BENZONE d'Alba
È ignota la sua data di nascita. Le congetture che sono state avanzate al riguardo mancano di basi consistenti. Nulla di certo si sa della sua vita praticamente sino al 1059, quando compare per la prima volta in qualità di vescovo di Alba, come sottoscrittore al decreto di Niccolò II sull'elezione pontificia. Fu originario forse dell'Italia meridionale, com'è stato supposto per una certa conoscenza che mostra di parole greche, di usi e pratiche locali, e per il suo odio verso i Normanni, visti come intrusi e oppressori; ma si tratta di poco più che un'ipotesi. È probabile anche che nella sua giovinezza abbia soggiornato per un certo tempo in Germania, data la sua ottima conoscenza dell'ambiente e della lingua. I fatti e le vicende della sua vita si ricavano tutti dai racconti e dagli accenni dell'unica sua opera a noi nota, un grosso e curioso centone di materiali disparati, praticamente senza titolo, chiamato: Ad Heinricum imperatorem libri VII, B. svolse una parte importante nella lotta che oppose Cadalo, il papa eletto dalla corte tedesca e da una parte della nobiltà romana, ad Alessandro II.
All'indomani dell'elezione di Cadalo, che assunse il nome di Onorio II, nell'autunno 1061, egli fu incaricato dall'imperatrice Agnese (che alla fine dell'anno avrebbe preso il velo) di recarsi a Roma per preparare il terreno alla sua venuta. B. partì subito, o al più tardi nell'inverno 1061-62, mentre Cadalo si ritirava a Parma. E a Roma, secondo il suo drammatico racconto, egli avrebbe felicemente contrastato l'attività di Ildebrando a favore di Alessandro II, riuscendo anzi a raccogliere dietro di sé gran parte della città. Il momento culminante di questa azione sarebbe stato rappresentato da un suo contraddittorio con lo stesso Alessandro II, suggellato, alla partenza di questi, dalle urla del popolo: "Vade leprose, exi bavose, discede perose" (II, 2). Sta di fatto che B., come attesta egli stesso, era giunto a Roma disponendo di larghi mezzi finanziari, per poter svolgere appunto un'efficace campagna di proselitismo e di propaganda; ed essenziale per il successo della sua attività fu certo l'appoggio di una buona parte dell'aristocrazia romana, conti di Galeria in testa, che vedeva nell'alleanza con la corte tedesca, ma in un momento di minorità del re, un utile strumento per riaffermare la propria autonomia, ed insieme il proprio ruolo nell'elezione pontificia: anch'essa, come la corte, in opposizione al decreto di Niccolò II.
Nei primissimi mesi del 1062 B., sempre secondo il suo racconto, avrebbe ricevuto a Roma un'importante lettera di Pantaleone, ricco mercante e "patricius" di Amalfi. Questi, in relazione con la corte di Bisanzio, avrebbe proposto al vescovo d'Alba un'azione comune per riannodare l'antica alleanza tra gli imperatori di Roma e di Costantinopoli, sotto il patronato di Cadalo, per cacciare i Normanni dall'Italia meridionale (11, 7). Su questa stessa linea, nei mesi successivi, sarebbe giunta a Roma un'ambasceria inviata dall'imperatore di Costantinopoli, Costantino X Ducas, con la proposta che, sotto la direzione del papa, il re Enrico e l'imperatore di Bisanzio organizzassero una spedizione al fine di liberare il sepolcro di Cristo (II, 12; III, 12: come avverrà più tardi, con analoghe proposte di Gregorio VII, è probabile che così, strada facendo, si pensasse di debellare definitivamente i Normanni: cfr. al riguardo Gregorii VII Registrum, I, 46; II, 37, a cura di E. Caspar, in Mon. Germ. Hist., Epist. sel., II, 1, Berolini 1920, pp. 69 ss., 172 s.). Non ci sono elementi per negar fede a questo racconto.
Nel marzo del 1062 B. mosse incontro a Cadalo: essi si incontrarono a Sutri il 25, organizzandovi le loro forze, e nell'aprile entrarono a Roma con relativa facilità dopo aver sconfitto, il 14, le truppe di Ildebrando al "Campus Neronis".
Alessandro II ed i suoi seguaci si asserragliarono nella città leonina. Cadalo era così praticamente padrone di Roma, ma l'intervento di Goffredo di Lorena, che impose ai due contendenti di ritirarsi nelle rispettive diocesi, e quello successivo di Annone di Colonia, che nell'aprile, con una congiura di palazzo, si era impadronito del potere in Germania, prendendo sotto il suo controllo il giovane re, rovesciarono la situazione a favore di Alessandro II. I concili di Augusta (27 ott. 1062) e di Mantova (maggio-giugno 1064) sancirono la sua definitiva vittoria.
