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ANTELMINELLI, Bernardino

di Luisa Bertoni - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)
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ANTELMINELLI, Bernardino

Luisa Bertoni

Uomo politico lucchese, figlio di Baldassarre, appartenente ad un ramo collaterale della famiglia di Castruccio Castracani degli Antelminelli.

Di carattere superbo e violento "fece sé discendente diretto di Castruccio contro la storica verità" (Bongi). Nel 1590 procurò infatti che venisse stampata a Roma l'opera di Aldo Mannucci, Attioni di Castruccio Castracane de gli Antelminelli signore di Lucca con la genealogia della famiglia, ristampata poi a Pisa nel 1820 e a Lucca nel 1843. Il Mannucci, nella lettera dedicatoria al cardinale Giovanni Antonio Castruccio, rende nota appunto l'iniziativa dell'A. rivolta a mettere in luce l'antichità e la grandezza del casato e a pubblicare il testamento di Castruccio. L'opera perciò, se si basa in parte su documenti autentici, risente della volontà celebrativa dell'Antelminelli.

Fin dal 1580 l'A. fu in rapporto con i malcontenti lucchesi residenti a Firenze, tra cui Orazio Lucchesini e sua moglie Laura Guidiccioni, che, unitamente agli agenti medicci Giovannini, Vinta e Serguidi, agivano per unire Lucca al principato mediceo. Il Tommasi giustifica l'atteggiamento dell'A., parlando di una condanna di lui, che sarebbe stato "privato degli onori" per condotta turbolenta; quindi per lo "scadimento di sua domestica fortuna" e per la diffidenza che i governanti nutrivano nei suoi confronti, egli avrebbe iniziato la sua azione ostile ai notabili. Ma poiché l'A. apparteneva ad una delle maggiori famiglie lucchesi, si può pensare che la condanna fosse dovuta a rancori di consorterie familiari. Nel giugno del 1593 l'uccisione di Lelio Buonvisi, appartenente ad un'altra di quelle famiglie lucchesi, causò disordini in Lucca. L'A., giunto espressamente a Firenze, propose al granduca di profittare dell'occasione per impadronirsi della città. Ma le misure preventive prese dal governo lucchese, che si faceva forte della protezione spagnola per resistere alle pressioni medicee, fecero rimandare alla morte di Filippo II l'attuazione della congiura.

Nel 1596 l'A. si recò a Genova con l'intento dichiarato di aprirvi una compagnia di commercio, ma col segreto disegno di indagare sui progetti spagnoli e genovesi. Il lucchese Pompeo Amoffini, segretario del Doria, comunicò al governo della Repubblica che l'A., spacciandosi per confidente dei governanti lucchesi, gli aveva richiesto notizie segrete, al fine di trasmetterle al granduca di Toscana: la qual cosa avrebbe potuto, tra l'altro, danneggiare i rapporti tra Filippo II e Lucca. L'A., con il figlio Scipione, fu incarcerato dalle autorità genovesi, trasportato a Viareggio e di lì a Lucca sotto buona scorta temendosi rappresaglie da parte del granduca. A Lucca erano già stati incarceraù altri due figli dell'A., Arrigo e Lelio. Da alcune carte ritrovate nella sua casa lucchese si ebbe la prova che l'A. riceveva dal granduca 350 scudi mensili e si trovarono lettere attestanti i suoi rapporti con Orazio Lucchesini. Sottoposto a tortura, Arrigo, che faceva parte del Consiglio generale di Lucca, dichiarò di aver rivelati i piani discussi durante le sedute al padre e, in sua assenza, a Baccio Giovannini, segretario di Ferdinando I de' Medici. Intervenne a questo punto il granduca richiedendo che l'A. non venisse consegnato ai Lucchesi, ma al papa il quale, del tutto estraneo alla vicenda, poteva accertare la realtà dei fatti e scagionarlo dalle accuse del governo lucchese.

Giunto a Lucca l'11 sett. 1596, l'A., sottoposto a tortura, confessò di aver rivelato al granduca notizie sugli atti segreti del Consiglio e di avergli suggerito l'occupazione di Viareggio, base utilissima per la futura conquista di Lucca. Dichiarò di aver concertato con Baccio Giovarmini, segretamente giunto nella sua villa di San Colombano, di occupare Lucca alla morte di Filippo II, protettore della Repubblica. In compenso l'A. avrebbe ottenuto le rendite dell'Altopascio e riacquistato il possesso di antichi castelli appartenuti alla sua famiglia. Esaminati e sottoposti a tortura, i figli Arrigo, Scipione e Lelio confessarono di aver tenuto mano alle trame paterne; anche un altro figlio, Alessandro, che però si trovava ad Anversa, risultò non essere estraneo alla congiura, come pure il vescovo Alessandro Guidiccioni, più di una volta venuto a contrasto col governo lucchese, da lui accusato di noncuranza di fronte alla diffusione in città di fermenti ereticali. Invano il granduca tentò ancora di interrompere il processo: il 29 ottobre il Consiglio, alla fine di una seduta burrascosa, decise che l'A. ed Arrigo fossero decapitati il giorno seguente sulla pubblica piazza.

Scipione e Lelio, che vestiva l'abito talare, furono condannati al carcere perpetuo; ma poiché tentarono di mettersi in rapporto tra loro, furono riesaminati e, il 1° ag. 1597, condannati alla decapitazione. Alcuni giorni dopo l'esecuzione dell'A. venne distrutto l'albero genealogico che egli aveva fatto redigere.

Fonti e Bibl.: R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana, III, Firenze 1781, pp. 128-129; A. Mannucci, Le azioni di Castruccio Castracane degli Antelminelli, signore di Lucca con la genealogia della famiglia, Lucca 1843, pp. XI-XVI; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCC, in Arch. stor. ital.,s. 1, X (1847), pp. 472-474; S. Bongi, Storia di Lucrezia Buonvisi..., Lucca 1864, pp. 65-74, 162-173; G. Simonetti, I biografi di Castruccio Castracane degli Antelminelli, in Studi storici, II (1893), pp. 20-23; E. Lazzareschi, Documenti della signoria di Castruccio Castracane, conservati nel Regio Arch. di Stato di Lucca, in Miscell. di studi stor. e letter. edita dalla R. Acc. lucchese, Firenze 1934, pp. 283-284; A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze 1950, p. 225.

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