GESSI, Berlingero juniore
Nacque a Bologna nell'anno 1613 dal senatore Camillo e da Laura di Bartolomeo Barbazza.
Compiuti i primi studi nella città natale sotto la disciplina degli eruditi dell'Accademia degli Ardenti, conosciuta anche come Accademia del Porto, ancora adolescente fu inviato dal padre a Roma e affidato al cardinale Berlingero Gessi suo zio. Sotto la vigile direzione dell'illustre porporato, il G. si applicò con passione alla giurisprudenza e alle belle lettere, avvalendosi del prezioso apporto di numerosi letterati che erano soliti frequentare la corte dello zio. In questi anni il giovane G. forgiò il suo spirito e la sua mente seguendo diligentemente le direttive cristiane e morali del cardinale.
Tornato a Bologna e rese pubbliche le sue doti oratorie e poetiche, fu ascritto con il nome di Sollecito all'Accademia dei Gelati, che aveva sede in quella città, e subito dopo si applicò anche alla matematica e all'astronomia sotto l'insegnamento di padre B. Cavalieri, lettore di scienze nel pubblico Studio bolognese. Fatto rientro a Roma, portò a termine con molto profitto il corso di studi in legge, laureandosi alla Sapienza. Alla morte del padre, nel 1635, si recò nuovamente nella città natale e assunse la carica di senatore, che sostenne poi con sommo decoro, onorando così la memoria del dignitoso operato politico del genitore. Regolati gli affari domestici in Bologna, tornò per l'ultima volta a Roma, dove rimase quattro anni, fino alla morte dell'amato zio (6 apr. 1639), per poi stabilirsi definitivamente in patria. A Roma fu in seguito inviato come ambasciatore della sua città presso i pontefici Alessandro VII e Clemente IX. Dal suo matrimonio con Costanza Isolani nacquero molti figli dei quali però sopravvissero solo un maschio, Carlo Maria, suo successore nella dignità senatoria, e tre femmine, Laura e Isabella, monache nel monastero di S. Maria Nuova, ed Emilia Felice Maria, maritata al senatore Francesco Giovanni Sampieri.
Morì a Bologna il 21 apr. 1671. Solenni esequie gli furono tributate nella chiesa dei padri della Ss. Annunziata dove fu sepolto. L'orazione funebre recitata dall'accademico animoso G.B. Capponi fu successivamente pubblicata.
Il ristretto tempo libero che il suo stato di senatore e quello di zelante capofamiglia gli concessero, fu dal G. impiegato nella scienza cavalleresca e negli studi letterari. Quando venne a stabilirsi a Bologna, lo studio della cosiddetta scienza cavalleresca, ovvero delle norme consuetudinarie con cui si regolavano le questioni d'onore, era nel suo momento di massimo fervore. Il G. fu conquistato da questa materia e subito vi si applicò con dedizione e risultati notevoli. Seguendo i dettami di cavalieri e dottori che a quel tempo erano ritenuti maestri di cavalleria, riuscì a superare tutti nell'arte della pacificazione delle inimicizie private in materia d'onore, tanto che i suoi consigli cavallereschi, poi dati alle stampe, venivano considerati alla stregua di norme giuridiche e ricercati da tutta Italia. Molte furono le querele tra ragguardevoli cittadini ridotte a pace dal G. con somma lode e soddisfazione delle parti e molti furono i principi circonvicini che a lui rimisero controverse questioni d'onore per composizioni o per averne il parere o la direzione.
Solo una parte delle sue opere in questa materia venne pubblicata mentre egli era in vita. Nelle Prose dei sigg. accademici Gelati di Bologna (Bologna 1671, cc. 5 ss.) è conservato Il giuoco de' cavalieri. Discorso sopra la giostra e' tornei, mentre La spada d'onore. Libro primo delle osservazioni cavalleresche (ibid. 1671) - dove il G. chiama più volte in causa la Gerusalemme liberata di T. Tasso come testo di riferimento per le questioni d'onore e inserisce molte illustrazioni che rappresentano scene del poema - fu edito poco prima della sua scomparsa. Alla sua morte, avendo affidato al genero F.G. Sampieri i suoi manoscritti con il permesso di pubblicare tutto ciò che avesse creduto degno di edizione, vennero stampati anche Lo scettro pacifico (Milano 1672; poi Bologna 1678) e una raccolta dei suoi scritti principali in Opere di B. Gessi, cioè la Spada d'onore, i Pareri cavallereschi, lo Scettro pacifico, aggiuntovi l'editto del re Luigi XIV contro i duelli e rincontri (Bologna 1694; poi Modena 1702).