B., in tutto questo periodo, continuò ad impegnarsi a fondo per Cadalo, riaccompagnandolo a Roma nel maggio 1063, dopo il concilio da lui convocato a Parma, in quella spedizione che, dopo una serie di iniziali successi, si concluse con la fuga segreta di Cadalo nel nord; tempestò di lettere la corte tedesca ed Adalberto di Brema per sollecitare un più attivo appoggio, facendo leva soprattutto sulla minaccia rappresentata dall'alleanza tra Alessandro II e i Normanni; si recò infine personalmente in Germania, probabilmente nel 1065, incontrando Enrico nel monastero di Quedlinburg. Il suo odio verso Ildebrando, Annone, i Normanni, si spiega anche col fallimento di questa sua attività.
Con la sconfitta di Cadalo, e gli ultimi, vani maneggi suoi e dei suoi sostenitori, termina la parte di impegno politico attivo e diretto, a quanto sembra in posizione di primo piano, svolta da Benzone. Nelle vicende successive, durante il pontificato di Gregorio VII, si sa soltanto della sua intensa opera di pubblicista, ma senza che egli assurga, a quanto ci risulta, ad una parte di rilievo. Tenacemente antipatarinico, feroce oppositore di Gregorio VII, così com'era stato accanito avversario di lui arcidiacono, soprattutto perché ravvisava nella sua azione riformatrice un attentato al prestigio e all'autorità dell'impero, egli caldeggiò la lotta aperta, e la discesa di Enrico in Italia, scagliandosi contro ogni prospettiva d'intesa. Fatto segno a violenti attacchi patarinici, suscitati da predicatori popolari (I, 21-22), probabilmente tra il 1076 ed il 1077 fu cacciato dalla sua sede vescovile, e non sembra che poi sia riuscito a rientrarvi. Malato, non fu presente al sinodo di Bressanone del 1080, che doveva portare all'elezione dell'antipapa Clemente III, ma fu con Enrico all'assedio di Roma, anche se assente nel marzo 1084 alla sua incoronazione imperiale e all'intronizzazione di Guiberto. Morì probabilmente negli ultimi mesi del 1089 (gli ultimi fatti da lui menzionati risalgono appunto a quell'anno) o nei primissimi mesi del 1090 (nessun ricordo figura infatti della discesa di Enrico in Italia nel corso di quella primavera).
L'opera di B., Ad Heinricum imperatorem libri VII, ricevette la sua forma attuale probabilmente tra il 1085 e il 1086 (Fliche, III, p. 224, n. 1). Ma anche successivamente B. vi apportò aggiunte e correzioni come si ricava dal manoscritto originale che ci è pervenuto (Lehmgruebner, pp. 21 ss.). Si tratta di un'opera costituita da frammenti di vario genere, parte in prosa e parte in versi, artificiosamente legati assieme e scritti in diversi, ma assai spesso rimaneggiati al momento della definitiva stesura. Anche da ciò, oltre che dalla sua volontà di distorsione polemica, dipendono i numerosi errori di fatto che si riscontrano nel suo racconto. I materiali sono disposti in un ordine approssimativamente cronologico, se si eccettuano i libri I e VII, che servono in qualche modo rispettivamente da introduzione e da epilogo: i libri II e III narrano le vicende di Cadalo; il IV contiene versi e lettere inviate a Tebaldo di Milano e ad alcuni suffraganei dell'arcidiocesi lombarda per esortarli alla lotta e per rimproverarli delle loro esitazioni; nel V, oltre a diversi epigrammi, è raccolto un blocco di lettere ad Adelaide di Susa per convincerla a schierarsi con Enrico IV; il VI narra parzialmente le vicende connesse con la discesa di Enrico IV in Italia e raggruppa una serie di scritti contro Ildebrando; nel VII, accanto ad una sorta di storia delle relazioni tra papato ed impero, con particolare riguardo all'elezione papale, sono raccolti alcuni scritti, per lo più in versi, che hanno un po' la funzione di riassumere le tesi e i motivi esposti precedentemente.
Nonostante i rimaneggiamenti, l'opera mantiene il carattere di grosso centone di tutta una serie di brevi scritti polemici (lettere, prediche, trattatelli, epigrammi), nei quali sarebbe vano ricercare un'esposizione e un pensiero sistematici, così com'è vano cercare una sistematicità nell'insieme. Alcuni temi centrali del pensiero e dell'azione di B. emergono però con notevole chiarezza. Il caposaldo della sua concezione politica è costituito dalla funzione imperiale di Roma, che egli esalta tanto alla luce della sua tradizione pagana che di quella cristiana. Questa trova in Ottone III il suo momento più alto e consapevole, ed è Ottone III perciò che egli propone continuamente ad Enrico come modello (III, 6; IV, 4, 6; VII, 2, ecc.). In questo senso le sue reminiscenze classiche non rivestono soltanto una funzione retorica, ma vogliono indicare ad Enrico, in termini di cultura, una precisa linea di azione, che dovrebbe essere di dominio, di disciplinamento, di ordine, indirizzandosi innanzitutto verso l'Italia meridionale, per poi allargarsi sino ai termini dell'antico impero. In questa prospettiva la crociata, e la liberazione del sepolcro di Cristo, si configurano come il punto culminante di una piena restaurazione imperiale (1, 15, 19).
