NOGARA, Bernardino
NOGARA, Bernardino. – Nacque a Bellano (Como) il 17 giugno 1870, dal possidente Giovanni e da Giulia Vitali, figlia di Carlotta Lorla, esponente di una famiglia da generazioni affermata nel settore tessile.
Di famiglia numerosa, con secolari radici e sentimenti cattolici, Nogara ebbe 12 fratelli, quattro dei quali avviati alla carriera ecclesiastica: Giuseppe, arcivescovo a Udine; Roberto, arcivescovo a Cosenza; Giovanni, rettore del seminario di Molfetta; Luigi, missionario in Cina. Degli altri fratelli, Bartolomeo, eminente archeologo ed etruscologo, fu nominato nel 1920 da Benedetto XV direttore generale dei Musei e Monumenti Vaticani e Carlo divenne notaio.
Frequentò le scuole medie presso il Collegio vescovile di Celana (Bergamo), poi il liceo classico Parini di Milano e si laureò, a pieni voti, al Politecnico di Milano nel 1894 in ingegneria industriale ed elettrotecnica. Al Politecnico ebbe compagni di corso famosi, fra i quali Ettore Conti, Cesare Norsa, Giacinto Motta e Giulio Martelli, figlio di Giuseppe, docente del Politecnico, e fratello di Ester, sua futura moglie.
Anche la famiglia Martelli affondava le sue radici nella Milano colta e civile, religiosa, moderna e liberale, ed era legata da vincoli di parentela con importanti figure della vita sociale e culturale lombarda e non solo. Grazie ai futuri cognati Giulio e Cesare, Nogara poté entrare in contatto con autorevoli rappresentanti del capitalismo veneto: Amedeo Corinaldi e, soprattutto, Giuseppe Volpi, la cui collaborazione, amicizia e stima si sarebbero rivelate decisive per la sua futura carriera.
Appena laureato si inserì nel settore minerario, dapprima in area locale (a Brescia) e poi all’estero. Interessarsi di miniere tra fine Ottocento e inizi Novecento significava entrare nel mondo della finanza internazionale e le miniere rappresentarono per Nogara la prima, e fondamentale, delle sue molteplici attività anche quando fu chiamato a incarichi più prestigiosi. In questo settore oltre ad assumere ruoli manageriali, ebbe anche – cone nel caso delle miniere di Cave del Predil – partecipazioni azionarie e di proprietà; e, sebbene non tutte le iniziative fossero destinate ad eguale fortuna, gli permisero nondimeno di tessere una fitta rete di conoscenze finanziarie e professionali.
Su proposta dell’ing. Erminio Ferraris, si recò nel Galles del Sud ad Aberystwyth e qui, nel 1896, sposò Ester Martelli. Incomprensioni con proprietari e azionisti, che giudicarono insufficienti le prospettive di sviluppo della miniera nel frattempo passata alla Société Anonyme des Mines de Frongoch, lo indussero ad abbandonare il Galles, dove nel frattempo era nato il primo figlio Johnny, e nel marzo 1901 a rientrare in Italia.
Furono anni duri ma non inutili. Nella breve permanenza a Milano partecipò allo sviluppo del movimento cattolico e alle iniziative dell’Opera dei Congressi. Nello stesso anno, grazie ai cognati, gli furono affidate da Corinaldi e Volpi consulenze tecniche, in Sardegna e in Macedonia. Nel febbraio 1902 accettò l’offerta della Etruscan Copper Estate Mines, creata nel dicembre 1900 dal Mediterranean Trust, per lo sfruttamento dei bacini minerari di Campiglia Marittima in Toscana. Si trattava di un lavoro di forte impegno per le prospettive del Mediterranean, intenzionato a realizzare un importante polo minerario; ma, ancora una volta, Nogara si scontrò con la fretta dei risultati e poco chiare modalità di finanziamento che lo spinsero ad abbandonare l’impresa. Fu la svolta della sua vita.
