CELANO, Berardo di (Berardus comes Laureti et Cupersani)
Nacque intorno all'anno 1165 dal nobile abruzzese Ruggero e da Alfereda. Il padre apparteneva ad una linea collaterale della famiglia: il C. risulta infatti cugino del conte Pietro di Celano. Ancora al tempo del regno di Guglielmo II il C. sposò Maria, figlia del conte Gozzelino di Loreto, la quale, per via della madre Adelicia, era nipote di re Ruggero II. Con questo matrimonio il C. non solo si imparentò con la casa regnante, ma entrò anche nella cerchia della nobiltà comitale del Regno: dopo la morte del suocero, avvenuta molto probabilmente nel 1189-90 durante l'assedio di San Giovanni di Acri, fu investito della contea di Loreto, nonostante che Gozzelino lasciasse due figli maschi, Terrisio e Bonavita, che gli sopravvissero. La contea comprendeva, oltre alla città più importante - Loreto - anche Città Sant'Angelo, Colle Corvino, Moscufo e altre località presso Penne.
Come la maggior parte dei nobili abruzzesi, il C. dopo la morte di Guglielmo sostenne i diritti di Costanza e di Enrico VI alla successione del Regno.
Figura infatti tra i sette conti ricordati come testimoni nel grande privilegio di Enrico VI per l'abate Roffrido di Montecassino rilasciato ad Acerra. Dopo il fallimento della prima invasione del Regno da parte di Enrico VI, il C. pare abbia riconosciuto temporaneamente il re Tancredi. Nell'agosto 1192 fu investito a Chieti dal vescovo Bartolomeo del castello di Montesilvano, feudo di quella Chiesa. Nello stesso mese, in conseguenza della querela mossa dall'abate Boamondo di S. Bartolomeo di Carpineto, Celestino III nominò due giudici delegati con l'incarico di indagare sulle accuse contro il C. e la moglie, avanzate inutilmente già al tempo di Clemente III, di essersi appropriati di beni e terre appartenenti al monastero di S. Maria del Piano. Quando nell'anno successivo il legato di Enrico VI, Bertoldo di Künsberg, iniziò dal Molise una nuova offensiva contro il Regno conquistando gran parte dell'Abruzzo per l'imperatore, il C. entrò direttamente in contatto con il legato, dandogli in sposa la propria sorella, vedova del conte Roberto di Caserta morto nel 1183. Il matrimonio ebbe però breve durata, visto che Bertoldo morì già nello stesso anno.
Quando Enrico VI, dopo l'incoronazione a Palermo, tornò al Nord, passando dalla Puglia e dall'Abruzzo, il C. si presentò due volte alla sua corte, il 1º apr. 1195 a Trani e il 29 dello stesso mese ad Ortona; in tutt'e due le occasioni figura infatti come testimone nei diplomi imperiali. Negli anni successivi del regno di Enrico VI non si distinse particolarmente. L'imperatore comunque gli concesse ampie terre sulla costa adriatica nei pressi di Pescara.
Insieme con la moglie Maria, nel luglio del 1197 il C. fondò sulle sue terre il monastero di S. Maria di Casanova nella diocesi di Penne, che affidò ai cisterciensi dei SS. Vincenzo ed Anastasio vicino a Roma e dotò di beni particolarmente cospicui. Innocenzo III già nel marzo del 1198 accordò la protezione apostolica al nuovo monastero, il quale, grazie all'assidua assistenza da parte della famiglia dei fondatori, prese un rapido sviluppo.
Dopo la morte di Enrico VI il C. con il cugino Pietro conte di Celano fu uno dei primi in seno alla nobiltà ad appoggiare la politica dell'imperatrice Costanza: ottenne così in feudo la contea di Conversano, della quale faceva parte anche la signoria su alcune città, rimasta vacante già al tempo di Enrico VI in seguito all'alto tradimento del conte Ugo Lupino. Insieme a Pietro di Celano si assunse il compito di condurre il piccolo re Federico II, appena treenne, da Foligno, dove veniva allevato dalla moglie del duca Corrado di Spoleto, presso la madre a Palermo. Dopo la morte di Costanza gli fu conferito al più tardi nel 1199, l'ufficio di "magister iustitiarius Apulie et Terre Laboris", che esercitò inizialmente, fino al 1200, insieme col conte Iacopo di Tricarico, e poi nel 1201 insieme col conte Ruggero di Chieti e Pietro di Celano.