Parte da queste premesse la sua polemica e antigregoriana", che arriva a termini di una radicalità e violenza inaudite. Ne sono già un segno gli epiteti con cui egli gratifica i suoi avversari: Anselmo da Baggio, cioè il pontefice Alessandro II, "Asinelmus", "Asinander", "Asinandrellus", "Anselmus Pliariseus", "baburrus Alexander", "asinus hereticus" ecc.; Gregorio VII viene chiamato "Prandellus", "Folleprand manicheus", "Merdiprandus", "falsa cuculla", "diabolus cucullatus", "Sarabaita", ecc. Per B. la lotta contro costoro è una vera "pugna inter angelos et diabolos", perché la loro azione si propone di distruggere il tessuto di leggi e consuetudini sul quale si fonda l'autorità imperiale, universale ed ereditaria, secondo un ordine stabilito da Dio. Da ciò, ad esempio, deriva all'imperatore il diritto di scegliere i vescovi, diritto che i gregoriani vogliono contestargli, perché Dio lo ha esaltato “super omnes potestates omniaque iura regnorum”, rendendolo responsabile direttamente di fronte a lui delle sue azioni (I, 26). È in questa direzione soprattutto che B. sviluppa la sua polemica, ed è su queste considerazioni che egli fonda la sua opposizione ai riformatori, assai più che sui temi dell'organizzazione e della disciplina ecclesiastica vera e propria. Ed è in questa prospettiva, di collaborazione subalterna con l'impero, che egli esalta la gerarchia di un tempo, i "Colonienses Herimanni", gli e Aribones Maguntini", deprecando l'intrusione dei monaci nel governo della Chiesa e la predicazione popolare e "sovvertitrice".
Questo colossale pamphlet è anche un libro cortigiano ed apologetico: cortigiano verso Enrico, che B. disperatamente sollecita di appannaggi e ricompense, e apologetico perciò, smaccatamente apologetico, di se stesso. Ma è anche interessante documento di un tenace impegno politico, e non mediocre indice di una cultura in fase di ascesa. Se è difficile individuare con precisione le fonti di B., proprio per il carattere sommario e frammentario dei suoi scritti (è probabile che egli si sia servito tra l'altro della Graphia aureae urbis Romae e di altre opere da essa derivate: cfr. Schramm, pp. 264-267), l'insieme tuttavia denota una discreta preparazione generale. E sono notevoli soprattutto le abbastanza frequenti citazioni di classici, Orazio, Sallustio, Cicerone, Aulo Gellio, Virgilio, oltre ai molti nominati. Anche da questo punto di vista quindi B. costituisce una importante fonte per la storia religiosa, culturale e politica dell'età gregoriana.
Fonti e Bibl.: L'AdHeinricum imPeratorem l. VII è pubblicato da G. H. Pertz, in Mon. Germ. Histor., Script., XI, Hannoverae 1854, pp. 591-681 (ancora utile anche la sua introduzione). Sulla vita di B. vedi: P. Orsi, Un libellista del sec. XI, Benzone, vescovo d'Alba, Torino 1884; H. Lehmgruebner, Benzo von Alba. Ein Verfechter der kaiserlichen. Staatsidee unter Heinrich IV., Berlin 1887, importante anche per un'ampia analisi della cronologia dei diversi pezzi che compongono la sua opera; in particolare per la sua attività a favore di Cadalo, F. Baix, Cadalus, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XI, Paris 1949, coll. 66 ss.; per la sua cultura ed ideologia: C. Mirbt, Die Publizistik im Zeitalter Gregors VII., Leipzig 1894, pp. 35, 44, 82, 84, 89, 93, 140, 195, 196, 359, 395, 511, 512, 547, 582, 589, 593, 598, 599; P. E. Schramm, Kaiser, Rom, und Renovatio, Leipzig 1929, pp. 258-274; M. Manitius, Geschichte der Lateinischen Literatur des Mittelalters, III, München 1931, pp. 454-457 e ad Indicem;A.Fliche, La réforme grégorienne, III, Louvain 1937, pp. 216-249; H-G. Krause, Das Papstwahldekret von 1059 und seine Rolle im Investiturstreit, Studi gregoriani, VII, Roma 1960, ad Indicem.