BONGIOVANNI, Berardo
Nato a Roma da antica famiglia di origine recanatese, vi compì gli studi di diritto e di teologia. Il 4 marzo 1537 fu innalzato da Paolo III al vescovato di Camerino, già occupato da suo zio Antonio Giacomo. Dal settembre 1547 al febbraio dell'anno successivo partecipò al concilio di Trento; nella primavera del '50 collaborò alla restaurazione del dominio pontificio nelle Marche, in qualità di vicario del legato Ranuccio Farnese; il 3 apr. 1551 fu designato nunzio in Polonia, ma raggiunse nuovamente il concilio, cui presenziò dal novembre 1551 al febbraio 1552. Solo il 23 apr. 1560 Pio IV, in un breve a Sigismondo Augusto, annunciava l'invio del nunzio B., che ancora il 2 luglio veniva trattenuto a Vienna presso la corte imperiale.
Le istruzioni fornite al B. insistevano sui problemi che turbavano i rapporti fra la Curia e il re di Polonia. Anzitutto, su una questione giurisdizionale di vasta portata: innalzato da Sigismondo al vescovato di Włocławek, Jakub Uchański era in attesa della conferma pontificia; Pio IV non intendeva porre in dubbio il diritto reale di nomina, ma nel caso dell' Uchański, accusato di simpatie filoprotestanti, non era disposto alla ratifica. Quanto alla lotta contro l'eresia, il nunzio doveva porsi a capo del partito cattolico per contrastare gli eretici, fra i quali si nominavano i più pericolosi: Pier Paolo Vergerio, Andrzej Frycz Modrzewski, Jan Łaski, il ministro calvinista Stanisław Lutomirski, il greco di Corfù Francesco Lismanini, già confessore della regina Bona Sforza e provinciale dei francescani, e lo scrittore di cose politiche Stanisław Orzechowski, un sacerdote cattolico che aveva contratto matrimonio incorrendo nella scomunica, senza tuttavia mai aderire al partito riformatore. Si raccomandava di evitare ogni disputa religiosa e d'insistere sull'autorità assoluta del concifio tridentino, cui competevano tutte le decisioni in materia di fede; si riteneva opportuno, infine, rassicurare il sovrano sul benevolo atteggiamento del pontefice a proposito dei feudi di Puglia e Calabria, sui quali Sigismondo, figlio di Bona Sforza, vantava diritti di successione.
All'inizio della sua missione il B. assumeva un atteggiamento intransigente e risentito verso il re e la nobiltà polacca: lamentava, in certe sue Obiectiones contra Sigismundum ... Romam transmissae, che il re di Polonia mantenesse rapporti con gli acattolici affidando loro incarichi di grande rilievo; tollerasse la libera circolazione dei libri proibiti, la predicazione e l'associazione degli eretici; fosse legato da vincoli di amicizia col palatino di Vilna Mikolaj Radziwiłł; concedesse uffici e feudi a italiani esuli per motivi di religione. Il vescovo di Camerino, infine, deplorava l'estrema libertà della classe nobiliare, nella quale ravvisava l'origine e il fondamento dell'eresia. Ma ben presto la conoscenza diretta che egli aveva della situazione polacca lo induceva a modificare profondamente la sua linea di condotta; si rendeva conto, infatti, che per salvare le sorti del cattolicesimo nel regno era indispensabile procedere con estrema cautela: "Usar destrezza e clementia con li vacillanti e riabbraciare quelli che tornano, senza usare rigore et irritare; desidero anco sapere - proseguiva - se non dispiaceria a Sua Beatitudine che in quelle persone che possono assai giovare alla religione se concedi qualcosa che non se farebbe ordinariamente". Era cosciente che questo suo nuovo atteggiamento avrebbe incontrato l'opposizione di alcuni elementi della Curia.
Il B., dunque, coerente con queste sue convinzioni, il 17 ag. 1560 concesse il perdono senza pubblica ritrattazione a un francescano italiano, Giulio Maresio da Belluno, che, indotto in errore dal Lismanini, aveva trascorso un anno intero presso i calvinisti svizzeri, per tornare poi al suo convento di Cracovia. Si adoperò quindi per la conferma dell'Uchański al vescovato di Włoclawek, che giunse da Roma il 2 giugno 1561; quando poi, resasi vacante la sede arcivescovile di Gniezno il re vi nominò appunto l'Uchański, ancora una volta egli intervenne con successo presso il pontefice, che fece pervenire la ratifica il 31 ag. 1562. Tale azione del nunzio suscitò in campo cattolico perplessità e disapprovazione; d'altra parte gli evangelici polacchi riconobbero amaramente il successo riportato dal B. - il nunzio dell'Anticristo, come si espresse il Lutomirski -, che era riuscito a troncare i legami fra i riformati e l'Uchański, ormai influente primate di Polonia.
