MALASPINA, Bernabò
Nacque forse intorno al 1280 da Alberto di Filattiera, del ramo ghibellino del Terziere, e Fiesca Fieschi.
Per lungo tempo fu erroneamente considerato dai genealogisti figlio di Moroello di Mulazzo e fratello di Franceschino, amico di Dante, con cui invece era solo imparentato (generò certamente confusione l'omonimia con altri personaggi coevi della famiglia). Indagini recenti - avvalendosi anche dei particolari araldici chiaramente leggibili sul sepolcro del M. - escludono con sicurezza la sua appartenenza ai Malaspina di Mulazzo dello Spino Secco, che aveva trovato credito presso Gerini e Branchi. Risulta anzi significativo il legame che con la famiglia dei conti di Lavagna si inaugurò grazie al padre del M.: incentivando una politica matrimoniale filogenovese, solo episodicamente intrapresa in precedenza in questo ramo della casata, si puntava a infittire i rapporti con famiglie del ceto dirigente di Genova, come i Della Volta e i Fieschi. Motivi economici e finanziari suggerivano di consolidare i rapporti finanziari e commerciali e le alleanze politiche in funzione di sollevazioni antigenovesi che già legavano i Malaspina ad alcune famiglie aristocratiche genovesi. Della relazione con i Fieschi, e segnatamente del favore dello zio Luca, cardinale, il M. si avvantaggiò per intraprendere la carriera ecclesiastica.
È quasi certamente da escludere che egli, prima della designazione alla cattedra vescovile di Luni, appartenesse all'Ordine francescano, come alcuni eruditi hanno sostenuto, forse indotti in errore anche dalla collocazione del sepolcro del M. nella chiesa di S. Francesco di Sarzana; pare anzi che egli non rinunciasse al possesso del patrimonio, tant'è vero che nell'agosto 1321, eletto da pochi mesi, poteva disporre della propria quota parte del castello di Castiglione del Terziere, che cedeva in feudo a Castruccio Castracani con procura al fratello Niccolò, detto Marchesotto. Semmai il legame con la chiesa francescana avrà avuto un significato politico in quel travagliato periodo dei primi decenni del Trecento, data la frequente elezione delle chiese di quest'ordine come ultima sepoltura di molte famiglie ghibelline.
La carriera ecclesiastica del M. ricalca su scala minore, come chiariscono le ricerche di E. Vecchi, quella dello zio Luca Fieschi: come lui si dimostrò infatti pronto a intervenire, anche con il ricorso alla forza, negli eventi politici; e come lui mantenne gli ordini minori per buona parte della carriera curiale. Le prime attestazioni del suo operato risalgono all'epoca della discesa di Enrico VII, quando, qualificato nelle fonti col titolo di marchese, manifestò una posizione filoimperiale non differente da quella dei suoi congiunti del ramo di Filattiera. In particolare egli figura al fianco dei fratelli Ottobono e Niccolò in operazioni miranti alla soluzione del conflitto che opponeva guelfi e ghibellini in Pontremoli, senza esclusione del ricorso alla forza militare. Il momento decisivo nell'avvio della carriera ecclesiastica venne poco più tardi, certo per diretto interessamento dello zio cardinale che godeva già di notevole prestigio in Curia. Nel 1316 il nome del M., con quello di altri tre nipoti del Fieschi, compare in una serie di mandati emessi da Giovanni XXII e finalizzati all'ottenimento di benefici: gliene derivò una grazia aspettativa per una prebenda canonicale nella chiesa di Cambrai.
All'epoca il M. era già canonico della chiesa genovese di S. Adriano "de Trigaudio", chiesa di famiglia su cui i Fieschi esercitavano un diritto di presentazione, nonché primicerio della chiesa di Verdun: a lui in quella veste, col preposito della Chiesa di Parma e l'arcivescovo di Winchester, furono mandate dal papa litterae executoriae a favore di un chierico bolognese.
