MAGGI (de Madiis, de Maçonibus), Berardo
Nacque verosimilmente a Brescia, forse intorno al 1240-45, da Emanuele, il fondatore della potenza politica della famiglia, e da Cancellaria.
L'avvio alla carriera ecclesiastica del M. va collocato nella strategia della grande casata cui appartenne; nulla è noto della sua formazione (sono infondate le notizie di una cronaca familiare cinquecentesca circa un suo discorso contro Ezzelino da Romano alla presenza di Innocenzo IV). Le prime informazioni certe su di lui risalgono al 1270, quando risulta canonico della cattedrale di Brescia, come il fratello Alberto, e compare come testimone a un atto del vescovo Martino da Gavardo. I canonicati concessi ai due giovani esponenti della famiglia Maggi ricompensavano forse l'appoggio che la grande casata aveva dato al vescovo, cui Oberto Fontana, sostenuto dal marchese Uberto Pallavicino, contrastava la carica. Al fianco di Martino il M. compare nuovamente nel novembre 1272 a Bagnolo, ove il presule ricevette il giuramento di fedeltà dei vassalli, e ancora nel 1273 e nel 1274, in atti di governo ecclesiastico concernenti ospedali e pievi. Giunse dunque all'elezione episcopale il 21 sett. 1275 (Martino da Gavardo era morto il 12 settembre), già con un discreto bagaglio di esperienza.
L'elezione avvenne con la partecipazione corale, ma anche gerarchicamente ordinata, di tutte le componenti della Chiesa locale: canonici, clero regolare, abati e prepositi dei principali monasteri e delle canoniche cittadine, rettori delle parrocchie. Fu scelta la procedura elettorale per compromissum e il collegio elettorale fu composto da due canonici, due abati, due prepositi. La consacrazione avvenne probabilmente qualche mese più tardi (per mano di Guiscardo Suardi vescovo di Bergamo), ma nell'ottobre-novembre il M. già governava la Chiesa da electus.
Quell'attitudine a far sintesi - grazie anche alla collaborazione degli altri membri della sua potente casata - tra gli interessi della Chiesa locale e della città, che doveva caratterizzare il suo quasi trentennale episcopato, non apparve subito evidente nelle scelte di governo del M.; egli dedicò inizialmente le sue energie a riordinare il patrimonio della Chiesa vescovile e ad assumerne il pieno controllo.
L'operazione, che ebbe importanti risvolti sul piano documentario (comportando la redazione di una cospicua serie di registri), interessò dapprima le curtes vescovili di Bagnolo Mella e di Gavardo, oltre che il territorio gardesano, ma si rivolse poi anche alle altre aree del territorio. Un'importanza ancora maggiore ebbe il rinnovo delle investiture feudali, effettuato talvolta in loco (come a Maderno, sul Garda, nel 1279) e documentato da accurati registri della Cancelleria episcopale. In questa azione tenacemente perseguita il M. non dimenticò di consolidare le posizioni economiche della propria famiglia: nel 1282, per esempio, investì due suoi fratelli, Maffeo e Federico, dei beni già appartenuti alla potente casata dei Martinengo (a Rudiano) e di alcune quote delle decime di Asola.
Negli stessi anni, a partire dal 1277, il M. si trovò a gestire una delicata controversia con il Comune cittadino in ordine alle decime, sulle quali il Comune, come altrove, aveva rivendicato una esclusiva competenza giurisdizionale. La questione durò diversi anni e, dopo una prima provvisoria soluzione raggiunta con un compromesso nel 1281, si riacutizzò nel 1282 a seguito di un intervento di papa Martino IV. Il M. fu in grado, in questa occasione, di mediare con notevole abilità: dichiarò esplicitamente di esser disposto a fare "super negocio decimarum [(] totum id quod placeret comuni Brixie si id facere possit" (Archetti, p. 103 n. 142). Nel complesso la polemica si mantenne "entro livelli di reciproca tolleranza" (p. 109), per trovare poi una definitiva soluzione nel 1283 con l'abrogazione degli statuti "contra libertatem ecclesie". Indubbiamente il prestigio del M. ne uscì consolidato, sia all'interno sia all'esterno: non a caso Martino IV lo incaricò nel 1283 di intervenire presso il Comune di Como in difesa delle prerogative ecclesiastiche.