Volpi e Corinaldi, che già avevano avuto modo di apprezzarlo, quando nel 1901 costituirono a Salonicco la Società per le miniere d’Oriente gli affidarono un incarico quinquennale per svolgere ricerche minerarie in Bulgaria (Blagodat) e in Asia minore (Zongouldak).La successiva nomina a direttore generale della società – nata per lo sfruttamento dei bacini carboniferi di Eraclea in Anatolia e delle miniere di zinco a Mossul in Bulgaria, avamposti dell’espansionismo economico italiano nei Balcani e in Asia minore – gli consentì di entrare in contatto con la politica e la finanza internazionali.
Ma gli obiettivi di Volpi, appoggiato dalla Banca commerciale italiana (Comit), andavano oltre. Nel 1905 creò la Compagnia di Antivari nel piccolo principato montenegrino con l’intento, mancato, di partecipare ai lavori ferroviari tesi a unire l’Adriatico con il Danubio e a realizzare la dorsale ferroviaria Berlino-Baghdad.
Azionisti della Compagnia, oltre a Volpi, erano alcuni importanti uomini d’affari, come Nicolò Papadopoli-Aldobrandini, Roberto Paganini, Corinaldi, industriali come Giuseppe Orlando, Attilio Odero, Carlo Raggio, Erasmo Piaggio, Vittorio Rolandi-Ricci, Luigi Marsaglia con la sua banca, Marco Besso, Cesare Trezza, Ernesto de Angeli, Alberto Vonwiller, Ernesto Breda, la Banca Zaccaria di Pisa e altri.
Nonostante alcuni successi – la costruzione del porto di Antivari e la ferrovia Antivari-Vir Pazar – i risultati economici furono piuttosto deludenti, un po’ per la precaria situazione politica dei Balcani e un po’ per la volontà di Francia e Austria di tener fuori gli italiani dai grandi progetti ferroviari nei Balcani. Volpi decise allora di cambiare strategia. Nel 1907 fondò due nuove società: a Tessalonica la Società in accomandita G. Volpi, A. Corinaldi & C., e a Ginevra la Società Commerciale d’Oriente (Comor) per lo sfruttamento delle miniere di ferro e piombo a Mossul e delle miniere di Kouby nel bacino di Eraclea, con l’appoggio di una società commerciale da crearsi a Costantinopoli. In sostanza si trattava di riunire le precedenti società in una sola più solida finanziariamente, ubicata in Svizzera e operante tramite una filiale di Costantinopoli guidata da Nogara.
La Comor, diretta da Volpi e presieduta da Otto Joel, fu la fortuna di Nogara. L’impegno finanziario della Comit si tradusse nella sottoscrizione di buona parte del capitale sociale, unitamente alla Navigazione generale italiana, a Odero e all’Unione italiana concimi. Costantinopoli rappresentava lo snodo strategico della Comor e il crocevia di grandi interessi economici, commerciali e finanziari sostenuti da affaristi di ogni tipo, locali e internazionali, tutti alla ricerca di concessioni governative e finanziamenti. La filiale turca, quindi, doveva agire con sagacia diplomatica e procurarsi le entrature politiche necessarie a muoversi nei meandri dei ministeri ottomani. Nogara dimostrò capacità non comuni stringendo alleanze negli ambienti politici e finanziari locali. Le sue qualità si rivelarono altrettanto preziose negli anni 1908-12, quando le tensioni nei Balcani e la guerra con la Turchia sconvolsero molti piani diplomatici con pesanti ricadute sugli affari economici. La guerra libica, infatti, complicò ulteriormente le cose spingendo la Comor ad assumersi competenze e attività non sempre remunerative.
