DORIA, Bernabò
Nacque a Genova verso il 1255 da Brancaleone (Branca) e da Caterina, considerata figlia di Michele Zanche. Figlio prediletto di Branca, per tutto il tempo della sua vita fu il docile strumento dei progetti politici del padre.
Nel settembre 1275 sposò Eleonora, figlia di Federico Fieschi, fratello del cardinale Ottobono. Questo matrimonio, che avvicinava la famiglia ai guelfi, nemici dei capitani del Popolo Oberto Doria ed Oberto Spinola, fu il primo segnale di una incrinatura all'interno dei Doria, che erano al potere in città. Nel 1284 il D. partecipò probabilmente alla battaglia della Meloria (6 agosto); l'anno seguente fu testimone all'acquisto di una nave da parte del padre (18 gennaio); venne poi scelto da questo come procuratore per amministrare i beni sardi della famiglia e per firmare la tregua con Mariano di Bas, giudice di Arborea, e con il Comune di Sassari (7 maggio). Nel 1294 presenziò alla pace tra questo Comune e Genova (24 marzo). Negli anni seguenti il D. condivise le scelte politiche del padre; per difendere i vasti territori nel Giudicato di Torres e per aprirsi la strada alla creazione di una signoria montana nella Riviera ligure, non esitò ad avvicinarsi ulteriormente ai guelfi, allora in lotta col governo genovese; egli appoggiò Bonifacio VIII - sia pure in modo temporaneo - per ottenere la legittimazione della eredità sarda, che a Branca era pervenuta dalla madre Preziosa (ma nel 1300 il papa scomunicò padre e figlio); approvò, poi, l'alleanza tra Genova e Carlo Il d'Angiò (9 maggio 1301).
I legami matrimoniali del D. (il 6 febbr. 1303 a Sarzana Federico Fieschi nominava in testamento sua erede la figlia Eleonora) dovettero contribuire a maturare una alleanza sempre più stretta tra la sua famiglia e le altre forze che intendevano rompere i legami con lo schieramento ghibellino, al potere da anni a Genova. Il 30 dic. 1303 il D. comprò da Lanzarotto, marchese del Bosco, metà del castello di Molare per 57 anni, dopodiché tale quota sarebbe dovuta passare ad Isnardo Malaspina; l'anno seguente, su consiglio del padre, acconsentì al matrimonio tra uno dei suoi figli ed Isabella, figlia di Tommaso Malaspina, cui sarebbe toccata la quota di Molare (21marzo). Morto il Malaspina, il 17 dic. 1305 il D. emancipò il figlio Brancaleone e, annullato il precedente contratto matrimoniale, lo fece sposare con Isotta, sorella di Isabella e di Isnardo Malaspina, riunendo le quote sul castello di Molare, che fu ceduto al figlio.
Intanto a Genova la situazione stava diventando incandescente: incrinatasi l'alleanza tra i Doria e gli Spinola, sul cui accordo si era retto il governo della città sin dal 1270, erano emersi all'interno delle stesse due famiglie contrasti profondi. Negli Spinola al gruppo detto "di Luccoli", guidato dall'ambizioso Opizzino, si oppose il gruppo detto "della Piazza", che si alleò col clan doriano del vecchio Oberto, uno dei fondatori della diarchia ghibellina. Tuttavia, questa alleanza rimase sconfitta nel corso degli avvenimenti. Quando si profilò un accordo tra i gruppi per una più equa distribuzione delle cariche pubbliche, Opizzino Spinola, la figura emergente in città, non esitò a far insorgere le masse popolari, presso le quali vantava larghi consensi (6 genn. 1306).
Forse non ritenendo maturi i tempi per un dominio personale, lo Spinola preferì farsi affiancare dal D., per ricostituire quella coppia di capitani, appartenenti alle due famiglie ghibelline più popolari, che doveva rappresentare agli occhi dell'opinione pubblica cittadina una garanzia di stabilità e di tranquillità interna. Certamente, durante gli anni di questo governo, il D. appare come la figura meno rappresentativa; tuttavia, alle sue spalle si muoveva il padre Branca, dotato di ben altra statura politica.