Promise ai rappresentanti pontifici, il cardinal prete Giovanni di S. Stefano in Celiomonte e il notaio pontificio Filippo, venuti nei primi mesi del 1199 a Montecassino e in Terra di Lavoro, di prestare il servizio militare, ma nello stesso tempo si impegnò pure a cessare le ostilità nei confronti dei conti Gentile e Manerio di Manoppello. Approfittò della sua autorità di gran giustiziere per ampliare la propria signoria. Infatti, dopo la morte, nel 1199, del fratello Oddo, vescovo di Penne, egli si fece prestare dal suo successore, nell'anno 1200, l'omaggio e il giuramento di fedeltà, sicuro indizio che intendeva incorporare nel suo dominio il vescovato dotato di diritti signorili sui castelli ed esente dall'autorità comitale. Innocenzo III, da un lato, nel 1200 rimproverò aspramente il vescovo di Penne per aver prestato il giuramento, ma dall'altro nell'agosto 1201 si rivolse al C. con la preghiera di tutelare i diritti di uno scrittore apostolico nel Regno. Nella sua qualità di conte di Conversano nel 1200 il C. concesse agli uomini del monastero di S. Benedetto in Monopoli residenti a Genna diritti di legnatico, di pascolo e sulle acque. Tuttavia nel 1200 la posizione del C. a Conversano non era incontestata: nel luglio 1200 anche Roberto de Biccaro, nominato da Enrico VI conte di Lecce, si intitolò conte di Conversano. Non pare comunque che sia riuscito ad impadronirsi, della città custodita nel marzo del 1201 da un castellano insediato dal C., Sansone de Guallano.
Dopo che negli anni tra il 1202 e il 1204 due nobili stranieri, i conti Gualtieri di Brienne e Iacopo di Andria, avevano esercitato in nome del papa il governo in Puglia e in Terra di Lavoro come capitani e maestri giustizieri, Innocenzo III, dopo il 1204, affidò questi uffici nuovamente a nobili del Regno; limitò però le loro competenze, visto che questi uffici erano coperti contemporaneamente da tre o quattro persone. Accanto ai maestri giustizieri Pietro di Celano (1204 e 1206), Iacopo di Tricarico (1205), Matteo Gentile di Lesina (1205-1206), anche il C. è ricordato in questa carica.
Come "magister iustitiarius Apulie et Terre Laboris" il 3 giugno 1205 ad Aterno nella sua curia decise in una controversia tra l'abate Ettore di S. Maria di Picciano e la vedova di un nobile abruzzese relativa a certi diritti di salina. Per l'anno 1206 mancano testimonianze atte a provare la continuità del C. in quest'ufficio, ma nel 1207 a Lavello, la signoria della quale, come quella di Molfetta e di Terlizzi, allora faceva parte della contea di Conversano, egli è ricordato di nuovo come capitano e maestro giustiziere. Con questo titolo nell'aprile di quell'anno consegnò alla badessa Gilia di S. Salvatore di Goleto presso Nusco la chiesa di S. Eustachio di Lavello con tutte le pertinenze, per la salute dell'anima sua e della sua famiglia.
Nel novembre del 1207 il C. risulta già defunto. Dato che il conte "Berardus de Oloritu" la cui morte è ricordata nel necrologio di Montecassino alla data del 9 maggio dev'essere identificato con il C., è possibile precisare la data della sua morte, il 9 maggio 1207.
Essendo gli eredi del C., Gerardo e Ruggero, ancora minorenni, la contea di Conversano, con le signorie di Molfetta e di Lavello, fu affidata all'amministrazione di un nipote del C., Ruggero di Pescina.
La vedova del C., Maria, intorno al 1211 si risposò con il marchese Azzo VI d'Este, morto già nel 1212, al quale dette una figlia, Beatrice, che diventò moglie del re Andrea II d'Ungheria. Quando suo figlio Berardo nel 1218 fu investito della contea di Loreto, Maria riservò per se stessa le signorie di Città Sant'Angelo, Colle Corvino e Moscufo. Morì tra il 1230 e il 1236. Dei due figli del C. e di Maria di Loreto, Ruggero e Berardo, solo quest'ultimo, morto nel 1249, raggiunse la maggiore età e come conte di Loreto raccolse l'eredità del padre.
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