GENESINI (Canozi, Camozzi), Bernardino
Nacque a Lendinara, presso Rovigo, intorno al 1448 da Cristoforo, maestro lignario, e dalla sua prima moglie, Giovannina Schirsario de Conti (Caffi, 1878).
Giovanissimo, apprese il mestiere nella bottega avviata dal padre e dallo zio Lorenzo. Già nel 1462 i libri di cassa della fabbrica del duomo di Modena annotano la sua presenza tra gli aiuti dei maestri lendinaresi impegnati tra il 1460 e il 1465 nella realizzazione del coro ligneo che, l'8 febbr. 1463, valse alla famiglia, e al G., la cittadinanza modenese (Fiocco, 1913, pp. 280, 339).
Nel corso di questi anni, all'interno della bottega maturò la scissione che portò Lorenzo a stabilirsi definitivamente a Padova e Cristoforo a soddisfare commissioni nelle città emiliane con la partecipazione non sempre documentata del figlio. Se è infatti solo probabile che Cristoforo si avvalesse della sua collaborazione per portare a termine il coro della cattedrale di Parma (Bagatin, 1990, p. 86), è invece attestata in sede documentaria la presenza del G., ancora a fianco del padre, a Modena (Baracchi, p. 215); almeno dal 1470, infatti, Cristoforo risiedeva in questa città e fu attivo in duomo negli anni immediatamente successivi (Bagatin, 1990, pp. 80 s.). Secondo Dondi, che lesse i rendiconti della fabbrica modenese oggi non più esistenti, nel 1474 il G., sotto la supervisione del padre, partecipò alla lavorazione, durata almeno un decennio, di due lunghe teorie di pancali e di un bancone centrale per la sagrestia nuova. In queste tarsie, rispetto ai modi del padre e dello zio, si registrano alcune novità quali la scelta di campi più vasti e l'uso di motivi floreali meno stilizzati, che sono stati ricondotti all'attenzione da parte della bottega per il gusto fiammingo (Röper-Steinhauer, p. 71), ma anche a un personale apporto del G. (Bagatin, 1990, p. 149).
A seguito degli impegni cittadini, il G. stabilì a Modena la propria residenza. Intorno al 1478 sposò Caterina, sorella di Pietro Antonio Abbati, genero e collaboratore di Lorenzo. Dal matrimonio nacquero almeno tre figli: Alessandro, Sigismonda e Daniele.
A partire dal 1484, e per circa quattro anni, Cristoforo fu attivo a Lucca e a Pisa. Il G. rimase a Modena, impegnato a portare a termine i lavori della sagrestia. Tra il giugno e il luglio 1486 fu tuttavia a Pisa in rappresentanza del padre per alcune questioni relative al coro del duomo (Tanfani Centofanti), impresa che forse coinvolse in minima parte anche lui, come mostrerebbe una delle quattro tarsie rimaste dell'intero complesso, conservata nel Museo dell'Opera del duomo (Novello - Tongiorgi Tomasi, p. 144).
Al principio del 1487 i fabbriceri della cattedrale di Parma indissero un concorso per realizzare gli arredi lignei del battistero e della sagrestia detta dei Consorziali. Vi parteciparono Cristoforo, rappresentato legalmente dal G., e il cremonese Tommaso Sacchi (Bagatin, 1990, p. 165). Cristoforo era ancora assente quando, il 10 sett. 1487, il contratto di allogazione dell'opera fu sottoscritto, in sua vece, dal G., che risultava "nunc residentiam faciens in civitate Parme in vicinia Maioris Ecclesie" (Quintavalle, 1959, p. 103). Al G. il capitolato attribuì tre disegni, a testimonianza di un ruolo, benché circoscritto, nell'ideazione dell'opera.
Dopo la morte del padre, sopraggiunta intorno al 1490, il G. continuò a lavorare a Parma almeno fino al 1494, quando firmò i due tronetti lignei del battistero, oggi conservati nella Pinacoteca nazionale cittadina (Bagatin, 1990, p. 202).
Commissionati quasi certamente dalla ricca e antica collegiata di S. Giovanni Battista, essi costituiscono il primo lavoro autonomo del G., che utilizzò, con qualche variante, cartoni del padre (Frisoni, p. 542): negli specchi centrali i due santi - Giovanni Battista e, forse, Ilario - non nascondono echi pierfrancescani accanto a modi "veneteggianti di Padania" (Ferretti, p. 504); nei dossali laterali il consueto schema della prospettiva urbana viene modificato: si accentua il verticalismo delle architetture che si aprono al di là di archi bicromi sostenuti da pilastri in luogo delle tradizionali ante socchiuse.
Dopo aver ottenuto la cittadinanza parmense ed essersi stabilito in parrocchia S. Alessandro, il G. proseguì per tutto il decennio la sua attività per la cattedrale. Sul finire del 1500, o al più tardi all'inizio del 1501, decise però di trasferirsi a Ferrara (Venturi, p. 56).
