Fraternita dei Laici, 1649, Giornale di entrata e di uscita dei camerlinghi dei lavori), e come tale fu più volte impiegato anche dalla Fraternita dei Laici. La sua attività divenne veramente intensa nel decennio successivo, durante il quale Bernardino elaborò un linguaggio sempre più complesso, sintetizzando sempre più abilmente esperienze diverse. Ricco di commissioni prestigiose fu per lui il quinquennio 1629-34. Nel 1629 ebbe inizio la complessa decorazione con le sette tele dell’organo della chiesa camaldolese di S. Maria in Gradi, completata nel 1632 con i dipinti della cappella sottostante. Furono questi gli anni delle opere eseguite per l’ospedale di S. Maria del Ponte, per la cappella Guazzesi in S. Pier Piccolo, dell’affresco con la Samaritana al pozzo nella sagrestia del duomo, della tela con l’Assunzione della Vergine tra i ss. Benedetto e Romualdo in S. Maria in Gradi, degli affreschi in S. Lorenzo, dell’altare di S. Mauro nella badia delle Ss. Flora e Lucilla. Capolavoro assoluto è da ritenere la tela con la Vergine con il Bambino che appare a s. Francesco, opera firmata e datata 1634 che, destinata all’altare Roberti in S. Francesco ad Arezzo, è oggi ancora visibile in tale chiesa, sebbene non più nella sua originaria collocazione.
Nel 1639 Bernardino fu impegnato a Salutio (Fornasari, 2018) e nel 1641 di nuovo ad Arezzo, ricevendo importanti commissioni come le tele in S. Agostino raffiguranti S. Agostino in gloria tra la Madonna, il Crocifisso, i ss. Tommaso e Guglielmo di Aquitania e la Madonna che consegna la cintola a s. Monica e a s. Agostino. Intenso fu anche l’ultimo decennio di attività, rimasto del tutto sconosciuto fino al 2000. Nuovamente impegnato in Casentino, dove firmò nel 1644 la Madonna col Bambino in gloria tra i ss. Francesco e Mamante nella chiesa di S. Mamante a Santa Mama, e ad Arezzo in S. Maria in Gradi e molto spesso impiegato anche come disegnatore di 'prospettive teatrali', Bernardino svolse negli ultimi anni un’intensa attività di ritrattista, realizzando su commissione della Fraternita dei Laici la serie degli Uomini illustri per il palazzo del Comune di Arezzo nel 1652.
Morì ad Arezzo il 16 aprile 1656.
Fonti e Bibl.: L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia (1795-796), I, Bassano 1809, p. 254; S., B., U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, XXIX, Leipzig 1935, p. 448; R. Contini, S., B., in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Milano 1989, pp. 878 s.; L. Fornasari, B. S. pittore in Arezzo, Arezzo 2000; Ead., Alcune aggiunte all’attività casentinese di B. S. «egregio pittore in Arezzo», in Il Seicento in Casentino. Dalla Controriforma al tardo Barocco (catal., Poppi), a cura di L. Fornasari, Firenze 2001, pp. 141-148; S. Casciu, La pittura nella provincia aretina tra Manierismo e Riforma, in Arte in terra di Arezzo. Il Seicento, a cura di L. Fornasari - A. Giannotti, Firenze 2003, pp. 11-32; R. Maffeis, Firenze ad Arezzo, ibid., pp. 71-98; L. Fornasari, San Francesco sorretto da angeli di Salutio, un piccolo dipinto all’interno di un grande "circuito" iconografico, in La Pieve di Sant’Eleuterio di Salutio, a cura di M. Scipioni, Firenze 2018, pp. 119-125.