CRUILLES (Cruillas), Berenguer
Di nobile famiglia catalana, fu in Sicilia al servizio dell'infante d'Aragona Martino il Vecchio o l'Umano, duca di Montblanc. Fin dal gennaio 1388, ancora a Barcellona, il C., che ricopriva la carica di camerlengo del duca, era stato da questo impiegato nei preparativi diplomatici per realizzare la spedizione siciliana. Martino infatti lo aveva incaricato di trattare nella stessa Catalogna le questioni, connesse con l'impresa, tanto col fratello Giovanni il Cacciatore, re d'Aragona, e con i principali esponenti della nobiltà catalana, quanto con la regina di Sicilia Maria, detenuta a Barcellona. Quindi, il 27 nov. 1391, lo inviò nell'isola insieme con l'altro suo camerlengo Guerati Queralt, perché precedessero e preparassero politicamente il suo imminente sbarco: il duca intendeva giungere in un secondo tempo, accompagnato dai sovrani di Sicilia, il figlio Martino il Giovane e la sposa di questo, la regina Maria. I due inviati aragonesi avrebbero dovuto Prendere contatto con il baronaggio siciliano, e principalmente con i Peralta, i Ventimiglia e gli Alagona.
Il 1° dicembre il C. e il Queralt furono nominati in solido e disgiuntamente luogotenenti regi, oltre che ambasciatori, con la pienezza di tutti i poteri spettanti ai sovrani, fino all'ingresso nel regno siciliano del duca di Montblanc e di Martino il Giovane e all'espressa revoca di quei poteri. Ai due luogotenenti fu affidato il compito di assumere in nome del re il governo e l'amministrazione della Sicilia, con specifica facoltà di ricevere omaggi e giuramenti di fedeltà, di rimuovere e nominare ufficiali, di sottoporli ad inchiesta, di controllarne i rendiconti, di confermare o concedere privilegi, di riunire il Parlamento, di assumere debiti, di restaurare tutti i diritti della Corona. Ebbero, inoltre, incarico di svolgere le operazioni militari o le attività diplomatiche che si fossero dimostrate necessarie per assicurare e mantenere il possesso dell'isola, con espresso potere di indire la guerra, di sequestrare a scopo bellico merci e vettovaglie di qualsiasi nazione, di effettuare rappresaglie, di concludere tregue e paci, leghe e trattati internazionali. Al C., in particolare, fu anche affidato dal duca Martino un incarico specifico, quello di recarsi a prendere possesso - in nome dei sovrani - di Messina, che per opera del cancelliere del Regno, Giacomo d'Alagona, si era già resa fedele alla Corona. Lo stesso 10 dic. 1391 il C. venne pertanto anche nominato procuratore generale, rettore, amministratore, preside e luogotenente della città di Messina, delle torri e castelli, del palazzo regio e di ogni dipendenza della città, con potere plenario di presidenza su tutti gli uffici messinesi e di esercizio del mero e misto imperio e dell'alta e bassa giurisdizione civile e criminale.
Il 18 genn. 1392 il C. sbarcò difatti a Messina, insieme con Guerau Queralt. I due luogotenenti generali informarono l'infante d'Aragona della festosa accoglienza da loro ricevuta nella città siciliana e dell'avvenuta consegna del palazzo, di tutti i castelli e le fortezze, che il C. provvide a munire poderosamente. Mentre il Queralt lasciava la città con tutte le galee catalane e castigliane che si trovavano in Sicilia, per dirigersi dal conte Guglielmo Peralta e proseguire così da solo nello svolgimento degli altri incarichi affidati da Martino il Vecchio ai due luogotenenti, il C. restò invece a difendere e amministrare Messina. L' 8 febbraio si incontrò a Taormina con Manfredi d'Alagona e altri baroni siciliani, ai quali, secondo il Surita, in cambio del giuramento di fedeltà, promise che la Sicilia non avrebbe aderito a Clemente VII, ma sarebbe rimasta invece obbediente a Bonifacio IX. Né il C. si mosse quando il duca, ricevuta notizia, nella tappa fatta a Cagliari, del successo ottenuto dai suoi inviati, sbarcò il 22 marzo all'altro capo della Sicilia, nell'isola di Favignana. Martino il Vecchio approvò che il C. non gli si fosse recato incontro, come invece in un primo momento si era proposto di fare, ma fosse rimasto nella città dello Stretto. Il 20 aprile il C., che manteneva ancora i poteri luogotenenziali, ricevette l'ordine di recarsi nei territori già sottoposti alla signoria di Manfredi d'Alagona, il quale con i suoi fratelli e aderenti si era sottomesso ai sovrani, per prendere possesso in nome del re di città, ville, castelli e luoghi, scortato dai migliori balestrieri messinesi, che avrebbe dovuto lasciare a guardia dei castelli sottomessi. Già il Queralt inizialmente aveva confermato l'Alagona nel possesso della terra e del castello di Lentini, a garanzia di un mutuo di 10.000 fiorini d'oro, ottenuto per far fronte alle spese della spedizione navale aragonese contro la Sicilia. Il C. rinnovò la garanzia in cambio di altri 2.000 fiorini. A metà maggio aveva però preso anche Lentini, benché il debito con l'Alagona non fosse stato ancora pagato.
