CELANO, Berardo di (Berardus de Laureto)
Nacque a Loreto nei primi anni del sec. XIII; in quanto figlio di Berardo conte di Loreto e di Conversano e di Maria, figlia di Gozzelino conte di Loreto e nipote di re Ruggero II, il C. era pronipote del primo re di Sicilia.
Nei documenti della madre, ma anche in quelli emanati da lui stesso, è chiamato di solito secondo il luogo d'origine "de Laureto"; ma è fuori dubbio che egli appartenesse a un ramo collaterale della famiglia Celano e quindi dei conti della Marsica, visto che il nonno Ruggero portava questo nome e che anche il padre Berardo risulta cugino del conte Pietro di Celano.
Nacque probabilmente intorno al 1203, dato che dopo la morte del padre avvenuta nel 1207 fu insediata un'amministrazione tutelare nei feudi che facevano parte della sua eredità e che egli stesso solo nel 1218 chiese di essere infeudato dei beni paterni.
Il C. passò l'infanzia e l'adolescenza alla corte della madre, la quale dopo un breve secondo matrimonio con il marchese Azzo VI d'Este morto nel novembre 1212, fece ritorno a Loreto, dove stabilì in un primo momento la sua residenza per trasferirsi più tardi a Città Sant'Angelo, dove morì tra il 1230 e il 1236. Il C. è ricordato nel settembre 1210 e poi nell'aprile e nel maggio 1214, sempre al seguito della madre, impegnata a continuare l'attività di patronato del defunto marito nei confronti dei monasteri di S. Maria di Casanova e S. Maria di Picciano.
Quando con un diploma emanato nel gennaio 1218 a Spira, Federico II riconfermò al C. le contee di Loreto e di Conversano e nello stesso tempo anche una grande donazione di Enrico VI, riservò alla contessa Maria tre località nella contea di Loreto; il C. assegnò poi alla madre Città Sant'Angelo, Colle Corvino e Moscufo.
Tuttavia nei primi tempi la sua successione nelle contee deve aver incontrato ostacoli, nonostante la sanzione regia. Infatti, quando nel luglio del 1219, riprendendo la tradizione dei genitori, il C. rilasciò un privilegio a favore dei cisterciensi di Casanova si qualificò come "Berardus de Laureto quondam domini Berardi Laureti et Cupersani comitis... filius", menzionando nello stesso documento anche il "demanium comitatus nostri Laureti". Nell'aprile del 1220 troviamo come conte di Conversano Ruggero de Pescina, il quale nel 1207 aveva esercitato le funzioni di vicario della contea e pare esserne stato infeudato più tardi dal re Federico II; del resto nel 1219 aveva concesso la contea di Conversano anche al suo valletto Andrea Lupino, la cui famiglia aveva tenuto la contea fino al 1197. I diritti di Andrea furono confermati anche dopo la Dieta di Capua, cosicché il C. riuscì a far valere i suoi diritti solo a Loreto. Ma dopo la morte di Ruggero de Pescina, gli fu concessa in feudo anche la città di Lavello. Come conte di Loreto il C. partecipò nel dicembre 1231 alla Dieta tenuta da Federico II a Ravenna ed accompagnò l'imperatore nel marzo del 1232 anche a Venezia. Nell'aprile del 1235, a Loreto, si impegnò a conservare alla locale chiesa collegiata di S. Pietro il possesso della chiesa di S. Giovenale.
