GAGLIARDI, Bernardino
Nacque a Città di Castello, in località Piano di Sotto, da Girolamo e Lucrezia Niccolai, o Nicolucci, intorno al 1600, più probabilmente nel 1609 (Mancini, 1832, p. 144). Scrive il Pascoli (1736) che il G. iniziò gli studi di pittura nella città natale, presso lo studio del pittore e architetto Rinaldo Rinaldini, o de' Rinaldi, trasferendosi qualche tempo dopo a Roma presso il celebre, e ormai anziano, Avanzino Nucci. Nella bottega di questo pittore il G. sarebbe stato impiegato come aiuto in diverse imprese - ad esempio, C. Strinati (Un frammento d'affresco di Francesco da Castello, in Prospettiva, 1978, n. 15, p. 68) ha ipotizzato un suo coinvolgimento negli affreschi con le Storie di s. Francesco eseguiti dal Nucci nella basilica romana dei Ss. Apostoli - portandone a compimento alcune dopo la morte del maestro (1629).
A Roma il G. riscosse in breve un notevole successo, tanto che le sue finanze gli permisero di concedersi un lungo viaggio, "per lo Stato della Chiesa, e per la Lombardia" (Pascoli, p. 486), che intraprese allo scopo di farsi conoscere al di fuori dell'ambiente romano, ottenere nuove commissioni e ampliare la propria cultura pittorica.
Si trattenne alcuni mesi a Bologna per studiare a fondo il classicismo (i Carracci e, in particolare, G. Reni). Si recò in seguito a Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Mantova, Milano e Torino. Nel corso del viaggio di ritorno si fermò per un breve periodo a Firenze.
Tornato a Roma, mise immediatamente, e con alacrità, a profitto quanto aveva imparato durante il viaggio. Tra i suoi committenti si annoverano i cardinali Bernardino Spada, per il quale dipinse una Battaglia navale e una Battaglia terrestre, perdute, e Fabio Chigi, proprietario di quattro piccoli dipinti con Storie sacre, anch'essi perduti. Al 1628-33 appartengono gli affreschi per il catino absidale nella chiesa di S. Sebastiano al Palatino (Padre Eterno in gloria, S. Sebastiano curato da Irene), opera di gradevole impianto commissionata da Taddeo Barberini, prefetto di Roma.
Nonostante la solidità finanziaria che si era andato costruendo, anche dedicandosi all'attività di mercante d'arte che esercitò per tutta la vita, non si risolse a prendere moglie fino a che non vi fu costretto, così narra il Pascoli (p. 488), dalle inopportune insistenze di Pietro Berrettini da Cortona. Ignota è la data del matrimonio con Costanza Celestini, sua concittadina; dall'unione nacquero tre figli "e numerose figlie"; il Pascoli ricorda però solo Caterina, sposata in seconde nozze con il pittore assisiate Giuseppe Tassi e madre di Guido e Matteo Tassi, unici eredi del G. e probabili fonti del Pascoli.
Nel 1636 o nel 1637, in seguito a un violento scontro con fautori del partito spagnolo, il filofrancese G. (secondo il Pascoli, p. 488, sarebbe stato consulente per gli acquisti d'arte, e protetto, dell'ambasciatore di Francia) si trovò costretto a lasciare la città per la patria umbra.
L'abbandono di Roma non fu definitivo, come attestano negli anni successivi opere da lui eseguite certamente in loco: per esempio, gli affreschi del 1649 con Storie della Passione nella omonima cappella della chiesa di S. Maria in Traspontina, a giudizio del Mancini tra le opere più infelici uscite dal suo pennello; gli affreschi (1652) per la cappella dedicata a S. Filippo Benizi in S. Marcello al Corso (Miracolo del pane, Funerali di s. Filippo); la decorazione della cupola di S. Bernardino ai Monti (1653) in cui si nota il riferimento alla pittura del Domenichino nonché una partecipazione all'impianto scenografico barocco; infine, i lavori eseguiti nel 1654 circa per la basilica di S. Marco (affreschi delle navate laterali, decorazione della cappella della Pietà) che gli diedero una grandissima notorietà. Dipinse inoltre una Madonna con Bambino, ora nella cappella della Madonnella di S. Marco in piazza Venezia.
Nel 1654 venne eletto principe dell'Accademia romana di S. Luca, alla quale risulta iscritto almeno dal 1652 (Garofoli, in Pascoli, p. 493 n. 22); sempre al 1652 risale la sua ammissione alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon.