Le trattative per uscire dall’impasse della guerra furono volute da Giolitti che, sulla base delle minuziose informazioni ricevute da Volpi, decise di affidargli sondaggi preliminari all’apertura di trattative ufficiali con il governo turco. Nogara, attraverso la sua rete di amicizie politiche, in modo particolare con il movimento dei Giovani Turchi, convinse Volpi che solo rapporti diretti, evitando intromissioni delle cancellerie europee, avrebbero potuto condurre alla soluzione del conflitto. Fu dunque il suo prezioso lavoro diplomatico che permise al governo italiano di stipulare il Trattato di Ouchy (Losanna) il 12 ottobre 1912 con il quale fu confermata la sovranità dell’Italia sulla Libia. Formalmente gli incaricati da Giolitti furono, oltre Volpi, Pietro Bertolini, futuro ministro delle Colonie, e l’on. Guido Fusinato, ex ministro dell’Istruzione e fedele giolittiano. In realtà, i delegati italiani furono avvantaggiati dal lavoro capillare di Nogara che consentiva loro di essere sempre informati sulle istruzioni che gli ambasciatori turchi ricevevano, sui passi informali che stavano preparando e sulle soluzioni escogitate dal governo turco per risolvere le difficoltà in cui versava l’Impero. Volpi, dunque, non faceva altro che utilizzare le capacità diplomatiche di Nogara, «uomo di ogni riposo e di altissima moralità» (Malgeri, 1970, p. 344). Volpi – avrebbe ricordato più tardi Conti – «mi diceva che la presenza a Costantinopoli di un mio antico compagno di Politecnico, l’ingegnere Bernardino Nogara, in ottime relazioni col ministro degli Esteri turco, ha permesso talora ai nostri delegati di conoscere, prima dei delegati turchi, le opinioni di circoli dirigenti avversari e perfino i limiti delle concessioni che quelli avrebbero potuto accordare, ciò che evidentemente rappresentava nel gioco un ottimo “atout”» (p. 58).
Con la fine del conflitto la Comit, tramite la Comor guidata da Nogara, divenne assoluta protagonista nella promozione di nuove attività commerciali e finanziarie in Oriente. Nel 1912 la morte del presidente del consiglio ottomano, Mahmud Chefket, aprì nuove opportunità nel settore carbonifero. Per agire con maggiore rapidità, Joel e Volpi trasferirono la sede della Comor da Ginevra a Milano nel novembre 1912. L’appoggio del governo italiano alla nuova Comor fu fondamentale. Nel 1913 l’allora ministro degli Esteri marchese Antonino di San Giuliano, ricredendosi sull’imminente caduta dell’Impero ottomano, spinse per stabilire una zona di influenza economica sulla costa meridionale turca, scegliendo la Comor quale braccio operativo del governo. Si realizzò così l’idea di ritagliare per l’Italia una zona di influenza nella Turchia asiatica analogamente a inglesi, francesi e tedeschi. La scelta, per suggerimento di Nogara, cadde sulla zona di Adalia nell’Anatolia meridionale, una posizione strategica per intercettare, con il tracciato anatolico Asmirna-Aidin, la grande linea Berlino-Baghdad.
La ferrovia e il porto di Adalia, progettati da Nogara, riducevano gli spazi di manovra e i profitti non solo dei tedeschi, ma anche degli inglesi. Nogara, muovendosi con la consueta abilità riuscì a ottenere dal ministro turco dei Lavori pubblici, Osman Nizami, una dichiarazione di principio secondo cui la Comor avrebbe potuto iniziare studi per lo sviluppo economico della regione di Adalia. Prima, però, di dar seguito alle concessioni previste dall’accordo con Nizami sarebbero stati necessari due passaggi: creare una società locale e Nogara diede vita alla Società commerciale, industriale e finanziaria (Comifin) – totalmente controllata dalla Comor, ma con prestanome il turco Aram Halagian – dotata di concessioni per lo studio preliminare e per 4 anni di attività finalizzata allo sviluppo della zona; un accordo della Comor con la compagnia ferroviaria inglese The Ottoman railway company (le cui linee transitavano vicino alla zona di Adalia) per definire le reciproche future attività ferroviarie. Inviato da San Giuliano a Londra dal gennaio al maggio 1914 Nogara condusse, positivamente, la sfibrante trattativa.
Per oltre un ventennio, sino alla Pace di Losanna del 1923, passando per il Trattato di Ouchy del 1912, gli affari turchi occuparono attivamente Nogara. La profonda conoscenza del mondo degli affari economici e politici del decadente Impero si rivelò di fondamentale importanza nelle convulse e difficili trattative diplomatiche e finanziarie condotte dall’Italia sulla scena balcanica e anatolica. La sua presenza nelle delegazioni italiane, come «esperto della Turchia», per la pace di Versailles (1919-20), a Sèvres (1920), a Rapallo (1920), a Losanna (1923), testimoniarono il suo prezioso lavorìo sottotraccia, scarsamente riconosciuto in sede storiografica, ma ampiamente documentato.