Questa maturazione nelle vedute del nunzio era notata acutamente dal vescovo di Knin Andrea Dudith-Sbardellati, portavoce a Trento di Massimiliano II d'Asburgo: nella sua orazione al concilio del 5 sett. 1562, che perorava la concessione del calice ai laici, il diplomatico umanista, già largamente penetrato dagli ideali di riforma, citava la favorevole opinione del vescovo di Camerino: "Ille quoque antea minime expedire censebat, ut calix concederetur; nunc vero nihil magis expedire ait, immo vero affirmat, exiguas Catholicorum reliquias non alia ratione in fide et S.R.E. oboedientia retineri posse" (Conc.Trid., VIII, pp. 869 s.).
Nell'aprile 1561 si tenne a Władysław, per iniziativa del nunzio, un sinodo del clero cattofico, dove si trattò la riforma dei costumi, l'incremento dell'istruzione ai laici e agli ecclesiastici presso le scuole vescovili, la lotta contro l'eresia. Il progetto d'introduzione dei gesuiti suscitò vive opposizioni; sempre in quell'occasione il nunzio pose il problema della partecipazione polacca al concilio di Trento: ma i vescovi esitavano ad abbandonare le loro diocesi e il loro paese. L'ultima sessione si chiuse con un intervento dell'Orzechowski, ammesso al sinodo dopo che il nunzio aveva sospeso la scomunica; egli va tollerato, riferiva il B., "perché oltre allo scriver continuamente contro la dottrina degli heretici, è di continuo con loro alle mani, né è in questo regno altro che li travagli più di lui, e con la sua authorità ritrae da loro molti nobili" (Theiner, II, p. 660). Dal canto suo l'Orzechowski corrispose alle aspettative del nunzio, dando alle stampe negli anni immediatamente successivi le sue opere maggiori, concepite nello spirito della teocrazia cattolica più radicale.
Sigismondo Augusto aveva accettato senza sollevare obiezioni la bolla del concilio presentatagli dal Bongiovanni. Quanto alla partecipazione del clero polacco, insisteva che i vescovi non potevano abbandonare il regno per lungo tempo, poiché era necessaria la loro presenza alle diete, dove godevano del diritto di voto. Si adottò allora l'espediente di sostituire i vescovi con due abati, di cui uno raggiunse effettivamente Trento il 12 nov. 1561, mentre il secondo, nonostante le insistenze del nunzio, non partì mai. Ancora per un anno fu differita la partenza dei vescovi e dell'ambasciatore laico.
La guerra con la Moscovia e la conseguente assenza del sovrano dal regno intervennero a ritardare quei provvedimenti in favore della causa cattolica che il re, a giudizio del vescovo di Camerino, aveva in animo di eseguire. Contemporaneamente sopravvennero nuovi e inattesi motivi di tensione e di attrito fra la Curia e il re di Polonia. Proprio mentre era in corso la guerra di Moscovia, a Roma si pensò d'inviare uno speciale legato al granduca russo per convincerlo a farsi rappresentare al concilio, come già era avvenuto a Firenze. Ma l'inviato papale, Gian Francesco Cannobio, nel recarsi a Cracovia, donde poi progettava di passare in Moscovia, s'era trattenuto lungamente a Vienna, ricevendo alla corte imperiale approvazione ed incoraggiamento. Dietro queste trattative con Mosca Sigismondo Augusto avvertì il pericolo di un accostamento fra l'imperatore e il granduca: subito il B. segnalò gli inconvenienti di quest'azione, dichiarandosi convinto che "era meglio mantener Pollonia fermo che metterlo in dubio per el Greco, che dodeci volte havea mancato alla Chiesa romana" (ibid., p. 664).