La sua presenza in Umbria fu però cospicua, in termini sia di tempo, sia di opere. Un primo periodo di permanenza a Perugia può situarsi tra il 1636 e il 1639. Nel 1639 era, infatti, a Città di Castello, ove gli venne commissionata dalla Confraternita della Ss. Trinità la pala della Ss. Trinità, ora nella chiesa delle Grazie della medesima cittadina. Il dipinto doveva essere una perfetta copia della pala eseguita dal Reni alla metà degli anni Venti per la Trinità dei Pellegrini a Roma, ma il G. preferì apportare alcune modifiche al modello, pur mantenendosi stilisticamente molto fedele all'originale reniano.
Rimase a Città di Castello stabilmente fino al 1643 (Mancini, 1832, p. 155), quando sembra aver inizio un secondo soggiorno a Perugia. La cronologia dei suoi spostamenti tra Città di Castello, Perugia e Roma si presenta assai complessa essendo ricostruibile solo attraverso scarsi documenti e qualche opera datata.
La vasta attività svolta per la città natale si può esemplificare attraverso alcune opere comunemente ritenute tra le sue più riuscite: innanzi tutto, la decorazione della cappella Eleosari in duomo, per la quale nel 1641 eseguì la tela con la Madonna del Soccorso e diversi affreschi (Sansone lotta con il leone; Tobiolo e l'angelo; Assunzione, affresco della volta; Sacrificio di Abramo; Davide calma Saul con la musica; Storie bibliche; I Ss. Alberto vescovo, Brizio diacono, Ventura e Donnino); nel medesimo duomo decorò la cappella dell'Angelo Custode con le tele raffiguranti l'Arcangelo Raffaele e Tobiolo, l'Arcangelo Raffaele lega il demonio, e con l'affresco del Dio Padre con un angelo. In tali opere il dettato della scuola bolognese è particolarmente evidente, ma non sempre il pennello segue adeguatamente il pensiero.
Commissioni importanti furono anche la decorazione dell'oratorio di S. Maria delle Grazie, danneggiata dal terremoto del 1789 e poi in parte recuperata (Storie della Vergine, lunette ad affresco, 1641-43), gli affreschi della cupola di S. Maria di Combarbio e quelli per l'oratorio della Confraternita di S. Caterina.
Le date dei successivi soggiorni perugini - e relativi intervalli romani - del G. (1644-48, 1651, 1656-60) confermano ulteriormente che il ritiro dalla scena romana fu solo temporaneo e scandito da lunghi rientri. Nel 1638 ottenne probabilmente la cittadinanza perugina (Garofoli, in Pascoli, p. 493 n. 26); nel 1644 divenne priore per l'arte dei pittori di Porta Eburnea; aveva, inoltre, aperto una scuola di pittura di grande successo.
Secondo il Mancini (p. 158) a Perugia nel 1648 il pittore entrò in eccellenti rapporti con il governatore della città, che lo condusse con sé a Macerata quando fu incaricato del governo di quella città; tale notizia sembra essere confermata dal dipinto raffigurante S. Ignazio, nella chiesa di S. Giovanni, a lui attribuito (Storia…, 1973).
Anche a Perugia l'attività del G. fu frenetica e di discontinua qualità. Tra le imprese più apprezzate si ricordano le tele per l'oratorio di S. Agostino (S. Filippo che battezza le figlie, il Martirio e la Crocifissione di s. Filippo, 1656-59); il Martirio di s. Agata del 1657, già nella chiesa dedicata alla santa e oggi nella curia vescovile, opera in cui il pittore si cimenta con la maniera caravaggesca; S. Elena che adora la Croce in S. Maria Nuova, cui però l'Orsini (1784, p. 235) riserva un trattamento particolarmente severo.
Opere del G. si trovano anche in altri centri umbri. Le Storie di s. Francesco dell'ex convento di S. Francesco a Trevi (1645) - presso la foresteria del quale si trovano altri affreschi a lui attribuiti - mostrano da parte del G. una discreta freschezza nell'inseguire la perizia narrativa del Domenichino. A Bevagna dipinse, nel chiostro di S. Francesco, Storie di s. Francesco, oggi pressoché perdute, datate e firmate. A Spoleto, nel Museo diocesano, ma proveniente dalla chiesa di S. Maria delle Lacrime di Trevi, è conservata la tela firmata con la Circoncisione, di qualità non eccelsa.
Sono ricordati dalle fonti anche dipinti per la Romagna e per le Marche (opere non rintracciate). Sappiamo ancora che il Pascoli (p. 490) vide alcuni quadri del G. nel palazzo romano della famiglia Dandini (acquisti del vescovo di Cesena Muzio), e che alcune delle collezioni perugine più prestigiose vantavano suoi dipinti. Il Mancini cita due tele nella sua collezione e diversi altri dipinti in proprietà privata a Città di Castello, tra cui una Testa di s. Giuseppe con il Bambino dai notevoli tratti lanfranchiani.