Come riconoscimento del ruolo svolto nel Trattato di Ouchy, fu nominato delegato italiano nell’Amministrazione del debito pubblico ottomano con sede a Parigi – carica che mantenne sino al 1958 – e non solo. Dal 1925 al 1929 amministrò a Berlino il settore delle industrie nella Commissione interalleata per l’applicazione del piano Dawes per le riparazioni tedesche di guerra, dal 1925 al 1945 fu consigliere della Comit e, poi, vice presidente di questa per il suo impegno civile e la partecipazione alle attività del Comitato di Liberazione nazionale a Roma.
Nel 1929 fu richiamato in Italia da Pio XI per un nuovo prestigioso incarico: la direzione dell’Amministrazione speciale della S. Sede (ASSS). Dal Diario della Conciliazione di Francesco Pacelli (Città del Vaticano 1959) viene la conferma che fu Nogara il consigliere della S. Sede per la stipula della convenzione finanziaria dei Patti lateranensi e sempre lui a stabilire – in accordo con Pio XI, Mussolini e Bonaldo Stringher – le modalità del versamento della notevole somma concordataria tra la Banca d’Italia e la Comit.
La nomina a delegato dell’ASSS, decretata dal motu proprio di Pio XI del 7 giugno 1929, rappresentò il vero punto di svolta nella gestione delle finanze vaticane. Sino al 1929, il principale collettore finanziario era costituito dall’Amministrazione dei beni della S. Sede presieduta dal segretario di Stato, organismo cui affluivano tutte le offerte dei fedeli, riguardanti sia l’Obolo di S. Pietro sia le numerose messe al pontefice o altro. L’impiego dei flussi finanziari, sotto forma di investimenti azionari, obbligazionari e titoli di Stato, era di norma affidato a banchieri europei – svizzeri, tedeschi, francesi, olandesi e inglesi – che si appoggiavano alle nunziature apostoliche presenti in questi paesi, un sistema decisamente farraginoso e, in alcuni casi, dilettantesco per mancanza di specifiche capacità da parte di molti nunzi e dello stesso segretario di Stato Pietro Gasparri. L’arrivo di Nogara portò ordine e competenza. All’ASSS fu conferita la gestione delle somme derivanti dalla convenzione finanziaria stabilita dai Patti lateranensi, oltre che dei proventi dell’Obolo. Nogara si avvalse sia della Comit depositaria della liquidità e dei titoli di Stato (750 milioni di lire e 1 miliardo in titoli), sia di altre case bancarie europee e statunitensi, con una particolare predilezione per la banca Morgan e le sue filiali di Parigi, Londra e New York.
La sua indiscussa abilità al servizio delle finanze vaticane gli consentì di trasformare l’ASSS in una banca d’affari operativa su scala nazionale e internazionale. Le attività si ramificarono in investimenti azionari in Italia, in Europa e nelle Americhe in particolare in USA e Argentina, dove la presenza cattolica era massiccia. Negli Stati Uniti, dove la raccolta dell’Obolo era assai rilevante, nonostante la crisi del 1929, Nogara gestì gli investimenti con prudenza, oculatezza e rapidità se sul finire del 1930 l’intera somma liquida di 750 milioni era stata quasi completamente investita in azioni e obbligazioni ad alto reddito.
L’apporto di banche e case bancarie straniere non fu l’unico strumento. Nogara provvide a creare in Svizzera e nel Lussemburgo società finanziarie di proprietà dell’ASSS per operare con maggiore speditezza: la Profima S.A. Société immobilière et de partecipation di Losanna, la Società affari mobiliari (Samo) di Lugano e il Groupement financier luxembourgeois S.A (Grolux) di Lussemburgo, oltre che assicurarsi la mediazione internazionale della Banca della Svizzera italiana, eletta a nominee dell’ASSS.