Qualcosa, certo, si preparava ai danni del Jagellone al fine di allacciare buoni rapporti con Mosca, se il nunzio stesso nei suoi dispacci scongiurava la Curia di non compromettersi col granduca, offrendogli vantaggi territoriali sul Baltico: ciò rischiava di provocare un'aspra reazione di Sigismondo Augusto, il quale si sarebbe forse staccato da Roma, seguendo l'esempio di altri principi cui era legato da intese politiche e vincoli di parentela, come i SzápoIyai di Transilvania. È sicuro, comunque, che il Cannobio manteneva contatti con l'ambasciatore asburgico a Vilna, che furono svelati dagli informatori del palatino Radziwiłł; il quale non esitava ad affermare che tutta la pratica del Cannobio era stata architettata a Vienna, influenzando profondamente l'atteggiamento del re verso il pontefice. Anche il vescovo di Varmia Stanislao Osio, il cui parere negli affari dell'Europa settentrionale e orientale era assai autorevole in Curia, condivideva lo scetticismo del B. sulle prospettive della missione del Cannobio: e in effetti questi non ottenne dai Polacchi l'indispensabile lasciapassare, rinunciò a varcare le frontiere e finì per ammettere, in un dispaccio del 13 ag. 1561 al segretario di stato, il suo completo fallimento.
Inoltre il nunzio, secondo le istruzioni ricevute, dovette prospettare al sovrano le pretese avanzate dal pontefice sulla Livonia: il punto di vista della Curia, inopportuno anche se giuridicamente fondato, era infatti che l'arcivescovo di Riga e il gran maestro dell'Ordine di Livonia non avevano facoltà di cedere al re di Polonia quelle terre, che, appartenendo a un ordine religioso, cadevano sotto la giurisdizione di Roma. Il B. sollecitava anche il pagamento del denaro di S. Pietro, mentre il sovrano obiettava che la guerra con i Moscoviti scismatici era un'impresa onerosa in favore della fede, tale da giustificare e anzi da richiedere la rinuncia del pontefice alle somme di sua competenza.
Il nunzio non perdeva di vista le questioni ecclesiastiche e religiose: informato dal vescovo di Cracovia che cattolici e protestanti intendevano raggiungere una piattaforma di concordia in politicis, accarezzando l'idea di un concilio nazionale, egli spiegava tutta la sua abilità e autorità per dissuaderne i fautori. Ma, data la situazione generale, la nunziatura del B. non poteva realizzare risultati di grande rilievo. Il sovrano, tornato a Cracovia dopo lunga assenza, deluse le speranze dei cattolici, evitando posizioni troppo nette: "ha voluto dare pastura - commentava il nunzio - a l'una et l'altra parte" (ibid., p. 684). Per la restaurazione del cattolicesimo egli riteneva necessario che si restituisse ai vescovi la giurisdizione sui riformati, che la Chiesa fosse reintegrata nei beni confiscati, che le cariche di rilievo andassero in futuro ai soli cattolici. Formulava inoltre il progetto di bandire dal regno tutti gli stranieri eretici, nominando espressamente gli italiani Giorgio Biandrata e Gian Paolo Alciati, allora attivi nel regno; ma questo piano sarà realizzato solo dal suo successore, con l'editto di Parczów del 1564.
Così, nessuno di questi obiettivi fu raggiunto durante la nunziatura del vescovo di Camerino: alla dieta di Piotrków, nel nov. 1563, il sovrano fu largo di promesse ma assai avaro di concessioni, allegando continuamente i limiti imposti al suo potere dalle tradizionali libertà nobiliari. È verosimile, quindi, che a Roma si pensasse di richiamare il B., che dal canto suo già accusava il disagio di tre inverni passati in Polonia, esprimendo il desiderio di rientrare al più presto.
Nell'estate del '63 il card. Morone attendeva a Trento l'arrivo del B.; era stato designato a succedergli Francesco Commendone, già nunzio a Venezia. Quando, nel settembre, il vescovo di Camerino giunse a Trento, riferì al concilio quanto gli aveva detto Sigismondo all'atto del congedo, che cioè era superfluo l'invio di un nuovo nunzio, giacché la prossima dieta avrebbe trattato di questioni militari e non religiose; ma posio non era di questo avviso e fu deciso pertanto l'invio del Commendone. Le idee del B. sulle condizioni polacche e sullo stato del cattolicesimo in quel paese sono riflesse in una informazione, senza indicazione di autore né di data, pubblicata dal Wierzbowski, che però la riferisce al 1560 e la ritiene un'istruzione per il nunzio redatta negli ambienti della Curia. "Non deve il nunzio ricusare alle volte la conversazione di alcuno heretico senatore, né potrà fare di meno che ancora alle volte si trovarà a mense, dove ne sarà alcuno, et in altri luoghi; non deve mai in publico disputare con loro, ma con piacevolezza dirli alcuna buona cosa, se da quei più potenti sarà visitato o usatali alcuna demostratione, non li deve disprezzare, anzi edificarli potendo con autorità" (Uchańsciana, IV, p. 220).