Il G. morì a Perugia il 18 febbr. 1660 e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico.
Il giudizio critico sul G., a partire dai suoi stessi biografi, nonostante la notevole fama goduta e l'imponente mole di commissioni, non è mai stato particolarmente benevolo, di certo conseguenza di un operare qualitativamente discontinuo. Il sedulo, e commercialmente efficace, adeguamento alle varie "maniere" che a Roma andavano per la maggiore (prevalentemente il classicismo bolognese, con qualche incursione nel caravaggismo mentre meno chiari appaiono i rapporti col Berrettini), se da un lato gli consentì una notevole fortuna nella provincia in cui introduceva le novità romane, dall'altro limitò notevolmente lo sviluppo di una ricerca espressiva autonoma. La sua esposizione pittorica resta spesso bloccata nell'aneddoto, in un'articolazione provinciale del classicismo bolognese. Icastica, in questo senso, appare l'osservazione dell'Orsini (1784, p. 289): "Del Cav. Gagliardi vi sono parecchi quadri di stile diverso, come se esso si proponesse a far la scimia a più di un maestro".
Fonti e Bibl.: Si vedano in particolare: L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni (1736), a cura di V. Martinelli, Perugia 1992, pp. 486-494 (con relative note al testo di M. Garofoli) e G. Mancini, Memorie di alcuni artefici del disegno… che fioriscono in Città di Castello, Perugia 1832, pp. 143-165. Si veda inoltre: G.F. Morelli, Brevi notizie delle pitture, sculture che adornano l'augusta città di Perugia, Perugia 1683, pp. 31, 79, 87, 93, 110, 124 s., 127, 147; F. Titi, Di S. Florido, chiesa cattedrale di Città di Castello, in Ammaestramento utile e curioso di pitture, sculture ed architetture nelle chiese di Roma, Roma 1686, p. 437; A. Mastelloni, La Traspontina. Notizie historiche della fondazione, Roma 1717, p. 132; F. Titi, Studio di pittura, scoltura, et architettura, nelle chiese di Roma (1674-1763), a cura di B. Contardi - S. Romano, I, Firenze 1987, pp. 103 s., 115 s., 144, 172, 224; B. Orsini, Guida al forestiere per l'augusta città di Perugia (1784), a cura di B. Toscano, Treviso 1973, pp. 80, 148, 190, 235, 250, 277, 280, 289, 317; S. Ticozzi, Dizionario dei pittori…, I, Milano 1818, p. 318; G. Mancini, Istruzione storico-pittorica per visitare le chiese e i palazzi di Città di Castello…, Perugia 1832, pp. 15, 20, 39, 70, 89, 107, 207, 251; A. Uccelli, La chiesa di S. Sebastiano sul colle Palatino, Roma 1876, pp. 79-82; E. Mannucci, La Galleria Mancini, Città di Castello 1878, p. 153; Bevagna illustrata, Perugia 1901, pp. 32 s.; W. Bombe, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, Leipzig 1920, pp. 63 s. (con bibl. e repertorio pressoché completo delle opere); A. Mastelloni, Inventario delle opere conservate nella Traspontina, Roma 1924, schede 65-68; C. Catena, Guida storico-artistica di S. Maria in Traspontina, Roma 1954, p. 60; F. Zeri, La Galleria Spada, Firenze 1957, p. 15; M.C. Gloton, Trompe l'oeil et le décor plafonnant dans les églises romaines de l'âge baroque, Roma 1965, pp. 135 s.; A. Ascani, La cattedrale tifernate, Città di Castello 1969, pp. 74, 77 s.; Storia di Macerata, a cura di A. Adversi - D. Cecchi - L. Paci, III, s.l. (ma Macerata) 1973, p. 96; V. Casale - G. Falcidia - F. Pansecchi - B. Toscano, Pittura del Seicento e del Settecento. Ricerche in Umbria, I, Treviso 1976, nn. 350-352; II, ibid. 1980, pp. 77, 487, 496; V. Tiberia, L'oratorio di S. Agostino a Perugia…, in Storia dell'arte, 1980, nn. 38-40, pp. 292 s., 297, 306 s.; Guide rionali di Roma. Rione I. Monti, a cura di L. Barroero, Roma 1982, pp. 156 s.; Il costume e l'immagine pittorica nel Seicento umbro (catal., Foligno), Firenze s.d. (ma 1984), pp. 114-117; Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria (catal., Spoleto 1989), s.n.t., p. 225 n. 65; L. Barroero, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, p. 750; L. Gigli, S. Marcello al Corso, Roma 1996, p. 118.