Pur operando per la S. Sede, anche per la sua presenza come consigliere, mantenne operativi i rapporti d’affari con la Comit, utilizzata non solo come strumento tecnico a supporto degli investimenti, ma anche come partner in attività finanziarie. La partecipazione di maggior rilievo fu quella nella Banque française et italienne pour l’Amérique du Sud (Sudameris) sorta a Parigi nel 1910 con un capitale iniziale di 25 milioni di franchi, sottoscritto a metà tra Comit e Paribas. Negli anni Trenta, una parte dei profitti dell’ASSS finirono, tramite la Banca della Svizzera italiana, alla sede di Buenos Aires della Sudameris gestita da Giovanni Malagodi, e trasformati in acquisti azionari.
Erano normali operazioni finanziarie e tali rimasero finché non scoppiò il secondo conflitto mondiale, quando la Sudameris, in ragione del non allineamento dei paesi sudamericani alla Germania, a eccezione dell’Argentina, finì nella black list degli alleati. Nogara trovò la soluzione: attraverso la Samo e la Profima ottenne l’affidavit delle azioni della Sudameris, dimostrando che la proprietà della banca era del Vaticano e dunque non assoggettabile alle restrizioni imposte.
Per l’importanza operativa dell’Amministrazione nella gestione complessiva delle finanze vaticane, l’azione di Nogara non mancò di sollevare velate diffidenze nella Curia vaticana sin dagli anni Trenta quando già mons. Domenico Tardini si interrogava sulle opportunità degli investimenti immobiliari e mobiliari operati dalla S. Sede. L’avvicendamento di Pio XI con Pio XII sembrò il momento opportuno per operare scelte diverse. Ma papa Pacelli, a seguito di un minuzioso controllo amministrativo degli investimenti effettuati, fece svanire queste segrete speranze e Nogara mantenne la direzione dell’ASSS sino al 1954.
A conferma della riservatezza del suo operato, Nogara è, ancor oggi, spesso oggetto di due false informazioni assai ripetute. La prima riguarda la richiesta, di operare in piena libertà, senza vincoli etici, che avrebbe rivolto a Pio XI al momento di assumere la direzione dell’ASSS; in realtà, si attenne scrupolosamente al canone 1539 di Diritto canonico elaborato da Eugenio Pacelli nel 1917. La seconda si riferisce al suo presunto stato ecclesiastico: in opere recenti e meno recenti è erroneamente citato come mons. Nogara.
Morì a Milano il 15 novembre 1958, lasciando la moglie e i cinque figli: Antonietta, che aveva sposato Umberto Osio, fratello di Arturo, presidente della Banca nazionale del lavoro, Giulia, sposata ad Antonio Boselli industriale della seta, Giuseppe, medico chirurgo, Johnny, direttore della miniera di famiglia Raibl di Cave del Predil, e Paolo, impegnato in aziende minerarie della famiglia Martelli.
Fonti e Bibl.: La documentazione finanziaria è conservata in prevalenza a Roma nell’archivio privato del nipote, l’ambasciatore Bernardino Osio che ne è anche curatore. La poliedrica attività di Nogara è documentata in molti archivi: la mole più importante è presso l’Arch. storico di Banca Intesa, nei diversi fondi della Banca commerciale italiana. Altri materiali sono reperibili nell’Arch. storico del ministero degli Affari esteri, all’Arch. storico della Banca d’Italia, nell’Archivio centrale dello Stato e nell’Arch. segreto Vaticano. Tra le fonti a stampa, utilissimi i volumi dei Documenti diplomatici italiani, ad vocem. Contengono numerosi rinvii documentari anche F. Malgeri, La guerra libica 1911-1912, Roma 1970, pp. 344, 350; R.A. Webster, L’imperialismo industriale italiano. Studi sul prefascismo 