Verso la fine del 1238 Federico II nominò il C., che ancora nel novembre si trovava al seguito dell'imperatore a Cremona, vicario generale nel regno di Arles e Vienne: la nomina rientrava nel quadro di una generale, riorganizzazione dell'amministrazione imperiale in Borgogna. Riuniti in Parlamento, i cittadini di Arles il 4 dic. 1238 prestarono al C. il giuramento di fedeltà a Federico II, nonostante che l'arcivescovo Giovanni di Arles si fosse inizialmente opposto a un legame così stretto dei cittadini con l'imperatore e avesse dato il suo consenso solo dopo aver ottenuto che nel testo del giuramento fosse inserita una riserva riguardante la Chiesa di Arles e le libertà della nobiltà e dei cittadini arlesiani. Secondo le istruzioni dell'imperatore il C. nei mesi successivi cercò di indurre i cittadini di Grénoble e di Saint-Donat e i nobili della diocesi di Embrun a pagare ai loro vescovi i contributi necessari per il servizio imperiale in Lombardia. Inizialmente il C. risiedette ad Arles, dove assistette il 4 gennaio del 1239 anche all'infeudazione di Barral de Baux da parte dell'arcivescovo Giovanni. Ma dopo la scomunica dell'imperatore nel marzo 1239 l'atmosfera cambiò, tanto più che probabilmente neanche in precedenza i rapporti del C. con l'arcivescovo erano stati dei più cordiali. L'arcivescovo abbandonò la città lanciando pene ecclesiastiche contro coloro che avevano occupato i beni della Chiesa; tra essi era compreso indubbiamente anche il Celano. All'inizio dell'estate 1239 il C., che pare non abbia saputo districarsi bene nella complessa struttura politica del Meridione francese, ricevette ad Arles, con tutti gli onori, il conte Raimondo Berengario di Provenza, ma in seguito cadde vittima di questa sua ingenuità politica. Accordatosi con l'arcivescovo, l'alto clero e i cittadini, il conte di Provenza in breve tempo riuscì a cacciare il Celano. Raimondo Berengario il 24 luglio 1239 sigillò l'alleanza così fruttuosa giurando fedeltà all'arcivescovo e ai cittadini di Arles, mentre il C., che nel luglio si era precipitato alla corte dell'imperatore a Verona, era costretto a ritirarsi ad Avignone, dove i cittadini erano pronti a combattere, insieme con lui, contro il conte di Provenza.
Tuttavia i cittadini di Avignone col tempo accusarono il C. di malgoverno, cosicché i seguaci della Chiesa approfittarono della turbolenta situazione per organizzare una rivolta armata, che il C. non sarebbe riuscito a stroncare, se non gli fosse venuto in aiuto il conte Raimondo VII di Tolosa assumendo l'ufficio di podestà. Nella primavera del 1240 la nuova alleanza politica dette i primi frutti: sotto la guida del C. e del conte Raimondo iniziò una controffensiva del partito imperiale che aveva l'appoggio di molti nobili provenzali e che portò all'accerchiamento di Arles. Ma, nonostante questi successi le forze imperiali furono vinte dalle scomuniche vescovili, dall'intervento del rappresentante pontificio Zoen Tencararii, dalle truppe mandate nel meridione dal re di Francia Luigi IX. Visto che nel corso di quei conflitti l'iniziativa politica era passata sempre di più al conte di Tolosa e, che durante tutto il suo vicariato il C. aveva potuto registrare solo scarsi successi, l'imperatore lo richiamò nell'estate del 1240. Il suo successore nel vicariato, Gualtieri di Pagliara conte di Manoppello, è ricordato per la prima volta in questa carica il 5 ag. 1240 a Gap, pochi giorni più tardi ad Avignone. Negli anni successivi non sembra che l'imperatore assegnasse al C. altre cariche: allude forse ad una ambasceria del C. a Pavia un salvacondotto per un conte di Loreto e un giudice della corte tramandatoci nella raccolta delle lettere di Pier delle Vigne.
Il C. è ricordato, per l'ultima volta, nel campo imperiale davanti a Parma nel giugno del 1248. Secondo una notizia riportata dal Chronicon Lauretanum, l'anno successivo il C. sarebbe stato incarcerato in base ad una falsa accusa e giustiziato per ordine dell'imperatore; ma nulla sappiamo dei retroscena di questa vicenda.
Il C. non lasciò eredi. Visto che anche suo fratello Ruggero, ricordato nel 1210, nel 1214 era già morto, la contea di Loreto fu rivendicata dopo la sua morte da Stefano, figlio della sorellastra Beatrice d'Este e del re Andrea II d'Ungheria, da Tommaso d'Aquino conte di Acerra e da Federico d'Antiochia. La controversia fu risolta dai re Corrado IV e Manfredi a favore di quest'ultimo e di suo figlio Corrado.
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