PARTENIO, Bernardino
PARTENIO, Bernardino. – Nacque a Spilimbergo, in data incerta, collocabile tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento sulla base della data di morte. Figlio del notaio sandanielese Leonardo Franceschinis, Bernardino assunse l’appellativo accademico di Partenio, come testimonia l’epistolario di Antonio Belloni, che gli fu stretto amico, e con esso è universalmente noto.
Compiuta la formazione umanistica prima a Spilimbergo e quindi a Venezia, sotto la guida di Giovanni Battista Egnazio, si interessò anche di medicina: sua prima opera a stampa è un poemetto in distici, il Plutonis et Harpagi dissecti dialogus, edito come appendice alle Isagogae breves di Iacopo Berengario da Carpi (Bologna, B. Faelli, 1523).
Vi si narra che, durante una lezione di anatomia, sarebbe stato sezionato il corpo di un ladro giustiziato, indicato con il nomignolo grecizzante di Harpagus; gli studenti ne avrebbero sottratto testa e pudenda; apparso di fronte a Plutone, Harpagus reclama le sue parti mancanti. La narrazione e il colophon della stampa («Hic finiunt… Isagogae Anatomices… autore… Iacobo Berengario Carpensi … addito Plutonis et Harpagi dissecti dialogo autore Parthenio Foroiuliensi Carpi amicissimo») provano un legame di Partenio con Berengario. Fondata è dunque l’ipotesi di Ugo Rozzo che Partenio avesse studiato medicina presso lo Studio bolognese. L’interesse per la medicina è confermato da una più tarda epistola (Padova, 22 gennaio 1564), acclusa al Della contemplatione anatomica di Prospero Borgarucci (Venezia, V. Valgrisi, 1564), nonché da due epistole a Johannes Crato von Krafftheim, umanista e medico di Breslavia, studente di medicina a Padova nel 1546 (Wrocław, Biblioteka Uniwersytecka, Rehdigeriana, 248, cfr. Kristeller, 1963-92, IV, 1989, p. 429).
Negli anni 1525-34 Partenio era a Spilimbergo, in qualità di maestro di scuola per i poveri (così anche più tardi, negli anni 1538-40); svolgeva inoltre attività notarile, così come il padre e gli stessi suoi fratelli. Nel 1531 gli fu intentata causa dalla spilimberghese Benvenuta Cisternini, la quale insinuò a suo carico accuse infamanti; ignota è la sorte del processo, in ogni caso la sua reputazione non ne subì danno: proseguì l’attività docente a Spilimbergo, dove, nel 1538, fu tra i promotori dell’Accademia Parteniana.
L’Accademia, sita nel palazzo Spilimbergo di Sopra, era un collegio improntato a principi pedagogici umanistici: vi venivano impartite lezioni di greco e latino, e, quale tratto distintivo, di ebraico. Partenio vi insegnava greco e latino. L’Accademia ebbe anche «tutte le caratteristiche di una scuola di indirizzo evangelico» (Cavazza, 2002, p. 90); principale ispiratore dell’istituzione fu il conte Adriano di Spilimbergo, raffinato bibliofilo e simpatizzante della Riforma. Le caratteristiche della scuola sono delineate negli Instituta Academiae Spilimbergensis sive Partheniae in qua tres linguae exactissime traduntur (Venezia, Comin da Trino, 1540), opuscolo in forma di lettera indirizzata a Francesco Fileto da Luigi Baldana: vi si elogia il luogo dove sorge l’Accademia, si descrivono gli orari scolastici, l’ammontare della retta (36 scudi d’oro) e anche la metodologia usata dal mantovano Francesco Stancaro, docente di ebraico, impegnato per un’ora di lezione quotidiana.
Soprattutto a causa della morte di Adriano (1541), l’esperienza dell’Accademia si esaurì in pochi anni: nel 1545 Partenio era a Serravalle (Vittorio Veneto), da dove indirizzò l’epistola dedicatoria a Marino Grimani della sua Oratio pro lingua Latina (Venezia, Aldo, ottobre 1545; edita a cura di R. Bottari, Messina 2011).
Formalmente modellata sull’epidittica isocratea, l’Oratio ha come prossimo antecedente il Della imitatione di Giulio Camillo Delminio (1530); tra gli argomenti affrontati c’è quello relativo alla lingua: il latino del volgo non è «germanum Latinum, at barbarum»; così il volgare toscano non è il fiorentino di «fabri, caetarii [sic], lanii». Partenio esalta la lingua toscana «quam accurata ingeniosorum ars et diligentia expolivit», non quella di «mulierculae», «propolae» e «servi»; una tale lingua è stata sempre rifiutata dagli scrittori. La vera Latinitas, come la vera lingua toscana, è frutto di regola, non è istillata dalla nascita. Essa riceve lustro se fondata sulla imitatio, se forgiata cioè a immagine di un modello esemplare; poiché ai modelli antichi si può sempre attingere e poiché la loro appartenenza a un passato remoto non ne compromette l’attualità, la Latinitas è sempre viva.
Come informa l’epistolario di Belloni, nel 1549 Partenio era supplente presso la cattedra della Cancelleria a Venezia, ma rinunciò a concorrere al ruolo, adducendo l’inadeguatezza del compenso (più probabile causa fu l’agguerrita concorrenza di Francesco Robortello, che risultò vincitore). La città di Ancona gli offrì una condotta quinquennale, che è incerto se abbia accettato. Dal 1554 era a Vicenza, dove, tra il 1556 e il 1560, diresse l’Accademia sita nella villa di Cricoli, già sede delle riunioni letterarie convocate da Giangiorgio Trissino. Gli Istituti dell’Accademia di M. Bernardino Parthenio presentano molte analogie con quelli dell’Accademia spilimberghese: sono anch’essi in forma di lettera (indirizzata da Giulio Panavino a Girolamo Minucio, Vicenza 18 luglio 1557), ma non prevedono l’insegnamento dell’ebraico e sono traditi in volgare, in una rarissima stampa senza note tipografiche, attribuibile alla tipografia veneziana di Giovanni Andrea Valvassori.