La collazione papale del M. a vescovo di Luni avvenne per speciale riserva apostolica il 20 ag. 1320: fu una scelta diretta della Curia avignonese, alla quale Castruccio tentò di opporsi provocando da parte del capitolo lunense la designazione alla cattedra vescovile di un ecclesiastico lucchese, Albizzo da Brancoli (18 ag. 1320). Tuttavia il M. ricevette il 5 dicembre la consacrazione extra Curiam, accedendo così al godimento dei frutti del vescovado assegnatogli che, sebbene minato da usurpazioni e soprusi, era pur sempre un lucroso beneficio. Ottenuta la proroga di un anno (4 ott. 1321), che gli consentiva di rimandare il viaggio ad Avignone in vista della consacrazione, il M. risulta insediato il 5 ott. 1322, quando il primiceriato di Verdun fu collato ad altri.
È possibile che Castruccio temesse di non vedersi rinnovato il mandato di visconte del vescovato, di cui era stato investito fin dal 1314 da Gherardino Malaspina, predecessore del M.; certo è che questi dovette fronteggiare le pressioni per il rinnovo di quell'incarico fin dai primi mesi successivi alla designazione. Il 6 apr. 1321 il Castracani costituì due procuratori per sancire la nomina e stabilirne le condizioni. La trattativa non si concluse però subito, e il M. dovette di lì a poco recarsi personalmente a Lucca con Tommaso Malaspina, abate del monastero di Aulla, per incontrare Castruccio. Solo nell'ottobre seguente si giunse alla stipulazione di un atto nel quale il M. investiva Castruccio del titolo, non più perpetuo ma novennale, di visconte del vescovato, di cui gli allocava inoltre le rendite; scelse nel contempo a proprio procuratore il fratello Niccolò. Si trattò di un accordo del tutto inedito, nel quale il M. e Niccolò, impegnandosi congiuntamente, dovettero garantire il rispetto dei patti con il pegno del castello avito del Terziere: è probabile che, come sostiene la tradizione storiografica che fa capo a G. Sforza, Castruccio nutrisse, nei confronti dei due, sospetti di collusione con le trame del mortale nemico Spinetta di Gabriele Malaspina: in questa chiave è legittimo leggere le iterate ingiunzioni da parte del condottiero di ribadirgli la propria fedeltà (un nuovo strumento di concordia sarà stilato il 16 ag. 1322). Del resto non è privo di significato che, alleatosi Spinetta con Firenze nella primavera 1321 ai danni di Castruccio, garantendo l'accordo con la consegna di alcuni ostaggi, il Consiglio del Popolo di Firenze deliberasse il pagamento di 60 fiorini d'oro a Gabriello da Piacenza, familiare del M., "magistro obsidum", per le spese del loro mantenimento (14 maggio 1321).
Nell'ottobre 1321 il M. nominò Boninsegna, cappellano del capitolo lunense, procuratore per la riscossione dei diritti della Chiesa di Luni al Comune di Sarzana, che fin dai tempi del precedente presule aveva in affitto i proventi della saltaria. È possibile che negli anni che vanno fino alla morte del capitano lucchese il M. non risiedesse nella sede vescovile (alcuni elementi inducono a pensare che avesse frequente dimora a Filattiera e nel castello di Castiglione, o anche in qualche centro della Lombardia, dato che almeno in un caso ricorse ai servizi di un notaio pavese), né avesse modo di provvedere alle urgenze della diocesi.
Nel corso degli anni Trenta, dopo la morte di Castruccio, sembra di poter individuare un più incisivo intervento, tradottosi non solo nella rivendicazione dei diritti giurisdizionali, ma anche in una nuova attenzione ai problemi, anche di ordine spirituale e religioso, della diocesi: in questa accezione si intenderebbe il frammento di un sinodo che sembra di poter attribuire alla sua iniziativa. La rete di connessioni stabilita dal M. nel decennio successivo alla morte di Castruccio mira comunque a rinsaldare le basi di un potere temporale in crisi, cercando nuove convergenze di interessi con le forze feudali e signorili egemoni nella regione.
Risale al 1335 uno degli episodi più rilevanti di questa strategia, che vede il M. agire di concerto con Spinetta di Fosdinovo, che, secondo il racconto di Giovanni Villani, si accordò con Mastino Della Scala e organizzò la ribellione di Sarzana al dominio pisano, ricorrendo all'aiuto del cugino vescovo, cointeressato all'impresa che gli avrebbe permesso di recuperare quella terra alla propria giurisdizione. Il 4 dicembre i due, d'accordo con uomini del luogo, la occuparono di sorpresa con 1000 fanti e ne presero possesso, alimentando le ansie pisane per l'espansionismo scaligero in Toscana. Che sullo scorcio degli anni Trenta si andassero facendo più stretti i legami con il marchese di Fosdinovo confermano alcune concessioni a vantaggio di Puccio di Duccio, procuratore di Spinetta.
