CASTELLI, Bernardino
Nacque a Velate (Varese) il 30 marzo 1646 da Bernardino (che morì il 18 marzo di quell’anno, all’età di 24 anni) e da Laura Bianchi.
Nato in povera famiglia, come afferma nel testamento del 19 maggio 1725, si presume che ben presto sia andato a bottega, forse presso qualche falegname locale, forse a Varese.
Crebbe nel clima di straordinaria e fervida operosità della Fabbrica delle cappelle del sovrastante Sacro Monte di Varese, ma trovò appoggio nella specifica tradizione di un, artigianato in legno che in Varese durava certamente dal sec. XVI.
Un “maestro” Andrea Carantani, attivo nella seconda metà del sec. XVI, aveva eseguito un armadio di sacrestia per la chiesa di S. Vittore a Varese (firmato e datato 1569), dal quale traspariva un impianto architettonico appena tentato, a vantaggio invece della decorazione di formelle intagliate, impostate con gusto schiettamente rinascimentale.
Tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento era attivo in Varese Marco Antonio Bernasconi, familiare del più noto Giuseppe, l’architetto varesino che fu, tra l’altro, il progettista ed il direttore dei lavori della menzionata Fabbrica del Sacro Monte; vi aveva anche bottega un maestro Ottaviano Alba che eseguì, su disegni di M. A. Bernasconi, gli stalli del coro di S. Antonio in Varese.
Ai primi del Seicento anche in Varese si stava affermando la tendenza a risolvere con forme schiettamente architettoniche i manufatti lignei (altari, mense d’altare con tabernacoli, casse d’organo, cantorie, porte ecc., che altrimenti si sarebbero potute realizzare in marmi, pietra, muratura con stucchi ecc.), specie per il determinante impulso di G . Bernasconi, artista di multiforme attività.
In un siffatto ambito di tradizione locale rinsaldatasi sui modi colti dell’architettura milanese di un Alessi e di un Pellegrini, mediati dal citato Bernasconi, si trovò ad agire il C., il quale ebbe altresi la ventura di operare in un momento storico ricco di inquietudini formali, in evoluzione verso nuovi esiti cui indirizzavano, negli ultimi decenni del secolo, gli esempi dei sopravvissuti alla pestilenza del 1630 e le generazioni uscite dall’Accademia di Federico Borromeo.
Il C. visse quei decenni da protagonista, seppure nel suo “orto concluso” (operò infatti, per quanto ci consta, solo nel Varesotto, in concorrenza con artisti forestieri, ad esempio, Antonio Pino di Bellagio ed il suo continuatore Martino Rossignoli: vedi Colombo, 1972), contribuendo ad imprimere nelle timide architetture del maestro Carantani la turgida spinta del barocco ricchiniano, svolgendolo, negli esemplari più maturi, compiuti entro i primi decenni del nuovo secolo, verso un leggiadro barocchetto lombardo, degno di stare alla pari di un venturo Veneroni. Questo percorso si ricompone con sufficiente credibilità attraverso le opere sue certe e quelle attribuibili alla bottega (ebbe due allievi particolarmente affezionati. Carlo Sacco e Giacomo Sessa).
Ma il C. non fu solo “legnamaro” di schietto e nobile gusto architettonico; fu squisito scultore, noto soltanto per le opere realizzate in legno.
Si tratta in gran parte di formelle a basso ed alto rilievo per pulpiti, cantorie, palli, confessionali; raramente s’impegnò in opere a tutto tondo (resta il Crocifisso con angeli in S. Vittore di Varese, del 1712; si ha memoria inoltre di un gruppo di statue per la cerimonia dell’“entierro”).
L’intaglio è plastico, sensibile agli effetti luministici, ricco di efficaci contrasti, legato ai modi della pittura milanese d’estrazione morazzoniana, vista ed assimilata attraverso gli esempi di un colto divulgatore quale fu I. Bianchi, ed arricchita dalla persuasiva maniera di A. Busca.
Sono opere certe del C. l’altare maggiore della parrocchiale di Caronno Varesino (firmato e datato 1684); ivi, i pulpiti e la cantoria, rifinita nel 1717; l’altare con tabernacolo e Cenacolo in S. Rocco di Gemonio (1693; Colombo, 1972, ill. 89 s.); i pulpiti (1675), le due casse di organo (1679) e le due cantorie (1690) in S. Vittore di Varese (S. Colombo, Tesori d’arte nel territorio della prov. di Varese, Milano 1971, ill. 110-112); nella medesima chiesa l’altare della cappella del Rosario, composto di un pallio con la Battaglia di Lepanto (1702) e di una cornice di mensa con tabernacolo ora collocata sull’altare maggiore di S. Giuseppe in Varese, con Scenette della vita della Vergine; un confessionale (unico superstite di quattro) eseguito per S. Vittore di Varese ed ora in S. Antonio; l’altare maggiore di S. Giorgio a Biumo Superiore (Varese).
Sono attribuiti all’artista il pulpito (1702) e la cassa d’organo (1702-1713) in S. Maria di Cittiglio; la cantoria e la cassa d’organo di S. Maria di Casorate (Colombo, 1972, ill. 91 ss.). Il C. morì a Varese il 22 maggio 1725.
Bibl.: G. A. Adamollo-L. Grossi, Cronaca di Varese, a cura di A. Mantegazza, Varese 1931, pp. 77r, 82r, 83v; G. Nicodemi, La scultura lomb. dal 1630 al 1706, in St. di Milano, XI, Milano 1958, p. 546; A. M. Romanini, La scultura milanese nel XVIII sec., ibid., XII, ibid. 1959, p. 786; C. Attemi Ghiringhelli, Opere di B. C. per S. Vittore di Varese, in Calandari do ra Famiglia Bosina par or 1968, Varese 1967, pp. 25-37; S. Colombo, Itinerari d’arte nel territorio della provincia di Varese, Milano 1972, ill. 87 s., 89-93; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 148.