INDIA, Bernardino
Nacque nel 1528 a Verona, in contrada S. Silvestro, da Cristoforo di Mandello da Gazzo e Dorotea India. Nel 1545 la madre, rimasta vedova, si sposò di nuovo; l'I. fu allora affidato ai nonni materni, Caterina e Bernardino, dei quali divenne erede e prese il cognome (Fainelli, pp. 174 s., 186).
Poco si conosce della formazione artistica dell'I., ma, vista la sua prolifica attività di frescante, è possibile che egli abbia frequentato uno dei grandi decoratori della generazione precedente: Giovanni Maria Falconetto, Giovanni Francesco Caroto, Francesco India, o forse il più giovane Domenico Brusasorci.
L'I. esordì, tra il 1550 e il 1555, affrescando Divinità olimpiche e grottesche, queste in collaborazione con Eliodoro Forbicini, in due sale al piano terreno del sanmicheliano palazzo Canossa a Verona, su commissione di Girolamo, figlio del conte Galeazzo che aveva condotto a termine i lavori iniziati dallo zio Lodovico, vescovo di Bayeux.
La critica è divisa sulla datazione delle sale, ma è facile credere che gli interventi non fossero stati molto distanti tra loro, seppure successivi a quelli di Paolo Veronese e Battista D'Angolo detto del Moro (Gaetani di Canossa, p. 383). Controversa è invece l'attribuzione all'I., a una data anteriore al 1551, degli affreschi con Paesaggi nella villa Del Bene a Volargne, più vicini allo stile di Brusasorci (D'Arcais, pp. 145-148).
Subito dopo, forse già nel 1552, l'I. si trasferì a Vicenza per decorare il palazzo che Marcantonio Thiene si era appena fatto costruire da Andrea Palladio. Iniziò qui una proficua collaborazione con un gruppo di decoratori attivi per un ventennio nelle grandi ville palladiane: Anselmo Canera e Bartolomeo Ridolfi, entrambi di formazione veronese, e il trentino Alessandro Vittoria.
Nelle stanze al pianterreno l'I. affrescò la sala di Proserpina, per la quale Ridolfi scolpì il camino, e quella di Psiche, mentre a Vittoria si devono gli splendidi stucchi; fu forse in quest'occasione che Vittoria realizzò una medaglia che, sul rovescio, riporta i tratti dell'I. e, sul dritto, il suo autoritratto (Londra, British Museum). Al piano nobile dipinse a fresco la stanza delle Metamorfosi con Scene mitologiche e grottesche, dove lavorò anche Forbicini. Nell'estrosità narrativa e nella felice combinazione di medaglioni e cammei, uccelli e bucrani, drappi e festoni, accompagnati da figure femminili si palesa l'influenza del Parmigianino (Francesco Mazzola) e, soprattutto, di Francesco Primaticcio e Nicolò Abbati (dell'Abate), le cui imprese nel castello di Fontainebleau erano note in terra veneta grazie alle incisioni di Antonio Fantuzzi (Binotto, p. 766); sono infatti grottesche più leggere e fantasiose rispetto a quelle romane o padovane, più adatte a integrarsi con gli stucchi di Ridolfi e Vittoria. Nelle scene narrative, legate al repertorio ovidiano ed erudito, l'I. interpreta i temi propri della scuola raffaellesca, dalla Farnesina a palazzo Te, ma con una sobrietà e una freschezza cromatica che molto si avvicinano alla maniera di Perin del Vaga, e con un uso degli scorci e dei cangiantismi già debitore delle invenzioni veronesiane.
Non erano ancora terminati i lavori vicentini quando, nel 1555, l'I. si sposò con Anna degli Stivieri, da cui non ebbe figli (Fainelli, p. 175).
Entro il 1558 il pittore realizzò la decorazione ad affresco - di cui restano frammenti al Museo degli affreschi Giovanni Battista Cavalcaselle - sulla facciata minore del distrutto palazzo di Fiorio dei Fiori (detto Fiorio della Seta) presso ponte Nuovo a Verona (la maggiore era stata affrescata da Brusasorci entrato poi in conflitto col committente): la fascia centrale raffigura le allegorie delle città di Rovigo, Verona e Treviso, parte di un ciclo che intendeva celebrare le città di Terraferma in cui fioriva l'industria serica, al cui successo commerciale doveva le proprie fortune il committente (Modonesi).
È possibile che dopo questa data, ma secondo altri anche prima, l'I., insieme con Canera e Ridolfi, cui si aggiunse Giovan Battista Zelotti, si fosse trasferito a Pojana Maggiore per affrescare la villa di Bonifazio Pojana, la cui decorazione pittorica fu conclusa entro l'agosto del 1563 (Binotto, p. 799 n. 113).