1908-1915, Torino 1974, ad ind.; M. Petricioli, L’Italia in Asia Minore. Equilibrio mediterraneo e ambizioni imperialiste alla vigilia della prima guerra mondiale, Firenze 1983, ad ind. Si vedano inoltre: G. Giolitti, Memorie della mia vita, II, Milano 1922, pp. 417, 422, 426-429, 435-438, 445 s., 460, 505; A. Piccioli, La Pace di Ouchy, Roma 1935, pp.6, 18-22, 28 s., 37, 41, 48, 52-57, 59, 64-66, 74-78, 82, 83, 85-87, 94, 96, 98, 102-104, 106 s., 109; F. Pacelli, Diario della Conciliazione, Città del Vaticano 1959, pp. 141-144; Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant’anni di politica italiana. III. Dai prodromi della grande guerra al fascismo, a cura di C. Pavone, Milano 1962, pp. 74 s., 77, 85, 87 s.; J. Gollin, The wealth and power of the American Catholic Church, the Vatican, and the men who control the money, New York 1971, pp. 439-454, 458 s., 464-470, 472, 480, 483; N. Lo Bello, L’oro del Vaticano, Milano 1971, pp. 21-27, 35, 62, 74-78, 113, 123, 218; E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditore in Italia, Milano 1977, pp. 68, 94 s.; R. De Felice, La S. Sede e il conflitto italo-etiopico nel diario di B. N., in Storia contemporanea, VIII (1977), 4, pp. 823-835; S. Romano, Giuseppe Volpi. Industria e finanza da Giolitti a Mussolini, Milano 1979, pp. 6, 18, 29, 40, 43 s., 46 s., 52-56, 58-61, 63, 67, 72, 74 s., 78, 231, 235-237; B. Lai, Finanze e finanzieri vaticani fra ’800 e ’900, Milano 1979, pp. 279, 283; R.A. Webster, Una speranza rinviata. L’espansione industriale italiana e il problema del petrolio dopo la prima guerra mondiale, in Storia contemporanea, XI (1980), 2, pp. 219-281; L. De Rosa, Storia del Banco di Roma, I, Roma 1982, p. 221; II, ibid. 1983, p. 232; A. Pirelli, Taccuini 1922-1943, Bologna 1984, pp. 226, 408, 456, 459 s., 466, 477; R.J.B. Bosworth, La politica estera dell’Italia giolittiana, Roma 1985, pp. 203 s., 209-211, 219, 381 s., 391-393, 396-399, 401, 405, 408-410, 416; E. Conti, Dal taccuino di un borghese, Bologna 1986, p. 58; M. Petricioli, La resa dei conti: diplomazia e finanza di fronte alle aspirazioni in Anatolia 1918-1923, inStoria delle relazioni internazionali, II, 1986, pp. 63-93; G. Belardelli, Un viaggio di B. N. negli Stati Uniti (novembre 1937), in Storia contemporanea, XXIII (1992), 2, pp. 321-338; P. Fadda, Il banchiere del papa al capezzale della Montevecchio, in Argentaria, I (1992), pp. 101-116; D. Grange, L’Italie et la Méditerranée (1896-1911), II, Roma 1994, pp. 1078, 1080, 1209,1250-1252, 1254, 1283 s.; F.G. Grassi, L’Italia e la questione turca (1919-1923), Torino 1996, pp. 21, 38, 42, 55, 59, 75, 84, 127, 152, 166, 188, 198, 206 s., 227, 260; J. Pollard, The Vatican and the Wall Street crash: B. N. and papal finances in the early 1930s, in The Historical Journal, XLII (1999), 4, pp. 1077-1091; R.J.B. Bosworth, Mussolini. Un dittatore italiano, Milano 2002, pp. 260, 515; A.F. Saba, La Società commerciale d’Oriente entre la diversificación y la situación estratégica internacional (1902-1935), in Historia Emprensarial, 2004, pp. 137-151; J.F. Pollard, L’Obolo di Pietro. Le finanze del papato moderno: 1850-1950, Milano 2006, n. 812, ad ind.; R.J.B. Bosworth, L’Italia di Mussolini 1915-1945, Milano 2007, pp. 265, 494, 520; G. Sivini, Il banchiere del papa e la sua miniera. Lotte operaie nel villaggio minerario di Cave del Predil, Bologna 2009, adind.; R. Chernow, The House of Morgan. An American banking dynasty and the rise of modern finance, New York 2010, pp. 285 s., 451, 455-459, 546.