MORRA, Bernardino
MORRA, Bernardino. – Nacque a Casale Monferrato nel 1549 da una famiglia patrizia originaria di Chivasso.
Intrapresi gli studi giuridici, entrò giovanissimo al servizio dei Gonzaga, che al ducato di Mantova avevano da poco unito la signoria su Casale, con la carica di generale delle finanze conferitagli dal duca Guglielmo. Ben presto lasciò, però, il secolo per intraprendere la carriera ecclesiastica.
Nel 1575, a 26 anni, era già al fianco dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo nella visita alla diocesi di Bergamo e, da quel momento, rimase tra i suoi più fidati assistenti e collaboratori. Nominato da Borromeo, probabilmente già nel 1576, auditore generale della diocesi di Milano con funzioni di fatto equiparate a quelle di vicario, assimilò il magistero del cardinale e molti dei suoi metodi di gestione e governo della Chiesa. Quando, nell’ottobre 1583, Borromeo, in qualità di cardinal protettore della Svizzera, assunse l’oneroso compito di svolgere una missione, pastorale e diplomatica insieme, nella Val Mesolcina, Morra fu al suo fianco.
Situata oltre il passo del San Bernardino, ai confini con i cantoni svizzeri, in un territorio di frontiera ritenuto cruciale per l’equilibrio religioso della Confederazione e delle Leghe, la Val Mesolcina era un’area assai inquieta per motivi politici e religiosi: le tensioni dovute alla presenza di numerosi calvinisti erano acutizzate da alcuni casi di stregoneria femminile. Mentre Borromeo svolgeva la sua missione tra le popolazioni della valle, indagando le condizioni del clero, esercitando il ministero della predicazione e le confessioni e, di fatto, ponendo le basi per l'attuazione del tridentino e il rafforzamento della funzione episcopale, Morra si recò come suo inviato a Coira, il maggiore centro della valle e sede vescovile, chiamato a svolgervi una importante legazione con i Grigioni.
Alla morte di Borromeo (3 novembre 1584), come avvenne anche per altri suoi fidati coadiutori, Morra continuò a seguirne le orme, sia dal punto di vista della esemplarità e dello zelo pastorale, sia per le posizioni di prestigio che via via si conquistò nella Curia pontificia. Nel 1586 ottenne la nomina di vicario generale della diocesi ambrosiana, incarico che mantenne fino al 1592. Divenne poi protonotario apostolico. Nel 1594, su segnalazione del cardinale Alessandro di Montalto, a quel tempo legato a Bologna, fu incaricato della visita pastorale di S. Lorenzo in Damaso a Roma. L’anno dopo fu nominato segretario della congregazione dei Vescovi e fu poi prefetto del palazzo apostolico, chiamatovi da Clemente VIII che lo volle tra i suoi coadiutori nella riforma disciplinare della Chiesa.
Continuava intanto a perseguire anche un forte impegno nel servizio sacerdotale. Nel 1591 pubblicò un trattatello sul Giubileo, dedicandolo a Innocenzo IX (Jubileum s.mi d.n. domini Innocentii divina providentia papae IX, Milano, P. da Ponte, 1591). Intrattenne un lungo rapporto di collaborazione e poi di intensa relazione epistolare con Carlo Bascapé, conosciuto negli anni trascorsi nella Milano borromaica, il quale nel 1586 era stato nominato superiore generale dei barnabiti e nel 1593 vescovo di Novara. Con lettera dell'11 luglio 1593 Morra ottenne da lui l’incarico di amministratore dei seminari della diocesi piemontese, che svolse per due anni, riuscendo ad apportare importanti elementi di riforma e razionalizzazione dell'intera struttura preposta alla formazione del clero locale e, soprattutto, a proporre un nuovo tipo di prete, esemplare per i laici e più vicino al modello tridentino.
Si trovava a Ferrara per conto di papa Aldobrandini, che da qualche mese aveva fatto dell’antico ducato estense una legazione dello Stato della Chiesa, quando, il 9 ottobre 1598, ricevette la nomina a vescovo di Aversa che completava il suo cursus honorum nelle alte gerarchie della Chiesa. Trattenuto a Roma dalle numerose incombenze legate al ruolo di segretario della congregazione dei Vescovi e da qualche altro incarico assegnatogli nel frattempo dal papa, Morra si fece precedere nel suo insediamento da una Lettera pastorale … al suo diletto popolo della città e diocesi d’Aversa (Napoli, G.G. Carlino - P. Pace, 1599), composta nei primi mesi dell'anno. Alla Lettera Morra accludeva una copia degli Avvertimenti generali per il vivere cristiano, che Borromeo aveva rivolto a suo tempo al popolo di Milano. In questo modo il nuovo presule lanciava quello che sarebbe stato il suo programma di governo episcopale, che in tutto ricalcava il modello borromaico.
Di che cosa si concretizzassero il modello borromaico e l’attuazione della normativa tridentina in una diocesi del Mezzogiorno alla fine del Cinquecento si sarebbe visto poi negli anni del suo episcopato ad Aversa. Qui per esigenze di sistemazione burocratica Morra mise mano innanzi tutto alla riforma delle parrocchie, riordinate in zone territoriali al posto dell’antica aggregazione per famiglie. Con un’abile operazione di riordino amministrativo-finanziario sanò la precedente situazione debitoria del seminario e ne incrementò la rendita, presupposto essenziale per assicurarne il definitivo decollo e affrontare concretamente i problemi della formazione del clero. A questo in particolare rivolse una serie di incontri periodici per l’aggiornamento pastorale, destinati a riqualificarne la funzione sacerdotale. Per alimentare tra i laici e nel clero la moralizzazione della vita religiosa fondò la Fraternitas della Dottrina cristiana, che fu la prima vera scuola di catechesi nella storia post-tridentina della diocesi. Si occupò anche del riordino dei monasteri femminili, di cui nel corso della visita dovette lamentare le condizioni di eccessivo affollamento, oltre che le difficoltà finanziarie causate dal mancato pagamento di molte delle doti e dei vitalizi delle monache. Grazie all’azione di risanamento economico dei conti della mensa episcopale, avviò anche consistenti lavori di ampliamento e ristrutturazione del palazzo vescovile, che assunse così l’aura di decoro necessaria al rilancio della funzione episcopale. Redasse da Roma la visita ad limina (novembre 1600) e, nel 1603, il primo testo di Costituzioni capitolari. Il suo impegno di presule si mosse, quindi, costantemente tra azione pastorale, rafforzamento del ruolo giurisdizionale del vescovo e una più organica gestione amministrativa, e ciò nonostante qualche impegno curiale lo portasse spesso ancora a Roma.
Morì ad Aversa il 17 marzo 1605.
Come segno tangibile della sua religiosità e del riconoscimento per coloro che gli avevano fatto da maestri, lasciò alla città di Aversa un’ampolla contenente il sangue di Carlo Borromeo (che sarebbe stato canonizzato nel 1610), conservata presso il Tesoro delle reliquie della cattedrale, e a Casale Monferrato l’opera di ristrutturazione del convento di S. Paolo dei barnabiti, in omaggio a Bascapé.
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