Nella sala degli Imperatori l'I. dipinse il soffitto con la scena centrale raffigurante l'Olimpo, in cui Schmied-Hartmann (pp. 121 s.) riconosce anche la mano di Canera, e intorno i riquadri con i Trionfi dei Cesari, incorniciati da vivaci grottesche. Anche in questo caso l'I. interpreta il tema classico degli imperatori exempla virtutis con amabile leggiadria, spogliandolo dei riferimenti dotti che avevano caratterizzato i precedenti di Andrea Mantegna e di Tiziano, nonché di Giovanni Maria Falconetto in palazzo Franchini (già Del Verme) a Verona, per conservare solo la vivacità evasiva e disimpegnata della scenografia. Notevole è pure la piccola stanza attigua con paesaggi nelle lunette e grottesche sulle pareti e sulle vele della crociera, dove l'I. dà sfogo alla sua notevole padronanza del segno grafico e a una brillante e raffinata cromia: l'incrocio inusuale tra paesaggio e ornamento all'antica ricorda qui le decorazioni della scuola raffaellesca nel camerino del cardinale Bibiena Bernardo Dovizi, nei palazzi Vaticani, o nella stufetta di Clemente VII in Castel Sant'Angelo.
Per affinità con il ciclo di Pojana è stato fatto il nome dell'I. per il fregio affrescato in una sala al pianterreno di palazzo Da Ponte a Vicenza (Binotto, p. 784). Verso il 1560 l'I. collaborò con Battista del Moro e Ridolfi in alcune sale del palazzo di Girolamo Murari Della Corte, ora Bocca Trezza, a Verona, dove i rovinati paesaggi con episodi mitologici, incorniciati dalle grottesche, sembrano rifarsi a modelli fiamminghi (Rossi, 1997). Sempre a Verona l'I. lavorò insieme con Ridolfi, autore degli stucchi, nel piccolo soffitto ottagono di palazzo Della Torre, ora Ederle.
Da poco riemerso dagli scialbi di palazzo Da Lisca presso S. Maria in Organo è l'affresco raffigurante Coriolano riceve le matrone romane, eseguito tra il 1560 e il 1570 (Marinelli, 2000, pp. 53 s.).
Il settimo decennio conosce anche una non trascurabile produzione di pale d'altare, alcune delle quali eseguite dall'I. a due mani con Orlando Flacco: la Madonna col Bambino, angeli e i ss. Vigilio e Giovanni Battista del Museo civico di Castelvecchio e la perduta pala per S. Zeno del 1563, di cui si conserva il disegno preparatorio alla National Gallery of art di Washington (Id., 1986). I dipinti eseguiti in coppia dovevano aver goduto di un discreto successo se nel 1566 il Consiglio cittadino di Verona commissionò loro un telero per la loggia del Consiglio: la grande tela, firmata da entrambi e conservata a Verona nel palazzo della Provincia, raffigura La Vergine col Bambino tra i ss. Zeno e Pietro Martire riceve l'omaggio della città di Verona, dove fanno capolino, in secondo piano, i ritratti di recenti "glorie" veronesi: Girolamo Verità, Onofrio Panvinio, Giovan Battista Montano e Girolamo Fracastoro. Pure del 1566 era la pala, perduta, per S. Luca a Verona, nota ora solo da fotografie (Marinelli, 1988, p. 339).
A partire dall'ottavo decennio l'I. risiedette stabilmente a Verona, abbandonando definitivamente la carriera di frescante in concomitanza col generale esaurimento della tradizione decorativa nelle ville venete.
Intorno al 1570 si datano i grandi monocromi su tela con Personaggi biblici sull'organo di S. Giorgio in Braida, figure solitarie che spiccano dagli sfondi con rovine classiche. Del 1572 è l'Adorazione dei pastori in S. Bernardino per l'altare dei conti Franco. A una data vicina al 1575 si colloca il fregio con il Trionfo di Scipione Africano nel salone centrale al piano superiore di palazzo Murari (ora Bocca Trezza) a Verona, la cui attribuzione all'I. è però ora contesa, con buoni argomenti, da quella ad Anselmo Canera (Peretti, 1999, p. 15). Del 1575 è l'Annunciazione proveniente dal monastero di S. Chiara, già in S. Domenico e ora a Castelvecchio (in deposito a S. Vittore di Colognola ai Colli), firmata e datata, dove si esaspera la tendenza dell'I. alla forma idealizzata e antinaturalistica, comunque sempre molto sofisticata, nelle citazioni da Bartholomaeus Spranger, Domenico Beccafumi e Paolo Veronese. Siglata e datata 1576 è la S. Giustina orante, a Castelvecchio, un tempo nella chiesa di S. Caterina, commissionata dagli abitanti della contrada di Ognissanti (Fainelli, pp. 175-177). Dello stesso anno è la Vergine in trono tra i ss. Giovanni Battista e Rocco della parrocchiale di Sommacampagna. A una data tarda si collocano anche la grande tela con lo Sposalizio mistico di s. Caterina in S. Eufemia (Marinelli, 1988, p. 337) e la Madonna in gloria e santi già nella parrocchiale di S. Donato alla Colomba, ora a Castelvecchio (in deposito a S. Vittore di Colognola ai Colli).