Un secondo ambito nel quale il M. sin dall'inizio si impegnò con costanza e con buoni risultati, rivendicando le prerogative dell'episcopio e combattendo autonomie e speciali prerogative, fu quello del governo delle istituzioni ecclesiastiche. Fra il 1277 e il 1288 sostenne una lunga lite con le Comunità umiliate - numerose e potenti, e forti di privilegi papali - della diocesi, in particolare con la domus suburbana di Contegnaga (i cui fratres erano incaricati di funzioni pubbliche da parte del Comune di Brescia). L'azione pastorale del M. si articolò poi, nei decenni successivi, in altre e importanti direzioni: la ricostruzione o il restauro di edifici di culto e il ripristino della disciplina e del decoro (come nel caso della chiesa di S. Stefano "in medio lupanaris publici"), il potenziamento del numero dei canonici della cattedrale e il controllo dell'importo delle prebende, il favore concesso agli Ordini mendicanti (in particolare agli eremitani di s. Agostino, da lui insediati in Brescia nella chiesa di S. Barnaba), lo spostamento in città di alcune comunità religiose. Il M. convocò inoltre un sinodo diocesano (1291) per rafforzare la disciplina ecclesiastica e confermare la legislazione di Alberto Guala e di Martino, suoi predecessori; nel quadro delle strette relazioni con i Visconti di Milano e in particolare con Ottone, come lui "princeps et praesul", partecipò ai sinodi della provincia ecclesiastica milanese (settembre 1287; 27 nov. 1291) convocati dall'arcivescovo, prevalendo costantemente nel contrasto per la precedenza sul tradizionale rivale, il vescovo di Vercelli.
Partendo da queste premesse e usufruendo anche del "valore aggiunto" di una consorteria familiare ricca, potente, sostanzialmente concorde, capace di esprimere considerevoli competenze politico-amministrative (in particolare con Maffeo, fratello del M., ma anche con Bertolino e Guglielmo), negli anni Ottanta e Novanta il M. raggiunse gradatamente una posizione di grande autorevolezza in città, anche sotto il profilo strettamente politico.
L'eclissi della dominazione angioina era stata accompagnata, a Brescia, da notevoli difficoltà nel controllo del territorio, sia nella zona dell'alto Garda al confine con il principato vescovile di Trento (1283-84), sia soprattutto, negli anni successivi (1288-94) in Valcamonica. Qui la ribellione, sostenuta dalla famiglia ghibellina dei Federici, fu domata soltanto con l'intervento non disinteressato di Matteo Visconti, cui il M. e la sua famiglia erano strettamente legati (già nel 1283 il Comune bresciano, rappresentato da un Maggi, aveva aderito con Milano, Cremona, Modena e Piacenza alla lega contro il marchese di Monferrato e i Della Torre). Si manifestarono inoltre evidenti difficoltà da parte degli enti ecclesiastici cittadini a svolgere le funzioni giurisdizionali. In più occasioni il M. svolse in prima persona una "funzione di mediazione ad altissimo livello" (Archetti, p. 191): così accadde per esempio per il contrasto fra il monastero di S. Pietro in Monte di Serle e le Comunità di Nuvolento e Vallio (1285-86 e 1294). L'azione dispiegata dal M. riguardo al controllo del territorio fu efficacemente riassunta dal cronista bresciano Malvezzi con la frase "universas terras ad ius petendum in palatium populi Brixiae venire compulit" (col. 962). Prova del suo prestigio è l'assunzione nei documenti prodotti dalla Cancelleria vescovile - a partire dal 1290-91 e poi sistematicamente dal 1293 - dei titoli di duca (di Valcamonica), marchese (di Toscolano) e conte (di Bagnolo).
Nell'ultimo decennio del secolo, dunque, il M. apparve progressivamente in grado di rispondere alle esigenze di ordine e di conciliazione di una società cittadina profondamente divisa al proprio interno (sono cinque le fazioni riconoscibili nel ceto dirigente bresciano dell'epoca). Nel 1298 Tebaldo Brusati, esponente della parte guelfa dominante, promosse il richiamo dei fuorusciti e una generale pacificazione cittadina, individuando lo strumento più adatto nel formale conferimento al M., "amicabilis compositor", dell'"arbitrium constringendi" alla pace. La deliberazione fu assunta dal Consiglio generale in una configurazione di massima rappresentatività (con la parte guelfa, gli anziani del popolo, i consoli dei mercanti e dei paratici, i rappresentanti dei quartieri, i notai e i giudici) il 5 e il 6 marzo, e fu il Brusati stesso (pur officiato dai concittadini ad assumere lui la signoria) a indicare il M. come rector. La "sententia sanctissime pacis Dei" fu promulgata formalmente dal vescovo il 25 marzo.
