BERENGARIO di Tours
Nacque a Tours al principio del sec. XI da ricca e ragguardevole famiglia. Fatti i primi studî in patria, li proseguì a Chartres sotto la guida del celebre Fulberto. Ritornato a Tours divenne scolastico nella chiesa di S. Martino, quindi arcidiacono di Angers nel 1040; ma fu a Tours che acquistò larga rinomanza ed ebbe valorosi discepoli. Geloso poi della fama in che veniva la scuola di Bec sotto l'abate Lanfranco, si propose di battere la via di speculazioni nuove. Fidando nella protezione di Eusebio Brunone, diventato vescovo di Angers nel 1047, e di Goffredo Martello conte d'Angiò, egli cominciò a sostenere pubblicamente proposizioni opposte alla dottrina comunemente accettata circa l'Eucaristia e a farle valere sulla testimonianza di Giovanni Scoto Eriugena. Ma Ugo vescovo di Langres e Adelmano scolastico di Liegi, e poi anche Lanfranco segnalarono a Roma le dottrine di B.: nel concilio del 1050 questi fu condannato, e gli fu imposto di recarsi al concilio di Vercelli in quell'anno stesso. Ma B. non poté recarvisi, perché, avendone chiesto il permesso a Enrico I re di Francia, fu da questi imprigionato, e liberatosi a prezzo d'oro si rifugiò di nuovo presso il conte d'Angiò. Intanto la sua dottrina fu condannata di nuovo a Vercelli. Nel 1051 Enrico I fece radunare un concilio a Parigi, per giudicare di nuovo B. ed Eusebio Brunone d'Angers; i due non si presentarono e furouo condannati. La riconciliazione del conte d'Angiò con Leone IX tolse a B. la sicurezza che ostentava, ed egli si piegò a sottoscrivere nel conc; lio di Tours, presieduto da Ildebrando (il futulo Gregorio VII) una professione di fede eucaristica. Poi nel concilio di Roma del 1059 ne accettò ancora una nuova; ma, appena si sentì libero, parlò contro il concilio nel primo libro della sua opera De sacra coena oggi perduto. Poiché un'assemblea raccolta ad Angers nel 1062, sotto la presidenza dell'arcivescovo di Besanqon, gli si mostrò contraria, Eusebio Brunone si staccò recisamente da lui, e il conte d'Angiò gl'impedì d'esercitare il suo ufficio di arcidiacono. B. implorò allora l'aiuto del papa, e Alessandro II intervenne in suo favore con lettere molto benevole; ma B. non s'era mutato, cosicché quando il papa l'avvertì di non scandalizzare la Chiesa con i suoi errori, egli rispose di non poter mutare la sua dottrina, e compilò una controrisposta alla risposta che Lanfranco aveva scritto contro il suo libro De sacra coena. B. fu condannato in un concilio di Poitiers (1074-75), dove poco mancò non fosse massacrato, e in quello di Saint-Maxent poco dopo. Fu presente nel 1078 al concilio lateranense di Gregorio VII, dove sottoscrisse una formula non del tutto esplicita; ma l'anno dopo al coucilio dovette sottoscriverne un'altra che tagliava corto a ogni scappatoia. Gregorio VII credette alla sincerità del suo pentimento (e di ciò fu accusato nel sinodo scismatico di Bressanone nel 1080, quasi fosse stato favoreggiatore di un'eretico); e di più proibì che lo si inquietasse e lo si chiamasse eretico. Appena ritornato in Francia, B. scrisse contro la formula che aveva sottoscritta a Roma; tuttavia il concilio di Bordeaux (1080) ottenne da lui un'ultima ritrattazione. Berengario morì presso Tours il 6 gennaio, forse del 1088, con sentimenti cattolici.