Nel 1566 Paolo Manuzio gli indirizzò le condoglianze per la prematura morte dell’unico figlio maschio (doveva essere dunque coniugato, ma è ignota l’identità della consorte). Dal 1560 fino alla morte risiedette a Venezia, attivo come docente di greco presso la Biblioteca Marciana, e di latino presso il Collegio dei notai. Tra le opere pubblicate in questo periodo la principale è il dialogo Della imitatione poetica (Venezia, G. Giolito, 1560), dedicato a Melchiorre Biglia, in cinque libri, ambientato a Murano, avente come principali interlocutori Trifone Gabriel, Giangiorgio Trissino, Paolo Manuzio e Francesco Luigini.
Nell’introduzione l’autore spiega che già Aristotele e Orazio trattarono di poesia, ma solo per quanto attiene alla «favola», senza definire come «representare… lo stilo d’un Poeta, ch’a noi piaccia»; oggetto dell’opera sarà dunque quanto «al Poeta s’aspetta per cagione degli ornamenti che consistono nelle parole et nelle particolar sentenze». All’inizio del dialogo Gabriel definisce il concetto di imitazione, «facoltà col cui mezo ci sforziamo con ragione esquisita di esser simili altrui nel dire», giudicata componente primaria della poesia di ogni epoca. Il ricco corredo di citazioni, tratte dalla poesia latina e volgare (Orazio, Virgilio e Petrarca in specie), è funzionale a esemplificare i luoghi topici caratterizzanti l’espressione poetica, esplicitamente derivati dalla trattazione di Giulio Camillo.
L’opera fu riproposta in lingua latina con il titolo De poetica imitatione libri (Venezia, L. Avanzi, 1566), con dedica all’imperatore Massimiliano II: si tratta di una traduzione non pedissequa, ma implementata di esempi e materiali nuovi.
Nel 1579 Partenio pubblicò i Carminum libri III (Venezia, D. e G.B. Guerra), raccolta di 36 componimenti in vario metro (il I libro dedicato a Giovanni Grimani, il II e il III dedicati a Michele Del Torre); del 1584 è un ampio commento a Orazio lirico dedicato a Stefano I Báthory, re di Polonia (In Q. Horatii Flacci Carmina atque Epodos commentarii quibus poetae artificium et via ad imitationem atque ad poetice scribendum aperitur (Venezia, D. Nicolini da Sabbio); l’edizione delle satire e delle epistole oraziane con sue annotazioni stilistiche fu curata dal nipote Aristarco Partenio (Venezia, D. Nicolini da Sabbio 1584); inoltre alcuni carmi celebrativi furono editi singolarmente o in raccolte collettive d’occasione (elenco completo è in Rozzo, 2001, pp. 46-50, e in Cuna, 2001, pp. 159-174). Nel ms. Lat. XII 150 (= 4395) della Biblioteca nazionale Marciana sono tre carmi del Partenio, i primi due (c. 119v: Formosi colles, formosae in collibus umbre; Ligda fugit tempus) non compresi nella edizione del 1579.
Partenio morì a Venezia, all’età di circa novant’anni, il 18 ottobre 1588.
Fonti e Bibl.: Udine, Biblioteca civica, Fondo princ., 287, cc. 16, 114r (due carmi di Alessandro Paolini a Partenio); 565: Epistolario di A. Belloni, passim; Joppi, 622 (regesto degli atti relativi al processo del 1531); P. Manuzio, Lettere volgari divise in quattro libri, Venezia 1560, pp. 27 s.; G.G. Liruti, Notizie delle vite ed opere scritte da’ letterati del Friuli, II, Venezia 1762, pp. 113-126; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, p. 423; P.O. Kristeller, Iter Italicum, London-Leiden, I-VI, 1963-92, ad indices.
S. Cavazza, B. P. e l’Accademia di Spilimbergo, in B. P. e l’Accademia di Spilimbergo 1538-1543, I, Gli statuti, il palazzo, a cura di C. Furlan, Venezia 2001, pp. 53-65; Id., Il programma pedagogico di B. P., ibid., pp. 179-182; A. Cuna, L’ideale umanistico-rinascimentale del ‘trilinguis homo’ e l’insegnamento dell’ebraico a Spilimbergo, ibid., pp. 129-157; Id., Le opere di B. P.: contributo per una bibliografia, ibid., pp. 159-174; Instituta Academiae Spilimbergensis…, a cura di S. Cavazza et al., ibid., pp. 191-200; U. Rozzo, Per una bio-bibliografia di B. P., ibid., pp. 31-51; S. Cavazza, Francesco Stancaro in Italia (1539-1543), in Archiwum historii filozofii i myśli społecznej / Archive of the history of philosophy and social thought, XLVII (2002), pp. 83-92; R. Peressini, B. P. notaio, in Ce fastu?, LXXXIII (2007), pp. 151-157; U. Rozzo, P., B., letterato, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, II, L’età veneta, a cura di C. Scalon et al., Udine 2009, pp. 1931-1940; S. Zozzolotto, La stagione prima dei del Chos, tra Orgnese e Spilimbergo, in Atti dell’Accademia San Marco di Pordenone, XV (2013), pp. 83-110 (sul regesto degli atti processuali).