BENZO (Bencio, Bentius) d'Alessandria (Bencius Alexandrinus)
Nacque probabilmente nella seconda metà del sec. XIII ad Alessandria, come testimoniano Guglielmo da Pastrengo e B. stesso nella sua Cronica (c. 113 v). Non abbiamo potuto rintracciare validi elementi a prova che avesse cognome "Cona". Né abbiamo modo di ricostruire la sua attività negli anni antecedenti al 1311: forse fu studente di legge e si diplomò notaio a Bologna; fors'anche, e probabilmente nel primo decennio del secolo, visitò molte città dell'Italia settentrionale e centrale, consultando nelle biblioteche e negli archivi più importanti diversi documenti e molte opere, dalle qualì dovette trarre appunti e stralciare ampie notizie, che poi avrebbe fatto confluire nella sua cronaca che trattava gli avvenimenti storici compresi dalla creazione del mondo ai tempi di Arrigo VII.
Contrariamente a quanto tenne a sottolineare il Ferrai, B. non fu frate mmore e neppure sacerdote; né compì nel 1283 un viaggio in Terrasanta. Il primo errore dipende dall'avere lo studioso attribuito a lui, anziché al vescovo Leone Lambertenghi di cui era notaio, la specificazione "ordinis minorum" contenuta in una frase che G. Bugati trascrisse da un codice oggi scomparso del Chronicon maius di Galvano Fiamma. Una svista ben più grave condusse poi il Ferrai, e sulle sue orme il Biscaro e altri studiosi, ad affermare che B. compì nel novembre 1283 un viaggio in Palestina. I passi che il Ferrai stralciò dalla cronaca di B. a riprova della sua affermazione sono, infatti, come ben chiarì il Sabbadini (in B. d'aless., pp. 574 s.), citazioni testuali dalla Descriptio Terrae Sanctae del cronista tedesco Brocardo.
Nel 1311 B. era a Milano, ove è presumibile che assistesse di persona all'incoronazione di Arrigo VII di Lussemburgo, avvenuta il giorno dell'Epafania in S. Ambrogio; anzi si può supporre a buon diritto che a Milano si trovasse già da alcuni mesi, se mostra di conoscere alcuni particolari, ch'egli riporta nella sua cronaca, riguardanti certi preliminari dell'incoronazione, e precisamente: la disputa per la scelta del luogo della cerimonia, - S. Ambrogio, come voleva l'imperatore, o, come era invece consuetudine, S. Michele di Pavia (c. 140 r) -, e l'utilizzazione di un bassorilievo, reputato sacro dal popolo, come base per le immagini dell'imperatore e della moglie.
Comunque, il 31 maggio dello stesso anno 1311 B., in qualità di ufficiale e notaio del giudice imperiale Cione (Uguccione) delle Bellaste di Pistoia, redasse una sentenza di bando per un certo Franzolo Legate fu Pietra, reo di lesa maestà (Arch. di Stato di Milano, Carte di S. Simpliciano; cfr. Biscaro, p. 288). Del 17 settembre successivo è un'altra sentenza contro esponenti della famiglia dei Torriani e contro alcuni loro seguaci.
L'atto del 31 maggio provocò però uno strascico giudiziario: i beni di Franzolo, incamerati dal fisco, vennero rivendicati da un Pietro de Coyro, sindaco e procuratore della canonica dei decumani della Metropolitana; questa azione legale, probabilmente accompagnata da una nascosta regìa di Matteo Visconti, ostile per demagogia o, forse, per ragioni personali a Cione, indusse i messi imperiali, inviati da Arrigo VII in Lombardia appunto perché controllassero le azioni e i processi di confisca dei beni dei ribelli banditi per lesa maestà, a promuovere nel 1313 un'inchiesta sull'operato del giudice Cione. È molto probabile che, proprio in occasione di questa inchiesta, che colpiva il giudice ma indirettamente anche B., l'Alessandrino si sia trasferito a Como al servìzio del vescovo Leone Lambertenghi, indottovi da spontaneo desiderio di tranquillità o, assai più plausibilmente, da una precisa prescrizione imperiale, in attesa dell'esito dell'inchiesta. Suffraga validamente l'ipotesi del suo ritiro a Como intorno a questa data un passo della cronaca, in cui B. afferma che nel 1320, "exacto iam fere septennio", a Como "gratum et quietum sim domiciliuni nactus ad compilandum presens opus et maiora alia" (c. 148r).
