GIANNUZZI-SAVELLI, Bernardino
Nacque a Cosenza il 19 nov. 1822 da Domenico, barone di Pietramala (oggi Cleto), e da donna Rosa Mollo.
Completò gli studi giuridici, intrapresi dapprima nella sua città, presso l'Università di Napoli, dove si laureò e iniziò la professione distinguendosi presto per personalità, capacità dialettiche e in generale per il suo "tenore di vita […] brillante" (Moscati, p. 7).
Nel 1845, conseguito per concorso l'alunnato in giurisprudenza pratica bandito dal governo napoletano, il G. entrò in magistratura rivestendo la carica di pubblico ministero in un momento assai delicato della storia del Regno, presto scosso dalle concessioni costituzionali del 1848 e dal loro quasi immediato ritiro. Dotato dell'equilibrio umano e professionale necessario per esercitare la pubblica accusa in un regime come quello borbonico, il G. attraversò indenne gli ultimi anni di vita del Regno e, dopo essere passato a svolgere le proprie funzioni dalla Suprema Corte di giustizia alla Gran Corte criminale in Napoli, il 7 nov. 1859 fu promosso giudice di Gran Corte criminale in missione di regio procuratore presso il tribunale di Napoli, essendo talvolta chiamato a far parte di commissioni legislative per gli studi giuridici, in particolare di quelle che avevano allo studio la stesura dei nuovi codici.
La competenza di cui diede prova gli garantì, dopo la crisi finale del 1860, un facile passaggio nella magistratura del neonato Regno d'Italia. A Torino, nei primi mesi del 1862, il G. era un componente (con G. Vacca, P.S. Mancini e R. Conforti) della Commissione per gli studi legislativi che attuò il definitivo organico per il riordinamento della magistratura meridionale, successivamente varato da U. Rattazzi con due decreti, e che si occupò anche delle riforme più urgenti per coordinare la legislazione piemontese, quale legislazione del nuovo Regno, con quella napoletana.
Negli anni tra il 1871 e il 1883 gli furono inoltre conferiti vari titoli onorifici (di commendatore mauriziano, di ufficiale, poi commendatore e quindi grand'ufficiale della Corona d'Italia, di grand'ufficiale mauriziano) e la gran croce dell'Ordine della Corona d'Italia.
Nel 1876, dopo la caduta della Destra, il G. fu richiamato a sua domanda al posto di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione generale di Napoli, lasciando così il posto di avvocato generale presso la Corte di cassazione di Palermo ove era stato nominato dal 16 nov. 1876; appena qualche anno dopo, nel 1879, ottenne, su proposta del guardasigilli D. Tajani, la nomina ad avvocato generale presso la Corte di cassazione di Roma. Seguì di lì a poco la nomina a senatore (12 giugno 1881, XIV legislatura) su proposta di G. Zanardelli, il quale quasi contemporaneamente lo chiamava a presiedere la Commissione per l'esame e la preparazione del nuovo codice di commercio.
Numerosi furono gli interventi del G. nel dibattito parlamentare, in particolare a proposito dei progetti di legge sulla riforma elettorale del 1882 (quando sostenne la possibilità per ogni cittadino di impugnare la decisione della Commissione provinciale che ne avesse previsto l'esclusione dalle liste); sullo stato degli impiegati civili, con particolare attenzione alla previsione della specifica motivazione della destituzione o revoca del personale; sulla responsabilità dei committenti nei casi di infortuni sul lavoro, e infine sull'ordinamento del credito agrario.
Il G. era primo presidente della Corte di appello di Roma dal 20 apr. 1879 e ne dirigeva la sezione civile, svolgendovi la maggior parte delle volte entrambi le funzioni di relatore ed estensore, allorché il 25 maggio 1883 A. Depretis lo chiamò al governo in qualità di ministro guardasigilli per gli affari di Grazia e Giustizia e dei Culti. Nell'occasione qualche giornale lo qualificò come "apolitico" e La Riforma del 26 maggio 1883 lo presentò al pubblico come uomo né di destra né di sinistra.
Sebbene la sua permanenza al governo non fosse di lunga durata (si dimise il 29 marzo 1884), il G. si mostrò molto attivo nel lavoro di studio e preparazione del nuovo codice penale, al quale, sulla scia di un precedente progetto Zanardelli, cercò di conferire un carattere marcatamente liberale. Infatti nella parte generale del progetto, frutto della rifusione di quelli precedenti, si respingeva la tripartizione francese dei reati in crimini, delitti e contravvenzioni e si procedeva a una semplificazione delle pene eliminando gli istituti della reclusione e della relegazione e mantenendo invece solo la prigionia e la detenzione, oltre all'ergastolo quale pena massima. Il G. ebbe un ruolo importante anche nella stesura del disegno di legge Depretis del 30 maggio 1883 che non fu approvat0 ma che, su proposta dalla commissione di inchiesta sugli scioperi, intendeva regolare con legge speciale una materia - quella degli scioperi, appunto - che non si riteneva opportuno inserire nel codice penale.
Pur presente sia nel governo, sia nel Parlamento, il G. continuò a sentirsi parte integrante della magistratura, e come membro di una commissione dell'Ufficio centrale del Senato si occupò del miglioramento della carriera del personale giudiziario con un progetto che fu la base del successivo progetto Tajani del 25 nov. 1885 che dettava, oltre alle norme sulla riforma delle circoscrizioni, quelle sull'unificazione della carriera delle due magistrature, giudicante e inquirente.
Dimessosi dal governo, il G. ritornò alla presidenza della corte d'appello di Roma; in Senato ebbe ancora occasione di intervenire nella discussione parlamentare sulla responsabilità dei committenti nei casi di infortunio. Fu vicepresidente del Senato nella sessione dal 10 giugno 1886 al 4 sett. 1887.
Morì a Roma il 10 nov. 1887.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero di Grazia e Giustizia. Ufficio superiore del personale e affari generali, primo versamento, b. 19, f. 2863. Notizie sul G. in S. Sapuppo Zanchi, La XV legislatura ital., Roma 1884; A. Brunialti, Annuario biogr. universale, Torino 1884-87, III, p. 590; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale…, Roma 1896, pp. 512 s.; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, V, Napoli 1948, pp. 6-10; L. Aliquò Lenzi - F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi. Diz. bio-bibl., Reggio di Calabria 1955, sub voce; G. Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, ad indicem; A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-61), Milano 1963, ad indicem; A. Placanica, in La Calabria, in Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi, Torino 1985, ad indicem; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1989, ad indicem; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, III, sub voce; A. Malatesta, Ministri deputati senatori dal 1848 al 1922, II, sub voce. L'attività parlamentare del G. è documentata in Atti parlamentari, Senato, Discussioni, legislature XIV-XVI, ad indices. Per un inquadramento storico cfr. M. D'Addio, Politica e magistratura (1848-1876), Milano 1966, p. 164; P. Marovelli, L'indipendenza e l'autonomia della magistratura ital. dal 1848 al 1923, Milano 1967, pp. 104, 115; G. Neppi-Modona, Sciopero, potere politico e magistratura 1870/1922, Bari 1969, pp. 9 ss., 52; P. Saraceno, Governo, Parlamento e magistratura tra Destra e Sinistra, in Il Parlamento italiano, V, 1877-1887: La Sinistra al potere, Milano 1989, pp. 152 s.