L'esperienza non era del tutto nuova, nella storia del Comune bresciano: di fronte alla minaccia di Ezzelino (III) anche il vescovo Cavalcano era stato designato, qualche decennio prima, come "potestas et rector". A comprova della serietà del tentativo di creare un balance of power tra le fazioni cittadine, va sottolineata la chiamata alla podesteria bresciana, in quel medesimo 1298 e nel 1299, di due guelfi di provata fede come i fiorentini Manetto Scali e Lapo Saltarelli, cui si aggiunse il capitano del Popolo Nastagio Bardi. Poche settimane dopo l'assunzione della signoria, la nuova posizione del M. fu sancita da un'importante iniziativa urbanistica, di evidente impatto in termini di immagine (e non a caso Malvezzi, col. 962, insiste in un apposito capitolo sul "commodum et ornatus brixiensis civitatis" perseguito dal M.): il 13 apr. 1298 egli ottenne da Bonifacio VIII il permesso di demolire l'antica chiesa e monastero benedettino femminile dei Ss. Cosma e Damiano, spostato in zona periferica, allo scopo di ampliare la piazza del broletto e della cattedrale. Si provvide anche a una revisione degli statuti e, secondo Ferreti, il M. avrebbe provveduto anche alla ricostruzione della cerchia muraria cittadina, ma la notizia non è certa. Certo è invece il rilievo notevolissimo di altri lavori pubblici dovuti all'impulso del M., come la sistemazione del naviglio derivato dal fiume Chiese e la derivazione dal fiume Mella di due corsi d'acqua artificiali, con benefici influssi sull'attività manifatturiera in città e sull'agricoltura. Negli anni successivi non mancarono altre iniziative in ambito ecclesiastico (la creazione nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso di una collegiata, il controllo dei monasteri cittadini), civile (arbitrati tra istituzioni ecclesiastiche e comunità rurali), patrimoniale (la riorganizzazione della corte di Roccafranca, dei possessi di Valcamonica e di Gavardo). Nello stesso periodo, a conferma di un riconosciuto prestigio, il M. svolse anche opera di mediazione tra i Comuni di Bergamo e Milano (1301) e tra le fazioni bergamasche (1302).
Nel difficile equilibrio di conciliazione assicurato dal M. in questi primi cinque anni di governo (1298-1303), le radici sociali e politiche del partito guelfo bresciano non erano tuttavia state recise e le tendenze accentratrici del M. non potevano non creare malcontenti. Nel 1302 il ribaltamento della situazione politica a Milano con la cacciata dei Visconti e il sopravvento dei Della Torre, ai quali si appoggiò Tebaldo Brusati, mise dunque in crisi gli equilibri politici bresciani. Si inaugurò anche a Brescia - come già a Bergamo e a Como - uno schema binario di schieramenti di fazione a livello regionale, imperniato su Milano, destinato a durare lunghissimo tempo: all'asse Brusati - Della Torre si contrappose dunque l'asse Maggi - Visconti. Lo scontro si radicalizzò e il M. espulse da Brescia Tebaldo Brusati e i suoi sostenitori (1303).
La decisione fu presa dal M., ricorda Malvezzi (col. 963), "convocatis senioribus cognationis sue": un particolare rivelatore dell'importanza grande che ebbe sempre, per l'operato del M., l'appoggio della consorteria Maggi. Anche il criterio per identificare gli espulsi, d'altronde, fu la "consanguineitas et amicitia" con Brusati.
Il M. riuscì comunque, nello stesso anno, a farsi riconfermare signore per un altro quinquennio. Ma negli anni successivi dovette, sul piano militare, contrastare le azioni di guerra promosse dai fuorusciti (nella Gardesana, a Ghedi, in Valcamonica) e sul piano politico adottare nuove strategie. Vanno lette in questa chiave l'alleanza matrimoniale con i da Correggio (luglio 1304), l'alleanza con le città ghibelline (Verona, Mantova e Cremona: 1306) e l'accordo con Milano (maggio 1308). Abbandonata la politica di conciliazione, il M. si era orientato progressivamente verso una politica di parte ("ad partem Gibellinorum se contulit", secondo Malvezzi). Tuttavia, la robustezza del patrimonio episcopale da sempre attentamente curato, l'appoggio concorde dei sostenitori, il credito acquisito presso la cittadinanza bresciana negli anni del suo episcopato consentirono alla famiglia del M. di affrontare con successo, pochi mesi dopo, la prova più difficile per ogni regime signorile o criptosignorile, quella della successione.