Diversi errori furono imputati a B., ma quello per cui particolarmente fu in lotta è la negazione della transustanziazione nell'Eucaristia; quanto alla presenza reale di Cristo il suo pensiero è meno chiaro, sebbene le sue premesse portassero a negarla. Egli urtò il sentimento unanime dei cattolici, che lo combatterono, a cominciare dai suoi stessi condiscepoli di Chartres, a cui si unirono Durando di Troan, Lanfranco, Guitmondo, suo discepolo e poi vescovo di Anversa, sino ad Algero di Liegi, Goffredo di Vendôme, Onorio di Autun. Dopo la morte di B. il concilio di Piacenza del 1095 giudicò utile condannare ancora una volta le sue dottrine. Tutta questa polemica ebbe del resto il risultato principale di far progredire l'esposizione del dogma eucaristico. B., come Lanfranco e come gli altri discepoli di Fulberto di Chartres, è infatti l'indice di un nuovo stadio nello svolgimento logico: quello cioè in cui la dialettica estende sempre più le sue incursioni oltre i suoi limiti primitivi, per applicare al contenuto della rivelazione tutte le risorse della sua sottigliezza e della sua perspicacia. Movimento ben naturale in ogni spirito nato all'investigazione, e che per più di un secolo si disegnò incerto, esitante nel suo sforzo d'evolversi, sì da sembrare un movimento inconclusivo, se alla fine di questi primi tentativi non apparissero i colpi maestri di Anselmo d'Aosta; ma intanto questi autori sembrano come imprigionati nel formalismo d'espressioni tecniche poco comprese o male applicate. Così B. non ha una filosofia originale e completa; tuttavia ha il gusto della filosofia: egli è armato di dialettica; parla il linguaggio d'Aristotele e di Porfirio, e protesta in loro nome contro i decreti dei concilî. Berengario passa al crogiuolo della ragione i dati della fede, e quanto alla ragione, egli la sottomette ai sensi e riduce ogni conoscenza alla conoscenza sensibile. I sensi, diceva, percepiscono insieme l'accidente e la sostanza, l'un dall'altro inseparabile e non distinguibile che per una distinzione logica. Applicato alla teologia questo principio conduce alla negazione della transustanziazione; applicato alla filosofia e alla natura delle cose conduce al nominalismo. Ma ciò che più merita d'essere notato è che il modo di procedere di B. apriva libero il campo a una dialettica senza freno, che doveva destare le più vive preoccupazioni nel campo teologico. Il principio di B., d'altronde, poggiava su una base che reca sorpresa da parte di un razionalisteggiante, e mostra quanto poco determinati nei loro confini fossero, per certi spiriti, i campi della ragione e della fede.
Ediz.: Manca un'edizione completa delle opere di B. Il De sacra coena adv. Lanfrancum è stato edito da A. F. e F. Th. Vischer (Berlino 1834); le risposte di B. a Lanfranco, Adelmano e Guitmondo, sono edite fra le opere di questi autori, in Patrol. Lat., CL, CXLIII, CXLIX; varie lettere di B. sono state edite dal Sudendorf, B. Turoniensis oder eine Sammlung ihn betreffender Briefe, Amburgo 1850; e da M. E. Bishop, in Historisches Jahrbuch, I (1880), p. 275 segg.; vedi anche Martène e Durand, Thesaurus novus anecdotorum, Parigi 1717, I, coll. 191-196; IV, coll. 103-116; su diversi scritti attribuiti a B. vedi Ceillier, Histoire générale des auteurs sacrés et ecclésiastiques, 2ª ed., XIII, p. 174.
Bibl.: Vedi quella citata nell'articolo di F. Vernet, in Dictionnaire de théol. cathol., II, p. 722. - Posteriore ad esso sono le note del Leclerq in Histoire des conciles del Hefele, IV, Parigi 1910, pp. 1040, 1108, 1169; V, Parigi 1912, p. 243 segg., passim; M. Grabmann, Die Gesch. der Schol. Methode, I, Friburgo in B. 1909; R. Heurtevent, Durand de Troarn et les origines de l'hérésie bérengarienne, Parigi 1912; J. de Ghellinck, Le mouvement théologique du XIIe siècle, Parigi 1914, p. 38 segg.