Rientrato nella sua diocesi, il B. fece restaurare la cattedrale, iniziò a proprie spese la costruzione del palazzo vescovile, versò dalle sue rendite mille scudi alla comunità per provvedere ai bisogni dei poveri. Morì a Camerino il 12 sett. 1574 ed il suo corpo fu tumulato a Roma nella chiesa di S. Agostino. Frutto dei suoi studi giovanili è un compendio della Summa di s. Tommaso, pubblicato a Venezia nel 1564.
Fonti e Bibl.: I dispacci del B. al Morone, dal 20 apr. 1561 al 19 giugno 1563, Si trovano nell'Arch. Segr. Vat., Nunz. di Polonia, 5-A, ff. 6-141, e sono stati editi, con datazione a volte imprecisa, da A. Theiner, Vetera monumenta Poloniae et Lituaniae…, II, Romae 1861, pp. 598, 658-705. E. Rykaczewski, Relacye nuncyuszów apostolskich i innych osób o Polsce od roku 1548 do 1690, Berlin-Poznań 1864, pp. 74-110, ha pubblicato in traduzione polacca il testo completo dell'istruzione fornita al B., e altre parti del suo carteggio, tratte dalla biblioteca e dall'Archivio Vaticano nonché da codici della biblioteca del Collegio romano oggi irreperibili nei fondi gesuitici della Nazionale di Roma. Le lettere del segretario di stato Borromeo al B. (in Arch. Segr. Vat., Nunz. di Polonia, 170, ff. 1-49) sono state parzialmente pubblicate, insieme a un excerptum italiano dell'istruzione ed al carteggio di personaggi polacchi col nunzio, da T. Wierzbowski, Uchańsciana czyli zbiór dokumentów wyjaśnja̢ cychżycie i działalność Jakóba Uchańskiego..., I, Warszawa 1884, pp. 43 s.; II, ibid. 182s, pp. 135-40; III, ibid. 1890, p. 2; IV, ibid. 1892, pp. 3-9, 218-23. Per altre parti del carteggio, vedi Arch. Segr. Vat., Nunz. di Polonia, 4, ff. 168r-169r; Bibl. Vat., cod. Vat. lat. 6201, ff. 60r-62r, 311r-312r, 438r-442v; cod. Vat. lat. 6414, ff. 63r-67v. Di un certo interesse la sua Relatione del regno di Polonia..., s.d., ma del 1560, Bibl. Vat., Urb. lat. 823, ff. 357v-366v, e Urb. lat. 1020, ff. 22r-31r. Per la biografia del B. vedi: Concilium Tridentinum. Diaria,Acta,Epistolae,Tractata (edizione a cura della Società Goerresiana), I, a cura di S. Merkle, Friburgi Brisgoviae 1901, sub voce; II, ibid. 1911, pp. CXVII, 167, 174, 221, 493, 495; VIII, a cura di S. Ehses, ibid. 1919, pp. 229-30, 869-70; IX, ibid. 1924, sub voce; G. F. Angelita, Origine della città di Recanati,e la sua historia e discretione, Venezia 1601, f. 36v; C. Lilii, Dell'historia di Camerino, Macerata 1652, I, pp. 64 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 566; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1630 s.; G.Cappelletti, Le Chiese d'Italia, IV, Venezia 1846, pp. 293 s.; A. Eichhorn, Der ermländische Bischof und Kardinal Stanislaus Hosius, II, Mainz 1855, pp. 152, 208; C. Benedettucci, Biblioteca recanatense, Recanati 1884, pp. 14-15; J. Korytkowski, Arcybiskupi gnieźnieńscy, III, Poznań 1889, p. 292; T. Wierzbowski, Jakób Uchański,arcybiskup gnieźnietiski (1502-1581), Warszawa 1895, pp. 176-84, 236-41; J. Šusta, Die Römische Kurie und das Concil von Trient unter Pius IV. Aktenstücke zur Gesch. des Concils von Trient, I-III, Wien 1904-1914, sub voce; H. Biaudet, Les nonciat. apostol. permanantes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 95, 112, 255; I. A. Caligarii nuntii apostolici in Polonia epist. et acta 1578-1581, a cura di L. Boratyński, in Mon. Poloniae Vat., IV, Cracoviae 1915, pp. X-XI; L. v. Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1928, pp. 367-69; Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Ecclés., IX, coll.870-71.