In quegli anni la città estense era in pieno fermento artistico grazie alle imprese patrocinate dal duca Ercole I d'Este: tra di esse, il rinnovamento della zona presbiteriale della cattedrale. La nuova abside costruita da Biagio Rossetti avrebbe dovuto ospitare un coro ligneo di imponenti dimensioni costituito, forse, da centocinquanta stalli su tre ordini. A realizzare un'impresa così vasta, peraltro non unica in città, vennero chiamati diversi artefici, ciascuno con compiti differenziati. Al G., che il 20 e il 27 apr. 1501 firmò i contratti di allogazione, oggi perduti (Frisoni, p. 539), spettarono con ogni probabilità ideazione e messa in opera dei "quadri cum li casamenti, seu prospective", come risulta dalla lettera inviata da Ercole I al fattore generale Teodoro Busa nel gennaio 1503 (Caffi, 1851, p. 88).
Non tutte le tarsie sembrano essere di pari qualità, ma l'utilizzazione di schemi lendinaresi è costante: a motivi generici di minore impegno nei postergali inferiori fanno riscontro, nell'ordine superiore, sia le caratteristiche vedute di oggetti al di là di ante socchiuse, sia gli archi albertiani aperti su prospettive urbane.
Dopo la morte di Ercole I d'Este, sopraggiunta il 25 genn. 1505, i lavori del coro procedettero con lentezza, e il G. accettò altre commissioni ferraresi. Il "giornale di uscita" della corte estense registra alla data del 1502 un pagamento per alcuni lavori non meglio precisati per conto della duchessa Lucrezia, sposa di Alfonso d'Este in quello stesso anno (Bagatin, 1990, p. 210). E ancora gli sono stati attribuiti le vedute urbane e le tarsie floreali del coro di S. Andrea (Frisoni, p. 542) e ciò che rimane degli stalli del coro delle monache di S. Antonio in Polesine (Bagatin, 1990, p. 210). Nel frattempo il G., che nel 1503 risulta essere iscritto alla confraternita ferrarese di S. Giobbe (Franceschini, p. 483), continuò a ricevere pagamenti per l'impresa della cattedrale (Frisoni, p. 539).
Il G. morì a Ferrara tra la fine del 1506 e l'inizio dell'anno seguente (Bagatin, 1991, pp. 71, 74): l'incarico di "maestro d'intarsia et de prospectiva" del coro ferrarese passò al figlio Daniele (Cittadella, p. 59).
Fonti e Bibl.: M. Caffi, Dei lavori d'intaglio in legname e di tarsia pittorica nel coro della cattedrale di Ferrara, in L'Indicatore modenese, I (1851), pp. 88 s., 96-98; A. Ronchini, Dei lavori di scoltura in legno eseguiti in Parma, ibid., II (1852), pp. 257-259; L.N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara per la maggior parte inedite ricavate da documenti, Ferrara 1864, p. 59; M. Caffi, Dei Canozzi o Genesini lendinaresi maestri di legname del secolo XV celebratissimi, Lendinara 1878, p. 45; A. Dondi, Notizie storiche ed artistiche del duomo di Modena, Modena 1896, p. 136; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte da documenti pisani, Pisa 1897, p. 132; G. Fiocco, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara e la loro scuola, in L'Arte, XVI (1913), pp. 273-288, 321-340, passim; A. Venturi, L'arte dell'intaglio e della tarsia a Ferrara nella fine del Quattrocento, ibid., XIX (1916), pp. 55-57; G. Fiocco, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, p. 49, s.v.Lendinara; A.C. Quintavalle, Cristoforo da Lendinara, Parma 1959, passim; Id., Tarsie e urbanistica, in Critica d'arte, XI (1964), pp. 35-46; M. Ferretti, I maestri della prospettiva, in Storia dell'arte italiana, IV, Torino 1982, pp. 502-504; F. Frisoni, Il coro ligneo della cattedrale di Ferrara, in La cattedrale di Ferrara, Ferrara 1982, pp. 539-558; R.P. Novello - L. Tongiorgi Tomasi, Tarsie lignee, in Il Museo dell'Opera del duomo di Pisa, a cura di G. De Angelis D'Ossat, Pisa 1986, p. 144; O. Baracchi, La cattedrale di Modena nei documenti della fabbrica di S. Geminiano, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, IX (1987), pp. 198-222, passim; P.L. Bagatin, L'arte dei Canozzi lendinaresi, Trieste 1990, passim (con bibl.); Id., La tarsia rinascimentale a Ferrara, Firenze 1991, ad indicem; A. Röper-Steinhauer, Untersuchungen zur illusionistischen Bildintarsie der Brüder Lorenzo und Cristoforo Canozi da Lendinara, Frankfurt am M. 1992, pp. 67-73; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, II, Ferrara 1997, ad indicem.