NARO, Bernardino
– Nacque a Roma il 15 novembre 1584 da Fabrizio e da Olimpia Lante.
Perse la madre appena dopo un anno di vita: nei Ricordi e memorie del padre Fabrizio, in data 14 marzo 1587, è rimasta l’annotazione di un pagamento di 15 scudi a una balia di nome Gentilina «per resto del suo salario di havere allevato detto Belardino» (Arch. segreto Vaticano, Archivio Patrizi-Montoro, lettera C, Arm. I, t. 29, c. 700r-v). Secondo un’altra fonte di ambito familiare, Naro fu poi inviato presso la corte del Granduca di Toscana Ferdinando I e completò la sua formazione recandosi alla corte di Francia, dove servì dapprima come paggio della regina Maria de’ Medici e poi come ufficiale della guardia di Enrico IV.
Nei primi anni del Seicento per consolidare le posizioni raggiunte dal giovane spese la propria influenza Maffeo Barberini, allora nunzio in Francia, insieme con Giovan Battista Borghese, fratello di Paolo V e zio acquisito di Naro per parte di madre. Così, al momento di partire per l’Italia, pochi giorni prima del Natale 1607, Naro portò con sé lettere di raccomandazione dei reali indirizzate al papa, più una pensione di 2000 lire tornesi all’anno. A Roma assunse la carica fattagli avere dal padre, uno degli uffici di cancelliere del Popolo romano (che dava 181 scudi all’anno, più le connesse regalíe); tra aprile e giugno 1610 fu anche caporione di Sant’Eustachio. Tornò comunque presto in Francia. Infatti, dopo l’assassinio di Enrico IV, ebbe l’incarico di presentare ai sovrani una lettera di Maffeo Barberini, divenuto cardinale, e giunse a Parigi all’inizio del dicembre 1610.
Tornato a Roma, mentre i fratelli Orazio e Gregorio si erano dati alla vita ecclesiastica e Giovan Battista era divenuto cavaliere di Malta, Naro probabilmente affiancò il padre Fabrizio nella conduzione degli affari di famiglia. Dopo l’elezione a pontefice del cardinale Barberini (6 agosto 1623) fu nominato capitano di una compagnia dei cavalleggeri della guardia e suo cameriere segreto. Non fu a lungo trattenuto in tali compiti di rappresentanza: infatti, in occasione della crisi fra Urbano VIII e la Francia causata dall’occupazione dei forti della Valtellina, fu chiamato a una complicata missione diplomatica.
Un esercito pontificio di interposizione, dall’estate 1623, presidiava i principali punti fortificati della Valtellina, importante zona di transito dall’Italia verso nord e teatro di forti attriti tra Francia e Spagna. I francesi, guidati dal marchese di Coeuvres (François-Annibal d’Estrées), alla fine di novembre 1624 entrarono nella valle e attaccarono i forti difesi dai soldati pontifici: tra il 2 e il 18 dicembre caddero quelli di Piattamala, Tirano e Sondrio. Il papa decise allora di inviare Naro presso Luigi XIII: allo scopo, gli fu consegnata un’istruzione che ricordava sia la sua «intrinsecha dimestichezza» con il papa, sia la sua lunga esperienza al servizio della Corona francese (Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 5256, c. 111r-v); il suo compito però era limitato a presentare al re, alla regina madre e ai principali membri della corte lettere del papa e del cardinale Francesco Barberini che deprecavano l’aggressione subita e ammonivano che gli antichi sentimenti filofrancesi di Urbano VIII non potevano esimere il papa dall’obbligo di difendere la reputazione della S. Sede e la causa dei cattolici della Valtellina. A Naro non fu invece data autorità di intavolare autonomamente trattative per uscire dalla crisi: sempre avrebbe dovuto muoversi congiuntamente con il nunzio in Francia Bernardino Spada e avrebbe persino dovuto evitare di incontrare da solo il personale diplomatico accreditato presso il re di Francia.
Arrivò a Parigi il 9 gennaio 1625 e, insieme col nunzio, ebbe udienza dal re solo il 13 gennaio: presentò le lettere del papa e del cardinal nipote, riferì che Urbano VIII lo aveva mandato proprio perché lo considerava persona bene accetta in Francia, diede rassicurazioni delle persistenti inclinazioni filofrancesi del pontefice; nel contempo, non nascose che Urbano VIII si sentiva costretto a «deliberazioni proprie d’un papa che habbia a cuore l’honor suo, e la salvezza della sua anima necessariamente congiunta alla dignità di Chiesa santa» (Arch. segreto Vaticano, Arch. Patrizi-Montoro, lettera C, Arm. IV, t. 61, cc. n.n., 22 gennaio 1625). Primo obiettivo della Sede apostolica, ribadì, era pur sempre quello di estirpare l’eresia: Urbano VIII si aspettava che un re che godeva dell’appellativo di «cristianissimo» sconfessasse una mossa d’armi che aiutava i Grigioni protestanti e arrecava danno ai cattolici della Valtellina. Pur incontrando i più importanti componenti della corte, primi fra tutti il cardinale Richelieu e la regina madre Maria de’ Medici, i colloqui non ebbero alcun frutto: la responsabilità della mossa d’armi, da parte francese, era addossata agli spagnoli e ciò rendeva impraticabile l’ipotesi, auspicata da Roma, di un ritorno allo status quo ante. Inoltre Naro e il nunzio non erano autorizzati ad aprire trattative e, d’altra parte, giungevano da Roma notizie secondo le quali Urbano VIII non aveva affatto interrotto i rapporti con l’ambasciatore francese Philippe de Béthune. Ai due diplomatici non riuscì nemmeno di far sì che avessero termine le operazioni militari contro Bormio (ceduta ai francesi il 18 gennaio) e Chiavenna, inutilmente difesa (fino al 9 marzo 1625) dai pontifici e da un’esigua spedizione di soccorso spagnola sopraggiunta dallo Stato di Milano.