Le sue occupazioni giuridiche, diplomatiche e cavalleresche non gli impedirono però di coltivare con ardore la grande passione per le lettere, per la "conversazione delle Muse", che aveva manifestato in gioventù e aveva inseguito per tutta la vita. Oltre che alla già citata Accademia dei Gelati, fu ascritto all'Accademia degli Umoristi di Roma, all'Accademia degli Intronati di Siena, all'Accademia dei Caliginosi di Ancona e fu tra i fondatori dell'Accademia degli Erranti di Fermo.
Tra le sue opere letterarie ricordiamo la tragedia Nino il figlio (Bologna 1655), accompagnata da una Lettera responsiva ad A. Barbazza in materia di composizione della tragedia e pubblicata, vivente l'autore, sotto lo pseudonimo anagrammatico di Gregorio Belsensi; il dramma per musica Perseo, recitato in Bologna nel 1642, del quale non si conosce la stampa; e il Corindo (ibid. 1640). Fondamentale per comprendere la poetica del G., perfettamente aderente allo spirito del secolo, è la Lettera responsiva aggiunta al Nino il figlio. Vi si legge che la tragedia può essere di tre tipi: "costumata" o precettiva-morale, "affettuosa" o patetica, "intrecciata" o ravviluppata; ma la migliore forma è quella "mista", cioè quella che oltre al pathos e ai documenti morali contenga anche l'"inviluppo". In questo il G. si dimostra figlio del suo tempo, dal momento che l'inviluppo è una costante della tragedia secentesca e dove manca viene sostituito da abili sdoppiamenti di azioni e personaggi. Più gradevole inoltre, sostiene il G., sarà la favola-tragedia, se sarà piena d'inganni e artificiosa al punto tale che i personaggi restino ingannati non solo dagli altri, ma pure da se stessi. Nino il figlio, in effetti, è una delle tragedie del Seicento in cui è più presente quest'arte di produrre le sorprese, di far nascere equivoci a ogni passaggio e di mettere in scena personaggi mascherati. La trama della tragedia, che come ci avverte l'autore fu stampata in gran fretta per timore che la medesima favola fosse raccontata da altri sotto forma di romanzo, è molto complessa, ricca di strani casi, agnizioni, fortuiti e imprevedibili accidenti, molto spesso non funzionali alla narrazione (Semiramide arde per Nino, creduto figlio di Alaria, che sotto falso nome di Zelindo arde per l'egizia Ariclea, creduta figlia d'Alvandro; il tutto complicato dalla straordinaria somiglianza tra Semiramide e Zelindo, fonte di infiniti scambi ed equivoci). La tragedia del G. è dunque ambientata fuori d'Italia, come di preferenza avveniva tra gli autori secenteschi, forse alla ricerca di mete esotiche dove ambientare le tragiche vicende o, come avverte lo stesso G., per disporre meglio il proprio pubblico, che ammette più facilmente episodi favolosi ambientati in terre lontane e poco conosciute, il soggetto straniero piuttosto che quello domestico.
Fonti e Bibl.: G.B. Capponi, Orazione in morte del senatore B. G., Bologna 1671; V. Zani, Memorie… de' signori accademici Gelati di Bologna, Bologna 1672, pp. 69-75; F.P. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1714, pp. 72 s.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, IV, Bologna 1784, pp. 113-115; S. Mazzetti, Repertorio de' professori dell'Università di Bologna, Bologna 1847, p. 145; A. Solerti, Vita di Tasso, I, Torino-Roma 1895, p. 812; E. Bertana, La tragedia, Milano 1906, pp. 110, 124, 144, 146, 148 s.