I due capitani ottennero i pieni poteri, con esclusione della amministrazione giudiziaria e di quella finanziaria; la loro carica doveva durare sino al 28 ottobre (per ricollegarsi idealmente alla data in cui nel 1270 era nata la diarchia) e poi essere rinnovata per cinque anni. Nel breve periodo in cui il D. rimase al potere, insieme col suo collega provvide a riformare alcuni statuti di corporazioni artigiane (7 marzo 1307); favorì l'accordo con Firenze, per porre fine alle rappresaglie effettuate dai due Comuni (3 maggio 1307); sottoscrisse la pace coi ribelli Doria (21 sett. 1307).
All'interno, tuttavia, i contrasti erano ben lungì dal placarsi: lo Spinola attuava una spregiudicata politica personale (una sua figlia fu data in sposa a Teodoro, figlio di Andronico II Paleologo), pericolosamente aperta alle suggestioni angioine, non condivise dall'opifflone pubblica genovese. Per puntellare le pretese del genero Teodoro sul Monferrato (egli era stato sconfitto dalle truppe angioine che appoggiavano l'altro pretendente, Manfredo IV di Saluzzo), lo Spinola non esitò ad allearsi con Carlo Il d'Angiò (6 nov. 1307), mentre era assente da Genova il D., che non doveva guardare di buon'occhio all'accordo. Egli organizzò, nel frattempo, una campagna militare contro i fuorusciti (in gran parte appartenenti al clan rivale dei parenti di Oberto), rifugiatisi a Taggia e ad Oneglia e, alla fine di novembre, li obbligò a trattare. Per controbilanciare le alleanze create dallo Spinola, il D., su consiglio del padre, si adopero per alcuni progetti matrimoniali; particolarmente accarezzata fu l'idea di ottenere Giovanna, erede del Giudicato di Gallura, per uno dei suoi figli, Bernabò (forse premorto al padre e non menzionato in altri documenti).
Furono intavolate trattative col signore di Ferrara, Azzo [VIII] d'Este, presso cui Gìovanna aveva trovato ospitalità. Secondo quanto fu comunicato a Giacomo II d'Aragona dall'informatore pisano Vanni Gattarelli, all'Este furono promessi 20.000 fiorini d'oro, metà quando Giovanna fosse stata consegnata al suo futuro suocero e l'altra metà in dieci rate annuali. Questo progetto si inseriva nelle complesse trattative che Branca stava conducendo con Giacomo, per ottenere il riconoscimento dei suoi possessi sardi, nella eventualità di una conquista aragonese dell'isola. Tuttavia il re, sollecitato anche dalle città toscane, intervenne personalmente presso Azzo (su cui esercitò pressioni anche Roberto di Calabria), perché rifiutasse la proposta doriana. Ciò provocò un temporaneo raffreddamento tra l'Aragona ed i due Doria, ma non impedì che essi accogliessero a Genova l'ambasciatore del re, Bernat de Sarriá, con cui stipularono un importante accordo in vista della probabile invasione aragonese della Sardegna (maggio 1308). Un altro progetto matrimoniale portò il D. a trattare con Federico III d'Aragona re di Sicìlia, una cui figlia naturale, già sposata a Ruggiero di Lauria, avrebbe dovuto unirsi con un figlio del Doria. Questo disegno mirava a contrastare i legami stretti tra lo Spinola e Carlo d'Angiò, che spedì a Genova due ambasciatori, per bloccare i propositi del D. (agosto 1308); egli replicò che avrebbe accantonato il progetto, se Carlo gli avesse promesso sua figlia, vedova d'Azzo d'Este morto nel frattempo. La richiesta fu respinta dagli emissari angioini.