Il 6 apr. 1336 il M. consacrò la chiesa di S. Giovanni Battista a Fivizzano, dopo aver dato licenza l'anno prima di costruire l'edificio, patronato di Puccio, che ottenne poco dopo ulteriori attenzioni per la sua fondazione, sicuramente favorite dal credito di cui il M. godeva presso la corte avignonese ancora durante il pontificato di Benedetto XII.
Il M. morì, forse a Sarzana, nel 1338, e il suo funerale fu celebrato il 5 agosto.
Si è ritenuto che la morte del M. fosse stata effetto di un avvelenamento dovuto al malvolere dei Pisani suoi acerrimi nemici; la tesi, non suffragata da testimonianze coeve, fu accolta da parte dell'erudizione. Si tratta di un equivoco, generato dalla contiguità cronologica con l'episcopato del successore del M., Antonio Fieschi, che sarebbe morto nel 1343 effettivamente avvelenato dai nemici toscani.
Del M. si conserva il sepolcro, nella chiesa di S. Francesco a Sarzana. È uno dei primi esempi di tomba monumentale a parete in area lunigianese. L'arca è collocata di fronte al monumento funebre del piccolo Guarniero di Castruccio Castracani degli Antelminelli, con il quale pare dunque intrattenere una relazione simbolica che ha suggerito la recente e accreditata tesi dell'appartenenza politica del casato del M. allo schieramento dei bianchi, quando tradizionalmente quel ramo era stato ascritto al partito guelfo. Resta ancora da accertare se la committenza del monumento funerario sia da ascrivere alla famiglia Malaspina, ai Fieschi, ai frati minori di S. Francesco o, forse, a Spinetta di Gabriele. L'esecuzione risalirebbe all'inizio degli anni Quaranta, poco dopo dunque la morte del presule. Notevole risulta il testo dell'epitafio in metro ritmico che accompagna la decorazione scultorea del sepolcro (riportato in Ughelli).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Arch. dei notari, n. 31, cc. 104v, 129v; Inventario del R. Arch. di Stato in Lucca, a cura di S. Bongi, I, Lucca 1872, p. 85; Il Registrum vetus del Comune di Sarzana, a cura di G. Pistarino, Sarzana 1965, ad ind.; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, Parma 1990-91, ad ind.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 854; E. Gerini, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, II, Massa 1828, pp. 54-57; G. Sforza, Castruccio Castracani in Lunigiana, Modena 1891, pp. 52-57, 61, 69 s., 74, 208-219; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, I, Pistoia 1897, pp. 192-196; A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXI (1901), 1, ad ind.; XXXI (1903), 2, ad ind.; G. Sforza, Memorie e documenti per servire alla storia di Pontremoli, I, 1, Firenze 1904, p. 154; U. Dorini, Un grande feudatario del Trecento: Spinetta Malaspina, Firenze 1940, ad ind.; E. Armanini, Il trattato di pace stipulato il 14 apr. 1343, in Annuario della Biblioteca civica di Massa, 1968, p. 47; B. Campi, Memorie storiche della città di Pontremoli, Pontremoli 1975, ad ind.; G. Benedetto, I rapporti tra Castruccio Castracani e la Chiesa di Lucca, Pisa 1981, p. 95; Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana. Catalogo della mostra storico-documentaria, a cura di F. Bonatti, Pisa 1981, pp. 38 s., 81; F. Bonatti - M. Ratti, Sarzana, Genova 1991, ad ind.; E.M. Vecchi, Per la biografia del vescovo B. M. del Terziere, in Studi lunigianesi, XXII-XXIX (1992-99), pp. 109-141 (con indicazione delle fonti); Id., Alagia Fieschi marchesa Malaspina. Una domina di Lunigiana nell'età di Dante, Lucca 2003, pp. 27 s.