Nel 1579 l'I. dipinse per l'altare della sanmicheliana cappella Pellegrini in S. Bernardino la tela, firmata e datata, raffigurante la Vergine col Bambino, s. Anna e angeli, di cui si conservano bei disegni preparatori al British Museum di Londra, al Fitzwilliam Museum di Cambridge e alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, che documentano le varie fasi della realizzazione. Notevole in effetti è la sua produzione grafica: nei disegni, come nelle grottesche giovanili, l'I. riversa la sua maniera elegante e fluida, a volte capricciosa e artificiale, di matrice sicuramente emiliana, che invece nelle opere di grande impegno e soprattutto nelle pale d'altare si irrigidisce in forme contratte e talvolta stucchevoli.
Nel 1580 Cristoforo Sorte testimoniava che l'I., "saggio e gentilissimo pittore", andava raccogliendo "i veri ritratti de principi e de gli huomini più segnalati nelle scienze, e nelle arti liberali, di tutti i tempi", per farne "un bellissimo museo".
Poco sappiamo in realtà di questa galleria "gioviana" di uomini illustri, che godeva di una consolidata tradizione in terra atesina (Schweikhart): gli unici pezzi di mano dell'I., che con ogni probabilità facevano parte della collezione, sono il Ritratto del vescovo Gian Matteo Giberti, dipinto su tavola, di cui si conoscono due versioni, una al Museo del Prado di Madrid, l'altra a Castelvecchio, e l'enigmatico Ritratto di prelato, pure a Castelvecchio, dipinto su pietra di paragone (Peretti, 1998).
L'anagrafe di contrada del 1583 ribadisce che l'I. viveva a Verona con la moglie e alcuni nipoti (Fainelli, p. 179). L'anno seguente eseguì la Conversione di s. Paolo in Ss. Nazaro e Celso, firmata e datata, e la lunetta con la Trasfigurazione, assai ridipinta.
La Conversione, ricca di citazioni da Gian Battista Zelotti e dal Parmigianino, è forse la sua pittura sacra più fredda, e comunque, nella genericità e nell'astrattezza dei volti, influì sulle scelte stilistiche di Felice Brusasorci e Pasquale Ottino.
Nel 1590 dipinse il Martirio di s. Degnamerita per l'altare Carcassoli in S. Fermo a Verona e ora a Castelvecchio.
Qui il notturno, violentemente squarciato dalla luce "spirituale" della santa, sembra una rilettura fredda e razionale della nox tizianesca del Martirio di s. Lorenzo in S. Maria Assunta a Venezia che, nell'esasperazione polare e dialettica del contrasto buio-luce, era divenuto il modello di rappresentazione martirologica in età postridentina.
L'I. morì a Verona probabilmente nel 1590, come autorizza a credere la scritta sulla pala con il Martirio di s. Degnamerita: "Bernardinus India postremo vitae anno faciebat MDXC".
L'I. aveva fatto testamento il 29 ag. 1589 ordinando di essere sepolto, accanto ai suoi antenati, a Verona nella chiesa dei Ss. Antonio e Silvestro, davanti all'altare della Vergine. Nominò eredi universali i due nipoti figli della sorella Anna: Tullio, anch'egli pittore, la cui figura era stata confusa o addirittura scambiata con quella dello zio, e Francesco, medico, al quale lasciò anche le sue opere e la collezione di ritratti, con l'obbligo di conservarla "integraliter usque in infinitum pro memoria laborum dicti domini testatoris" (Fainelli, pp. 182 s.).
