CIERA, Bernado
Figlio di Giovanni di Stefano e di Elena Soranzo, nacque quasi certamente a Corone, che era importante possesso veneziano in Grecia e dove il nonno ricopriva la carica di cancelliere, intorno al 1383, anzi qualche anno prima se il C., "puer" nel 1390, nel 1401 non solo già svolgeva la sua attività mercantile, ma doveva anche avervi acquisito una discreta esperienza. Da Corone si trasferì a Venezia, con ogni probabilità dopo il 1390, in seguito alla morte del nonno. Dapprima si stabilì a S. Maria Formosa (dove i Ciera possedevano case), poi a S. Basilio, e infine a S. Maria Nuova. Sposò Elisabetta di Geri Nicolosi, da cui ebbe due figli: Agostino ed Elena.
Il C. entrò in affari con un capitale iniziale di entità non facilmente determinabile ma senz'altro ragguardevole, costituito sia dalla parte spettantegli dell'eredità patema, complessivamente cospicua se Giovanni possedeva anche una galeotta, sia dalla parte dell'eredità lasciata dal nonno Stefano a lui e ai suoi fratelli: un terzo del patrimonio di quello (crediti, imprestiti, denaro, case e possedimenti), oltre ad una parte della "domus magna" che i Ciera possedevano a Corone. Dei primi anni della sua attività ci rimangono testimonianze frammentarie e riferimenti indiretti. Nel 1401 e nel 1404 egli fu in un primo tempo, insieme con Giovanni Barbarigo e con Benedetto Dolfin poi, procuratore di Gerolamo Dolfin detto "Ogniben" nella riscossione dei crediti, nella conclusione degli affari e nelle vertenze giudiziarie. Nonostante risiedesse a Venezia, seguitò a mantenere interessi ed affari a Corone, dove possedeva beni e dove continuava ad avere una certa influenza grazie sia alla carica ricoperta in passato dal nonno, sia alla parentela che lo legava all'allora vescovo della città. Giacomo Ciera, un cugino di suo padre. Questi lo nominò, nel 1426, tra i suoi esecutori testamentari e, alla propria morte (1437). gli legò per testamento un lascito di 200 ducati "de prode... imprestitorum". Sono questi, dunque, i motivi per cui due cittadini di Corone gli affidarono l'incarico di rappresentarli a Venezia, l'uno dinnanzi ai savi agli Imprestiti 1418), l'altro in una vertenza giudiziaria (1421). Nel dicembre del 1442, in qualità di amministratore della commissaria di Giacomo Ciera e di quella del cugino Stefano, vendette al nuovo vescovo di Corone una casa grande "a statio" e cinque case più piccole, di proprietà sua e del cugino, per la somma di 600 ducati, che si sarebbero dovuti pagare con gli interessi degli imprestiti destinati da Giacomo alla riedificazione della mensa episcopale.
Più precise e più diffuse le notizie relative al C. dopo il 1440, quando appare come uomo d'affari ormai affermato. Lasua impresa più importante fu l'apertura di un banco di scritta, che gestiva con altri Soci. Il banco, sito a Rialto vicino alla chiesa di S. Giacomo "sotto il razzo de le hore", era attivo almeno dal 1442, come dimostra il primo dei conti ad esso intestati nel libro mastro di Andrea Barbarigo. L'attività del banco, l'entità delle operazioni trattate possono essere delineate e valutate oltre che attraverso l'analisi del registro Barbarigo, che interessa gli anni dal 1442 al 1447, anche attraverso l'analisi del mastro di Francesco Contarini, per il periodo compreso fra il 1449 e il 1455. Risultano, oltre alle normali operazioni di giro, anche operazioni di giro con uffici statali (Camera degli imprestiti, ufficiali dell'Estraordenario) ed operazioni su lettere di cambio (Museo Correr, mss. P. D., c. 911, 1, 912, 1).
Nel 1455 il banco viene indicato come "banco di ca' Ciera e di ca' Corner", ma tutto autorizza a credere che il C. ne fosse ancora il titolare: lo prova, ad esempio, la posta a lui intestata in un conto, datato 2 sett. 1456, del mastro Contarini. Con ogni probabilità, tuttavia, sin dal 1451, il C., avanti negli anni e assai ammalato, doveva aver lasciato l'effettiva direzione dell'azienda al figlio Agostino e al genero Giacomo Comer. Il banco Ciera fu uno dei pochi attivi in Venezia nella prima metà del Quattrocento e, per importanza, non fu inferiore a quelli di Luca Soranzo, dei Balbi e di Niccolò Bernardo: la sua solidità ed il suo rilievo sono testimoniati dai numerosi mutui concessi al governo veneziano fra il 1447 e il 1455.
Il banco anticipò infatti al governo denari per l'acquisto di 5.000 staia di orzo nel 1447, e per l'acquisto di 2.300 staia di frumento nel 1452. Agli inizi del 1451 concesse un mutuo di 650 ducati per pagare gli equipaggi di alcune galere; nel luglio del 1453 vantava un credito nei confronti dei Tesorieri vecchi, del quale non è possibile determinare l'ammontare né le ragioni per cui fu acceso. Numerosi e d'ingente valore i prestiti concessi per il pagamento delle milizie mercenarie: nel marzo 1450 il banco era creditore dei governatori alle Entrate per 19.000 ducati, residuo di una cospicua anticipazione concessa per permettere il pagamento dei soldati; insieme con il banco Soranzo, nel dicembre 1451 il C. si impegnò a versare a Guglielmo di Monferrato, uno dei, condottieri assoldati dalla Repubblica, la somma di 4.000 ducati. Nel 1452 provvide al pagamento del Piccinino, versandogli 4.500 ducati al mese; nel settembre, pur non essendogli stato restituito tutto il danaro anticipato per gli stipendi del capitano perugino, prestò altri 6.000 ducati per soddisfare nuove richieste del Piccinino. Quando quest'uitimo venne liquidato, nel 1455, fu ancora una volta il banco del C. che fornì il danaro necessario, 6.000 ducati, sebbene fosse ancora creditore di 900 ducati nei confrontì dei governatori alle Entrate e dei Tesorieri nuovi. Una grave perdita sembrò minacciare nel 1448 il C., al quale, come fideiussore di Angelo Simonetta, lo Stato chiedeva di corrispondere il prezzo di 700 staia di frumento a saldo totale di un approvvigionamento di 1.000 staia concesso allo Sforza. Il tradimento dello Sforza e l'arresto del Simonetta rendevano più grave la situazione, tuttavia il C. ottenne che il debito fosse estinto con i beni confiscati al Simonetta.
