FERA, Bernardino (Belardino, Berardino)
Nacque a Napoli da Domenico Antonio e Teresa Galombrino il 27 maggio 1667 (Ruotolo, 1977, p. 74 n. 15).
È difficile delinearne la personalità artistica dal momento che ci resta ben poco della sua produzione. Le fonti lo descrivono come uno degli allievi più promettenti della bottega di Francesco Solimena, particolarmente versatile nell'affresco e nel guazzo. Avrebbe poi acquistato notevole fama grazie alla sua abilità e maestria nel confezionare apparati e macchine da festa in occasione di solennità religiose e laiche. Delle sue opere che decoravano diverse chiese napoletane è sopravvissuto pochissimo. Sono andati perduti nella seconda guerra mondiale gli affreschi posti tra le finestre e nell'arco trionfale della chiesa del Rosario a Palazzo raffiguranti Santi domenicani, dipinti tra il 1708 ed il 1709, nonché il grande quadro per il belvedere dello stesso convento del 1702. Uniche testimonianze superstiti dell'attività del F. sono gli affreschi nell'ipogeo della chiesa di S. Maria della Sanità, rispettivamente al di sopra di undici altari dedicati ad altrettanti santi protocristiani che illustrano i loro martiri, e l'affresco nella volta dell'atrio della chiesa di S. Maria del Rifugio con la Vergine ed il Bambino che soccorrono le anime del purgatorio.
Eseguiti con tutta probabilità nel primo decennio del Settecento, questi dipinti, che versano in un cattivo stato di conservazione tale da comprometterne la lettura, consentono di ridare corpo con difficoltà alla personalità artistica del F. che dovette risentire del forte impatto impresso alla cultura figurativa napoletana tanto da L. Giordano quanto dal Solimena. Se infatti echi delle visioni giordanesche sono intuibili nell'affresco della volta di S. Maria del Rifugio, nelle poche leggibili scene dei Martirî dei santi protocristiani ubicate nella cripta della chiesa di S. Maria della Sanità, la monumentalità ed il rigore compositivo sono di chiara ascendenza solimenesca. Tuttavia la composta e razionale formulazione scenica, arricchita, come nella Decapitazione di s. Liberato o in quella di S. Artemio, da richiami al classicismo particolarmente evidenti nelle severe figure dei carnefici, si connota di un'intensa carica sentimentale emanata da questi giovani martiri che affrontano la morte come vittime predestinate al sacrificio.
Nulla rimane della produzione del F. come argentiere sebbene le fonti lo dichiarino disegnatore ed autore di statue d'argento, pratica che non doveva essergli del tutto desueta.
Il F. morì a Napoli intorno al 1714.
Suo fratello Matteo fu anche lui pittore, allievo del Solimena, ma la sua attività artistica ebbe breve durata; ben presto, infatti, si fece frate domenicano presso il convento di S. Lorenzo alla Palude, dove lo ricorda vivente il De Dominici (1743).
Si conosce inoltre la fama raggiunta da Pietro F., un altro membro della famiglia, che si affermò come argentiere e coniatore proprio agli inizi del sec. XVIII.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite dei pittori scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, pp. 672 s.; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 1840, p. 349; G. Ceci, Sculture e dipinti nella chiesa di S. Maria della Sanità, in Napoli nobilissima, n. s., I (1920), p. 95; R. Ruotolo, Notizie ined. sulla chiesa del Rosario di Palazzo, ibid., s.3, XVI (1977), pp. 64, 65, 69, 74 n. 15; A. Alabiso, in G. Aspreno Galante, Guida sacra della città di Napoli [1872], Napoli 1985, p. 245 n. 134; I. Creazzo, ibidem, p. 325 n. 155; U. Thierne-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 393.