Tornato ai primi di giugno, per ordine del duca, a risiedere a Catania, il C. si trovò di fronte al rifiuto della città a riconoscerlo ancora come vicerè o luogotenente regio; fu necessario un intervento diretto del duca che confermasse i suoi poteri. Le drammatiche vicende che si andavano svolgendo contemporaneamente nella Sicilia occidentale e che culminarono con la condanna a morte di Andrea Chiaramonte e con l'arresto a Palermo di Manfredi d'Alagona, non mancarono di provocare conseguenze sempre più gravi anche nella Sicilia orientale. Il C., che da Catania la governava, dovette far fronte alla ribellione del figlio di Manfredi, Artale d'Alagona. Lo assediò nel castello di Aci. Trattò con lui, ricevendone in ostaggio la moglie e i figli; ma la ribellione alagonese continuò e si estese alla città di Catania, brevemente occupata da Artale alla fine di giugno. Ai primi di luglio il duca-Martino si trasferì a Catania, per controllare direttamente la situazione. Il C. cessò così di assolvere i poteri luogotenenziali, che gli furono revocati espressamente.
Rimasto a corte a Catania, il 28 sett. 1392 fu compensato per i servizi prestati ottenendo in feudo, in Vai di Noto, il casale di Passaneto e la terra di Palagonia, che erano già appartenuti al ribelle conte Ruggero di Passaneto. Nella stessa data ebbe anche un'altra concessione minore: i beni confiscati in Lentini a Ruggero e Nicolò Lamia. A metà dicembre, il C., il quale progettava di lasciare la Sicilia, si era tuttavia già disfatto dei due feudi. Il 14, con l'approvazione regia, vendette infatti Passaneto a Giacomo Campolo per 1.125 fiorini, mentre il giorno prima Palagonia era stata trasferita a Ubertino La Grua.
Il 25 luglio 1393 il C. fu autorizzato a tornare in Catalogna, dove giunse il 1° settembre, su una galea del duca di Venosa. Ne aveva chiesto licenza a Martino il Vecchio già più di un anno prima, per ragioni di salute. In Sicilia si era infatti gravemente ammalato. Solo la sopravvenuta ribellione alagonese e l'assedio di Aci lo avevano spinto a rimandare la partenza, che tornava ora particolarmente opportuna per la necessità di inviare un qualificato ambasciatore alla corte aragonese. Il C. fu incaricato di esporre al re Giovanni e agli ambienti più influenti la difficile situazione interna e internazionale in cui versava il regno siciliano, minacciato dalle nuove ribellioni promosse dai due ex vicari, Guglielmo Peralta e Antonio Ventimiglia, e da molti altri baroni, non solo, ma anche dall'azione ostile di Margherita di Durazzo e di Bonifacio IX. Doveva, inoltre, illustrare l'urgente necessità di soccorsi militari.
Il 10 nov. 1394 ottenne il feudo di Cadera in Val di Noto, su cui era sorta la terra di Francofonte, che, come i beni già ottenuti a Lentini, proveniva dalla confisca dei possessi del ribelle Nicolò Lamia. Rimasto alla corte di Barcellona, nell'ottobre 1396 fece parte di un'ambasceria inviata da Maria de Luna al conte di Armagnac per sostenere i diritti di Martino il Vecchio alla successione del fratello Giovanni I contro le pretese del conte Matteo di Foix.
L'ultima notizia che abbiamo del C. è del 16 luglio 1400, quando da Barcellona donò il feudo di Cadera, che ancora possedeva in Sicilia, al figlio Giovanni rimasto nell'isola, dove aveva sposato Maria d'Alagona.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Palermo, Canc. 20, ff. 129v-130r; Canc. 26, f. 27rv; Canc. 44-45, f. 169v; Palermo, Biblioteca comunale, ms. Qq. G. 5, ff. 27rv, 31r-32r, 42v, 45r, 63r-73r, 79r-80r, 97rv, 151v-152v, 228v-229r, 234r-236r. 290r-293r, 314r-318v, 346v-350r, 432v-433r, 549v-557r; G. L. Barberi, I Capibrevi, I, I feudi del Val di Noto, a cura di G. Silvestri, Palermo 1879, pp. 294 s.; J. Zurita, Anales de la Corona de Aragón, II, Zaragoza 1610, ff. 403v-404r, 407r; F. M. Emanuele e Gaetani, Della Sicilia nobile, I, Palermo 1754, p. 135; II, 1, ibid. 1754, p. 89; II, 2, ibid. 1757, p. 207; A. Mango di Casalgerardo Nobiliario di Sicilia, I, Palermo 1912, p. 246; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, III, Palermo 1925, p. 353; V, ibid. 1927, pp. 344, 426; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, I, Dal regno al viceregno in Sicilia, Palermo 1953, pp. 192 s., 202; A. Boscolo, La politica italiana di Martino il Vecchio re d'Aragona, Padova 1962, pp. 22, 25, 37; V. D'Alessandro, Politica e società nella Sicilia aragonese, Palermo 1963, pp. 124 s., 127, 130 s., 133, 137 s., 296; I, La Lumia. Storie siciliane, II, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, pp. 195 s., 209-212, 214 s., 227, 239 s., 255 s., 264, 272.