Parallelamente all'attività bancaria il C. svolse anche un'intensa attività Commerciale. Operava infatti nel mercato veneziano una compagnia a nome di "Bernardo Ciera e compagni", da lui costituita o dove, perlomeno, egli aveva una posizione preminente, non fosse altro che nella sua organizzazione e direzione. Nel 1444 e nel 1449 la compagnia era attiva in Oriente, a Damasco e a Tripoli, dove trattava soprattutto cotone. Sarebbe interessante poter appurare se qualche affare commerciale fosse finanziato, ed eventualmente in quale misura, con i depositi del banco o con gli interessi derivanti da eventuali prestiti, operazioni queste non permesse dalla legge, ma usualmente effettuate dai banchieri veneziani.
La prosperità del banco e della compagnia commerciale provano come il C. avesse raggiunto, in un periodo di tempo relativamente breve, una notevole posizione. nel mondo degli affari, mentre dì pari passo andava crescendo il suo prestigio. Lo dimostrano l'indulgenza concessa a lui e alla sua famiglia dal papa Niccolò V nel settembre del 1450 e gli importaliti matrimoni dei figli: Elena sposò Giacomo Comer ed Agostino sposò Francesca Foscarini.
Il 9 nov. 1453 il C., "infirmitate gravatus", consegnò al notaio il proprio testamento, che aveva steso nel maggio dell'anno precedente.
Il vecchio uomo d'affari non si mostrava molto generoso: i lasciti erano poco numerosi e modesti. Il più cospicuo di essi era quello destinato ai monaci di S. Andrea del Lido, perché celebrassero quotidianamente una messa in suffragio della sua anirna. Lasciava alla figlia 300 ducati "de imprestedi"; il resto dei beni, mobili ed immobili, "chaduchi e desordenadi e quaxi chaduchi e per nomen scriti", era dato al figlio Agostino.
Ignota è la data precisa della morte del C., che dovette comunque avvenire nel periodo compreso fra l'aprile del 1456 e il maggio del 1461.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Archivio notatile. Testamenti, busta 1156, n. 475; busta 1195, n. 10, registro f. 34; busta 1230, nn. 171, 232; busta 1231, n. 373; busta 1232, n. 312; Ibid., ArchivioGrimani Barbarigo, busta 42, reg. 4, ff. 84, 105, 122, 155, 169, 180, 185, 192; Ibid., Senato, Terra, reg. 2, ff. 27, 141, 201; reg. 3, ff. 12, 37v, 145, 152v; Ibid., Collegio, Notatorio, reg. 8, f. 164; reg. 9, ff. 5v, 45; Ibid., Consiglio dei Dieci, Misti, reg. 13, f. 94; Ibid., Giudici di petizion, Sentenze a giustizia, reg. 105, ff. 3, 5v-9v; reg. 107, f. 169rv; Archivio di Stato di Padova, Pergamene diverse, mazzo XXVI, n. 546; mazzo XXX, n. 637; mazzo XXXIV, n. 695; mazzo XXXVIII, n. 806; mazzo XXXIX, n. 828; mazzo XL, n. 849; mazzo LI, n. 1079; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Gradenigo, 83, II: Coronaseconda della veneta Repubblica, ff. 126v, 127, 129-130v;Ibid., mss. P. D., C. 911, 1, ff. 1, 10; P. D., C. 912, 1, ff. 32, 40, 47, 50, 61, 69, 83, 92, 112, 122, 126, 137, 142; P. D., C. 2213, 16; P. D., C. 2501, 11;Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, cod. Ital. VII, 90 (= 8029): Arbori e croniche delli cittadini veneti, f. 28v;Ibid., cod. ital. VII, 351 (= 8385):A. Zeno, Appunti genealogici e biografici di famiglie venere, ff. 4v, 24v;Ibid., cod. Ital. VII, 1795 (= 7679): Notizie della fam. Ciera, p. 17;D. Malipiero, Annali..., a cura di T. Gar-A. Sagredo, in Archivio storico italiano, s. 1, VII (1843), 2, p.655; Documenti per servire alla storia de' banchi venezani, a cura di F. Ferrara, in Archivio veneto, I (1871), pp. 114 n. 10, 361; Moretto Bon, notaio in Venezia, Trebisonda e Tana, a cura di S. De' Colli, Venezia 1963, p. 9, nn. 3 s.;G. B. Gallicioli, Delle mem. venete antiche, II, Venezia 1795, p. 358 n. 53;E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., IV, Venezia 1834, p. 224;F.C. Lane, Rhythm and Rapidity of Turnover in Venetian Trade of the Fifteenth Century, in Venice and History, Baltimore 1966, p. 121;F. Ferrara, Gli antichi banchi di Venezia, Palermo 1970, p. 30.