Fonti e Bibl.: A. Palladio, I quattro libri dell'architettura, II, Venezia 1570, p. 12; C. Sorte, Osservazioni nella pittura (1580), in Trattato d'arte del Cinquecento fra manierismo e controriforma, a cura di P. Barocchi, I, Bari 1960, p. 278; V. Fainelli, Gli India pittori, in Madonna Verona, III (1909), pp. 173-187; F. Cessi, Alessandro Vittoria medaglista (1525-1608), Trento 1960, pp. 62-64; R. Brenzoni, Diz. di artisti veneti, Firenze 1972, pp. 167-169; E. Saccomani, Le grottesche di B. I. e di Eliodoro Forbicini, in Arte veneta, XXVI (1972), pp. 59-72; B. Mazza, B. I., in Maestri della pittura veronese, a cura di P. Brugnoli, Verona 1974, pp. 253-260 (con bibl.); L. Magagnato, in Cinquant'anni di pittura veronese, 1580-1630 (catal.), a cura di L. Magagnato, Vicenza 1974, pp. 79-84; A. Conforti Calcagni, in Palladio e Verona (catal.), a cura di P. Marini, Verona 1980, pp. 178, 181-184; S. Marinelli, ibid., pp. 189 s., 210-212; V. Sgarbi, in Palladio e la maniera (catal.), Vicenza 1980, pp. 19, 66-73; S. Marinelli, Lettera di un viaggio da Mantova a Verona, in Quaderni di Palazzo Te, V (1986), p. 40; Id., in Proposte e restauri. I musei d'arte degli anni Ottanta (catal.), Verona 1987, pp. 154-158; Id., in Veronese e Verona (catal.), a cura di V. Sgarbi, Verona 1988, pp. 337-340; E. Rama, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 742; D. Modonesi, Due tracce di B. I., in Verona illustrata, III (1990), pp. 59-61; G. Schweikhart, B. I. und die Idee des Künstlermuseums im 16. Jahrhundert, in Wallraf-Richartz-Jahrbuch, LI (1990), pp. 123-130; D. Scrase, in Da Pisanello a Tiepolo. Disegni veneti dal Fitzwilliam Museum di Cambridge (catal.), Milano 1992, pp. 88 s.; H. Sueur, Le dessin à Vérone aux XVIe et XVIIe siècles (catal.), Paris 1993, pp. 124-128; Id., in Disegni veronesi al Louvre, 1500-1630 (catal.), a cura di S. Marinelli, Milano 1994, pp. 152-157; F. D'Arcais, Gli affreschi della villa Del Bene a Volargne, in La famiglia Del Bene di Verona e Rovereto e la villa Del Bene di Volargne…, a cura di G.M. Varanini, Rovereto 1996, pp. 139-148; B. Basevi, Su alcuni disegni veronesi a Genova, in Verona illustrata, X (1997), pp. 21 s.; F. Del Torre, in Vittoria Colonna Dichterin und Muse Michelangelos (catal.), a cura di S. Ferino Pagden, Wien 1997, pp. 248 s.; E.M. Guzzo, Flacco, Orlando, in Diz. biogr. degli Italiani, XLVIII, Roma 1997, pp. 266 s.; F. Rossi, "Il porto e la scala di Alemagna": artisti del Nord a Verona, in La pittura fiamminga nel Veneto e nell'Emilia, a cura di C. Limentani Virdis, Verona 1997, pp. 185-187; P. Schmied-Hartmann, Die Dekoration von Palladios Villa Poiana, München 1997, pp. 64 ss.; G. Peretti, in Cento opere per un grande Castelvecchio (catal.), a cura di P. Marini, Venezia 1998, p. 57; M. Binotto, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, II, Milano 1998, pp. 763-767, 784, 793, 799, 803; S. Marinelli, ibid., pp. 824, 836-845, 880; E. Rama, ibid., III, ibid. 1999, p. 1297; P.P. Mendogni, Intrigante tela veronesiana: Cupido tra Amore e Passione, in Aurea Parma, LXXXIII (1999), 1, pp. 15-18; G. Peretti, Il "Trionfo di Scipione Africano" in palazzo Murari Della Corte a Verona, in Quaderni di Palazzo Te, n.s., V (1999), pp. 13-15, 21-23; A. Conforti Calcagni, Palazzo Bocca Trezza a S. Nazaro, in Edilizia privata nella Verona rinascimentale…, a cura di P. Lanaro - P. Marini - G.M. Varanini, Milano 2000, pp. 376 s.; I. Gaetani di Canossa, Note sugli affreschi delle sale a piano terra di palazzo Canossa a Verona, ibid., pp. 382-384; S. Marinelli, Cinque secoli di disegno veronese (catal.), Firenze 2000, pp. 53-58; L. Attardi, Alessandro Vittoria e l'origine dei "cimieri Ornati" nel camino veneto, in Alessandro Vittoria e l'arte veneta della maniera…, a cura di L. Finocchi Ghersi, Udine 2001, pp. 52-54; F. Rossi, "Mill'altre maraviglie ristrette in angustissimo spacio". Un repertorio dell'arte fiamminga e olandese a Verona tra Cinque e Seicento, Venezia 2001, ad indicem; S. Marinelli, Di Cinquecento veronese, in Venezia arti, XIV (2003), pp. 21-26; A. Serafini, Modelli di santità e strategie politiche nei ritratti di Gian Matteo Giberti, in Schifanoia, XXIV-XXV (2003), in corso di stampa; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, pp. 586 s.; The Dictionary of art, XV, p. 167.