A buon fine andò, invece, il matrimonio tra Isabella, figlia del D., e Manfredo IV di Saluzzo, avvenuto nel luglio 1308; questa unione, tuttavia, rinfocolò i contrasti tra i due capitani del Comune, legati da rapporti famigliari proprio con i contendenti per il Monferrato. Altro motivo di contrasto fu il possesso del castello di Quiliano: approfittando di una delle numerose assenze del D. da Genova, Opizzino Spinola appoggiò le pretese dello zio Odoardo su metà del castello, su cui vantava diritti Branca. Per impedire possibili reazioni da parte dei due Doria, Opizzino decise di accelerare i tempi. Nel novembre 1308, col pretesto che i Malaspina, appoggiati dai Fieschi, stavano per assalire la città, Odoardo convocò il Consiglio e chiamò il popolo alle armi. Il D., accusato di complicità, fu arrestato, mentre Branca, irriducibile, fuggì a Lerici.
Dopo alcuni giorni ci fu un incontro tra il D. e Opizzino, che era stato proclamato capitano perpetuo; in cambio della libertà e di una somma a titolo di risarcimento, lo Spinola chiese al D. di intervenire presso il padre, perché rinunciasse a Lerici: tale proposta non fu accolta. Nel frattempo il D., rinchiuso nel palazzo di Odoardo Spinola, fu trasferito nel palazzo comunale, da dove riuscì a fuggire di notte, il 15 dicembre. Trovata ospitalità presso gli Spinola di S. Luca (o della Piazza), si imbarcò per dirigersi nel Sassello o a Stella, che divennero il centro di raccolta per i fuorusciti, nemici del capitano perpetuo. L'anno seguente, agli inizi di giugno, gli esuli guidati da Manfredino Del Carretto ebbero la meglio sulle truppe dello Spinola, che fu costretto alla fuga. Sempre nel 1309, su procura del padre, il D. acquistò dal genero Manfredo di Saluzzo un quarto dei castelli di Murazzano e Farigliano, nella diocesi di Alba. L'anno seguente morì Isotta, moglie di Brancaleone, figlio del D., e venne sepolta (3 agosto) nella chiesa genovese di S. Domenico, destinata ad accogliere le tombe di famiglia.
In questi anni il D. ed il padre riuscirono ad avere il controllo della città, pur non rivestendo ufficialmente cariche pubbliche; quando Enrico VII scese in Italia, fu il D. ad essere inviato a Milano per accoglierlo, assistendo alla sua incoronazione in S. Ambrogio (6 genn. 1311); egli accompagnò l'imperatore a Genova, ospitandolo nel suo palazzo. Il 22 novembre, alla presenza del D., Enrico annullò i patti stipulati tra il governo genovese e Carlo II d'Angiò, ponendo la città sotto il suo dominio. Nel febbraio dell'anno seguente l'imperatore parti e fu scortato da uomini del D. nella sua marcia verso Pisa. Il 16 apr. 1312, tramite i vicari imperiali restati in città, egli chiese la custodia del castello di Ameglia; quattro giorni dopo fece giungere pressanti richieste ad Enrico, perché venissero assolti i suoi uomini, accusati di aver ucciso alcuni simpatizzanti degli Spinola. Egli ebbe poi l'incarico di comandare la flotta di sei galee, che il Comune genovese fece allestire per l'imperatore e che avrebbe dovuto unirsi a quella pisana; non sappiamo nulla sull'esito di questo progetto.
Negli anni seguenti il D. si occupò della sua piccola signoria montana: il 12 ag. 1315 concesse il perdono a due esiliati dal castello di Mioglia, di sua proprietà; fu nominato procuratore dal figlio Brancaleone che, insieme con la seconda moglie (Caterina, figlia di Manfredi Chiaramonte), era in lite con Agnese Del Carretto; nel 1317, a nome del padre, cedette al marchese di Saluzzo le quote di Murazzano e Farigliano, acquistate in precedenza.