Nel 1317 B. era di nuovo a Milano, dove due commissari pontifici nominati da papa Giovanni XXII, i vescovi di Como, Leone Lambertenghi, e di Asti, Guido, istruirono un processo per obbligare Matteo Visconti a liberare il conte Filippone da Langosco, Antonio da Fissiraga, e soprattutto alcuni esponenti della famiglia Torriani che il Visconti, con pretesti, teneva prigionieri, incurante delle esortazioni papali. Al processo, che si aprì il 28 novembre nel monastero di S. Ambrogio, parteciparono "discretos viros Antoniuni de Paxineto de Clevasium, clericum et familiarem prefati d. episcopi Astensis, et Bencium de Alexandria, notarium et familiarem prefati d. episcopi Cumani"; i quali vennero inviati presso Matteo Visconti per notificargli le diffide del papa (che intendeva erigersi a vicario imperiale durante la vacanza dell'Impero) e ad ingiungergli di presentarsi davanti al tribunale il giorno seguente. Il 30 novembre i due nunzi compilarono una relazione, nella quale si diceva che, pur avendo essi trattato con Matteo personalmente, il duca non aveva voluto presentarsi al loro tribunale.
Il soggiorno a Milano del 1317 al seguito del vescovo Leone fu senza dubbio una parentesi di breve durata, se B. stesso afferma in un passo del libro XXI della sua cronaca - passo databile al 1320, secondo quanto dichiara l'autore (c. 212 r) - di trovarsi già da sette anni, e perciò dal 1313, a Como - Nella tranquillità della cittadina lombarda B. si dedicò completamente alla compilazione della sua Cronica a mundi principio usque ad tempora Henrici (così suona il titolo in Galvano Fiamma; il cod. Ambrosiano ha invece la rubrica: "Incipit cronica a principio mundi usque ad adventum Christi", che si riferisce evidentemente al contenuto del primo volume, il solo che ci sia pervenuto, in cui la materia si arresta appunto alla distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.).
Guglielmo da Pastrengo, dotto preumanista amico del Petrarca, morto nel 1363, nel suo Libellus de originibus rerum (denominato anche, in alcuni codici, De viris illustribus), afferma che B., "magnae literature vir", valendosi delle opere di tutti gli storiografi e iniziando la narrazione dall'origine del mondo, "cunctarum gentium, nationum, regum, populorumque omnium simul gesta contexuit opus grande, volumen immensum, quod in tres dimensum est partes". Non potendo rifiutar credito al Pastrengo, le cui affermazioni trovano del resto sostegno in qualche accenno rinvenibile nell'opera di B. (cc. 256 bis, 283 r), dobbiamo ammettere che a noi è pervenuta soltanto la prima parte della Cronica, contenuta appunto nel cod. Ambrosiano B.24 inf., e consistente in 24 libri, nei quali sono narrati gli avvemmenti intercorsi dalla creazione del mondo alla caduta di Gerusalemme.
Nel codice la cronaca è anonima. In una nota apposta sul foglio di guardia un bibliotecario dell'Ambrosiana, Giuseppe Antonio Sassi, la attribuì a Benvenuto da Imola, indottovi evidentemente, come arguì il Rajna, da un "Bentius", ch'egli dovette leggere in un foglio oggi perduto del codice, e che interpretò come abbreviazione o errore per "Benvenutus". L'opera fu definitivamente attribuita a B., in base agli studi del Bugati, dal Rajna e dal Ferrai; questi ultimi misero a raffronto alcuni brani del codice con le citazioni che dall'opera di B., ritenuta smarrita, affermava di aver stralciato il domenicano Galvano Fiamma nel suo Chronicon maius: il testo delle citazioni del Fiamma corrispondeva esattamente a brani dell'anonima cronaca del codice. Dell'opera di B. avevano già parlato, con grandi lodi, Bonincontro Morigia nel suo Chronicon Modoëtiense, e, come già si è visto, Guglielmo da Pastrengo nel suo De originibus rerum; il primo arrivò a definire addirittura B. "maximus philosophus", ciò che indurrebbe a ritenere che egli avesse composto anche altre opere; opere cui egli stesso sembra accennare dove afferma (c. 148 r) che nella tranquillità del soggiorno comacino si era dedicato alla compilazione della Cronica e di "maiora alia". Ma nulla di più ci è dato sapere.
Il titolo di Cronica mal si addice all'opera di B., il quale, più che ai nudi avvenimenti storici, ha l'occhio alle leggende, alla geografia, alla filosofia, alle azioni e ai detti di uomini illustri, e perciò farcisce la narrazione di notizie diverse; le quali in parte sono attinte da altre opere, ma per lo più dimostrano, specie quelle a carattere geografico, che B. conosceva personalmente i luoghi di cui parla (cfr. le descrizioni di Lucca e di Pisa, c. 139 r, e di Verona, c. 149 v); e anzi talvolta ce ne fornisce la prova (cc. 139 v e 147r-v).