Il M. morì infatti a Brescia il 16 ott. 1308, disponendo nel suo testamento pii legati alla chiesa familiare di S. Giovanni de Foris.
Venne sepolto nel duomo vecchio, ove gli fu eretto (per probabile volontà del fratello e successore Maffeo, piuttosto che del defunto, come pure una parte della critica ha opinato) un sepolcro marmoreo che ne celebra le virtù di uomo di Chiesa e di pacificatore civico, riproducendo la conciliazione del 1298, che venne raffigurata pure, con non minore impegno celebrativo, in un grande affresco del broletto.
Nel giudizio degli storici contemporanei sul M. non stupisce la menzione, presente in moltissime cronache, dell'evento del 1298, che colpisce per la sua eccezionalità. Dai cronisti che danno valutazioni più articolate, le doti del M. sono concordemente riconosciute. Ferreti lo definisce "presul gloriosus" e "vir eque prudens et nobilis", che "patriam suam privatim ac publice gubernabat", smorzando con l'appoggio del popolo il potere della nobiltà. A suo merito, il cronista vicentino riconosce inoltre la pratica della giustizia, una certa lealtà e sobrietà di vita e in definitiva l'accortezza politica: "iusticie enimvero pius cultor fuit, non severus, fidei servator, cunctis benignus, et in re faciunda cautus provisor; sobrius ac parcus satis, parcialis multum et in proposito tenax". Non dissimile il giudizio di Malvezzi: "vir magnanimus grandisque prudentie", oltre che "venerabilis pastor" (col. 962). L'uno e l'altro autore ne sottolineano, peraltro, anche l'ambizione e l'inevitabile collocazione di parte.
Fonti e Bibl.: G. Malvezzi, Chronicon Brixianum ab origine urbis, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XIV, Mediolani 1729, col. 961 s.; Chronicon Parmense, a cura di G. Bonazzi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., IX, 9, pp. 95, 111; Annales Veronenses de Romano, in Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, p. 452; F. Ferreti, Historia rerum in Italia gestarum, a cura di C. Cipolla, Roma 1908, I, ad ind.; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo di Milano ne' secoli bassi, Milano 1854-57, IV, pp. 702, 740; F. Odorici, Storie bresciane, Brescia 1855-71, VI, pp. 213 s., 242, 259 s., 263 s.; A. Beltrami, B. M. e la trasformazione del Comune di Brescia in signoria, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1884, pp. 84-93; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia descritti per regioni. La Lombardia, I, 2, Bergamo 1929, pp. 262-266; A. Reggio, Le utenze irrigue dal Chiese, dal Mella e dall'Oglio nella storia del diritto, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1924, pp. 133 s.; G. Nicodemi, L'arca di B. M. nel duomo di Brescia, in Dedalo, V (1924), pp. 147-155; H. Schullern von Schrattenhofen, Cenni sulla nobile famiglia Maggi di Brescia, in Rivista araldica, XXVI (1928), pp. 245-249; G. Panazza, Affreschi medioevali nel broletto di Brescia, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1946-47, pp. 21, 23; A. Bosisio, Il Comune, in Storia di Brescia, I, Brescia 1963, pp. 688, 690; C. Violante, La Chiesa bresciana nel Medioevo, ibid., pp. 1092-1098; P. Guerrini, I titoli araldici della sede vescovile di Brescia [1934], in Id., Pagine sparse, III, Brescia 1984, p. 176; I. Bonini Valetti, La Chiesa bresciana dalle origini agli inizi del dominio veneziano: istituzioni e strutture, in Diocesi di Brescia, Brescia-Varese 1992, pp. 52-55; G. Archetti, B. M. vescovo e signore di Brescia, Brescia 1994 (con l'indicazione completa delle fonti e della bibliografia); M. Gargiulo, Pace e guerra negli affreschi medievali dei palazzi pubblici in Italia settentrionale: fra ideologia laica e affermazione del libero Comune, in Pace e guerra nel Basso Medioevo. Atti del XL Convegno storico internazionale, Todi, 2003, Spoleto 2004, pp. 365-367; M. Rossi, L'immagine della Pace nel monumento funerario di B. M., vescovo e signore di Brescia, in Medioevo: immagini e ideologie. Atti del Convegno internazionale di studi, Parma, 2002, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2005, pp. 588-596.