Iniziarono quindi le trattative con Stefano Visconti, figlio di Matteo, perché sposasse Valenza, figlia del D. e vedova di Francesco Del Carretto. Il 4 maggio 1317 il Visconti elesse un procuratore per concludere l'accordo, sottoscritto poi a Genova, nel palazzo del D.; il 21 giugno Valenza ricevette in dote dal padre la cospicua somma di 2.060 lire di genovini.
Questo matrimonio avvenne in una fase delicata per i Doria; infatti, a Genova nel settembre 1317 ritornarono al potere i guelfi, ma i fuorusciti occuparono Savona, proprio grazie all'aiuto del Visconti, che finanziò la campagna militare guidata dal vecchio Branca in Corsica e Sardegna. Nel 1323, quando la flotta aragonese sbarcò in quest'ultima isola, il D., insieme col padre, si affrettò a raggiungere l'esercito invasore, alle prese con l'assedio di Villa Iglesias; qui il D. prestò omaggio all'infante Alfonso per i territori da lui posseduti.
Il ruolo del D. nella campagna militare fu ambiguo: schieratosi da tempo con il re Giacomo, si adoperò, tuttavia, con insistenza, perché si arrivasse ad un accordo con Pisa, nel timore di un eccessivo potere aragonese. Poiché la guarnigione pisana ad Iglesias resisteva con accanimento -, fu il D., a metà ottobre, a proporre l'eventualità di un accordo con gli assediati; superate le resistenze di Alfonso, che mirava ad una resa senza condizioni, ottenne che il contingente pisano inviasse due sindaci ad Alghero per intavolare trattative con l'infante; questo incontro, tuttavia, non ebbe esito positivo. Nel 1324, passate le truppe aragonesi all'assedio di Cagliari, il D. fece da intermediario tra i belligeranti. Egli informò Alfonso che il conte Manfredo Della Gherardesca di Donoratico (capo della guarnigione pisana nel castello) aveva inviato due frati predicatori a Pisa, per ottenere pieni poteri in vista della capitolazione; questa iniziativa venne guardata con sospetto, perché si temeva che il conte mirasse solo a guadagnare tempo. Pisa si rassegnò, invece, alla resa e spedì nell'isola un suo plenipotenziario, Bene da Calci, per trattare la fine delle ostilità. Fu il D. ad accompagnare il rappresentante pisano presso l'infante; il 19 giugno il castello di Cagliari si arrese (il testo della capitolazione fu dettato dal D.), ponendo fine al conflitto tra Pisa ed Aragona.
I timori circa le vere intenzioni aragonesi si rivelarono fondati: tra l'altro, fonte di malcontento per i Doria fu l'appoggio concesso da re Giacomo ad Ugo d'Arborea, il suo più fido alleato; un odio personale doveva dividere il D. dal giudice sardo, tanto che tra i due ci fu uno screzio violento circa il controllo dei castelli di Monteacuto e di Goceano, su cui sia il D. sia Ugo vantavano diritti.
Anche a Genova il cambiamento di regime, che aveva portato al potere i guelfi, mise in difficoltà il D.; nel 1324 due galere guelfe catturarono nelle acque sarde una nave, su cui si trovava suo figlio Galeotto (o Galeazzo): per il suo riscatto, la famiglia dovette sborsare una forte somma.
Secondo alcuni storici, i Doria tentarono di occupare Sassari nel settembre 1324, per cacciarne la guarnigione aragonese; il colpo di mano, però, fallì. Filippo di Saluzzo, nominato dall'infante governatore della Sardegna, aprì una indagine per colpire i ribelli. Furono decapitati due membri della famiglia, Branca e Vinciguerra, ma è assai dubbia l'identificazione del primo col padre del Doria.
Egli morì poco dopo, comunque prima del 3 ag. 1325, data in cui Eleonora, sua vedova, donò una casa appartenuta al suocero. Dal suo matrimonio con Eleonora erano nati Cassano, Brancaleone, Galeotto, Isabella, Matteo, Goffredo, Valenza (o Violante) e Margherita.
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