Moltissime sono le fonti cui B. attinge. Citeremo, tra gli altri, Livio, Svetonio, Agostino, Eutropio, Aulo Gellio, Orosio, Boezio, Cassiodoro, Isidoro; cita di seconda mano Cesare, Cicerone, Plinio il Vecchio, Ovidio e Orazio. Conobbe certamente il Roman de Troie di Benoit de Saint-More; a Verona ebbe modo, infine, di consultare direttamente la Historia Augusta, l'archetipo di Catullo, oggi, come si sa, perduto, e Ausonio (c. 146 r). Suo modello fu, senza dubbio, lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, come bene sottolineò il Sabbadini (Le scoperte..., p. 134): al pari di lui, B. elenca dapprima tutte le opinioni altrui, per poi esprimere da ultimo la propria. Ed è veramente interessante constatare come, appena nei primi anni del XIV sec., un compilatore di enciclopedia avesse già valorizzato metodi che saranno propri degli umanisti: ricerca dei documenti originali, correzione dei passi corrotti, discernimento tra storia e leggenda (non si deve concedere molto credito ai poeti, afferma B., perché essi "non historice, sed lege artis poetice locuti sunt", c. 233v); collazione delle diverse versioni di un fatto e scelta della più attendibile; insomma, B. mostra un discernimento storico-critico veramente ammirevole per i suoi tempi. Pertanto, se è pur vero che egli non procede costantemente con rigore e chiarezza di metodo, se è vero che concede incontrastato credito, per es., allo pseudo-Darete (errore dal quale non sono del resto esenti altri storiografi anche posteriori), la sua cronaca risulta notevolmente interessante, oltreché per le notizie riportatevi, per essere uno dei primi esempi di ricerca improntata a spirito umanistico.
Non sappiamo quando B. lasciasse Como per Verona, città nella quale lo troviamo a esercitare l'ufficio di notaio presso Cangrande della Scala a partire dal giugno dei 1325; forse la morte di Leone Lambertenghi, avvenuta appunto in quell'anno, lo indusse ad accettare una precedente offerta dello Scaligero. Tre sono i documenti da lui rogati a Verona giunti sino a noi: due atti di procura (23 giugno 1325 e 15 marzo 1329) e un decreto (18 ott. 1329) col quale Alberto e Mastino della Scala impongono la restituzione di alcuni beni al monastero di S. Zeno.
A lui, come a persona assai vicina ai signori Scaligeri e come "carissimus amicorum" (lo aveva forse conosciuto a Milano nel 1311, in occasione dell'incoronazione di Arrigo VII), Albertino Mussato dedicò il XII libro del suo De gestis Italicorum post Henricum septimum Caesarem, chiedendogli, nella lettera dedicatoria, aiuto per poter rimpatriare. La dedica è del 1328-29. Il Mussato mori il 31 maggio 1329; possiamo solo affermare che B. morì dopo questa data.
Fonti e Bibl.: Guglielmo da Pastrengo, Libellus de originibus rerum, Venetiis 1547, p. 16; B. Morigia, Chronicon Modoëtiense, in Rer. Italic. Script., XII, Mediolani 1728, col. 1089; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 447; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., V, Modena 1783, p. 343; G. B. Verci, Storia della marca trivigiana, X, Venezia 1788, pp. 90-93, doc. MCXXXVIII; E. Dönniges, Acta Henrici VII, Berlin 1830, I, p. 108; G. Bugati, Memorie storico-critiche…, Milano 1872, p. 132; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia, a cura di R. Predelli, I, Venezia 1876, p. 264 n. 433; II, ibid. 1878, p. 27 n. 159; P. Raina, Il teatro di Milano…, in Arch. stor. lombardo, XIV (1887), pp. 18-20; L. A. Ferrai, B. d'Alessandria e i cronisti milanesi del sec. XIV, in Bull. dell'Ist. stor. ital., VII (1889), pp. 104-136; F. Novati, prefazione al De Magnalibus urbis Mediolani di Bonvesin Della Riva, ibid., XX (1898), p. 24; A. Lisio, La storiografia, Milano s. d., pp. 378-79; A. Ratti, Intorno all'anno della scomunica di Matteo Visconti, in Rendic. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXXVI (1903), pp. 1050-1067; G. Biscaro, B. d'Alessandria e ì giudizi contro i ribelli dell'impero a Milano nel 1311, in Arch. stor. lombardo, XXXIV (1907), pp. 281-316; R. Sabbadini, B. d'Alessandria (Appunti), in Studi medievali, II (1907), pp. 574 ss.; Id., Le scoperte dei codici latini e greci ne' secc. XIV e XV, Firenze 1914, pp. 128-190 (rec. di V. Zabughin, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXIX [1917], pp. 130 ss.; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VII, col. 1049; Encicl. Ital., VII, p. 665.