Naro rimase presso la corte francese anche quando vi arrivò il cardinale Francesco Barberini, nominato il 19 febbraio 1625 legato de latere per risolvere lo spinoso contrasto, e partì da Parigi in data successiva al 30 agosto. Per conto dello stesso cardinale, sin dall’inizio della sua missione compì altresì indagini nel mercato delle arazzerie parigine: gli era stato chiesto, infatti, di prendere contatti per la realizzazione «di una stanza di panni di razzo, ma fatti con la maggior e più esquisita diligenza possibile» (Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 7994, f. 19r).
Dopo il suo ritorno a Roma, sposò Lucrezia Macchiavelli (il contratto matrimoniale è del 27 maggio 1627): attraverso la parentela con questa famiglia, contrasse legami di affinità con i Magalotti e i Barberini. Quindi, il 3 agosto 1638, fu nominato capitano delle lance spezzate (cioè guardie d’onore) del papa. Le sue simpatie francesi continuavano a farlo immaginare come un capace mediatore: nel settembre 1639, grazie a Naro fu chiuso l’incidente provocato dall’arresto di un ufficiale giudiziario da parte del personale dell’ambasciata di Francia.
Nel contempo curava i possedimenti familiari a Capranica Prenestina (casali, terreni agricoli, un palazzo all’interno del borgo) e li accrebbe. Infine, per completare la propria ascesa, acquisì un titolo signorile: nel 1640 il cardinale Giulio Sacchetti, abate commendatario di Sant’Ilario di Galeata, gli cedette il castello di Mustiolo (presso Civitella di Romagna), per 4000 scudi e una libbra di cera all’anno; Urbano VIII, con il breve del 27 aprile dello stesso anno, lo eresse in marchesato, ma Naro lo cedette già il 16 agosto 1647 ad Antonio Camerata per 4000 scudi. Pochi mesi prima, nel 1646, per 39.000 scudi, aveva acquistato dal marchese Scipione Capponi il castello di Mompeo in Sabina con territorio e giurisdizione annessi.
A Mompeo Naro fu il promotore di innovazioni urbanistiche di rilievo, fece riedificare dalle fondamenta la chiesa parrocchiale dedicata alla Nascita di Maria e commissionò consistenti rimaneggiamenti al palazzo baronale, facendolo affrescare da Vincenzo Manenti e da Salvi Castellucci. A Roma invece provvide fra il 1630 e il 1640 all’ampliamento del palazzo familiare nel rione Sant’Eustachio, affidando la direzione dei lavori a Giacomo Mola; per i lavori di decorazione a fresco nella stessa dimora sono testimoniati pagamenti al pittore fiammingo Anthonie van Os e a Francesco Tinivelli (che eseguì, fra l’altro, carte geografiche relative alla Francia e allo Stato della Chiesa). La collezione di quadri contava alcune centinaia di pezzi, tra cui molte copie tratte dalla prestigiosa collezione Barberini.
Morì a Roma il 15 aprile 1671.
Fu sepolto nella cappella di famiglia presso la chiesa di Santa Maria sopra Minerva. Lasciò erede fedecommissario il figlio Fabrizio: le figlie Olimpia e Giulia andarono in moglie rispettivamente al marchese Francesco Angelelli e al nobile croato Fran Krsto Frankopan (italianizzato in Francesco Cristoforo Frangipani).
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 7994; 6095, cc. 4r-v, 48v-61r; 5256, cc. 111r-120r; 6013, cc. 42r-43r; Ibid., Urb. lat. 1093, cc. 669r, 686v. Arch. segreto Vaticano, Archivio Patrizi-Montoro, lettera C, Arm. IV, t. 61; Arm. IV, t. 34, cc. 661r-668v; Arm. I, t. 29, c. 491r-v; V. Siri, Memorie recondite, V, Lione 1679, pp. 747 s., 750-753, 755, 757-759, 761-766, 777, 781, 783, 785, 791 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, I, Roma 1869, p. 501, num. 1933; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, pp. 283 s., 286; Lettres de Henri IV concernant les relations du Saint-Siège et de la France: 1595-1609, a cura di B. Barbiche, Città del Vaticano 1968, ad ind.; Die Hauptinstruktionen Gregors XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen (1621-1623), a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; S. Amadio, Famiglie in carriera ed artisti nella Roma barocca: i Naro, in Studi romani, XLV (1997), pp. 314-330; Genealogien zur Papstgeschichte, a cura di Ch. Weber, II, Stuttgart 1999, p. 656; Le siècle de Marie de Medicis, a cura di F. Graziani - F. Solinas, Alessandria 2003, p. 56; G.B. Spada, Racconto delle cose più considerabili che sono occorse nel governo di Roma, a cura di M.T. Bonadonna Russo, Roma 2004, ad ind.; P.-F. Bertrand, Les tapisseries des Barberini et la décoration d’intérieur dans la Rome baroque, Turnhout 2005, p. 158; P. Blet S.I., Richelieu et l’Église, Versailles 2007, pp. 33 s.. G. Metzler, Französische Mikropolitik in Rom unter Papst Paul V. Borghese (1605-1621), Heidelberg 2008, pp. 28 s.; F. Nicolai, Mecenati a confronto: committenza, collezionismo e mercato dell’arte nella Roma del primo Seicento, Roma 2009, pp. 93-109.