BENVENUTO da Imola
Del cognome Rambaldi, tradizionalmente attribuito a questo celebre esegeta dantesco del sec. XIV, non si hanno, allo stato attuale delle conoscenze, testimonianze certe in documenti coevi, che registrano "Magister Benvenutus quondam Compagni quondam Anchibenis", se si tratta di documenti imolesi, oppure "Benvenutus de Imola", se si tratta di atti bolognesi o di accenni, sia diretti sia indiretti, in epistolari (specialmente del Petrarca, Boccaccio, Coluccio Salutati, Pier Paolo Vergerio il Vecchio) e in opere letterarie contemporanee o di poco posteriori. Gli incipit dei mss. sono incerti: mentre tutti attestano "Benvenutus de Imola", solo alcuni aggiungono il cognome "de Rambaldis" o "Rambaldi" non essendo evidentemente ben certo il copista se trattavasi di vero e proprio nomen gentis o piùsemplicemente di un patronimico.
La prima testimonianza di tale cognome attribuito a B. appare in un documento bolognese del 1398, pubblicato dal Mazzoni Toselli, in cui compare come attore un Campaldino Rambaldi, assai probabilmente figlio di Benvenuto. La seconda testimonianza risale ad un epitafio anonimo, di recente edito dal Campana, e scritto con ogni probabilità in ambiente imolese nei primissimi decenni del sec. XV. Il cognome Rambaldi è stato dunque attribuito a B. ed ai discendenti solo dopo la sua morte, probabilmente dai discendenti stessi che, per nobilitare il proprio casato di origine borghese (ed era proprio quello il periodo in cui il cognome veniva fissandosi anche nei ceti medi della società), forgiarono quel nomen gentis coniandolo sul nome di un proavo Rambaldo, attestato come appartenente all'Arte dei calzolari in un registro delle arti imolesi del 1272. Che il cognome venisse fissandosi solo alquanto dopo la morte di B. pare dimostrato anche dal fatto che ad alcuni dei discendenti viene attribuito quello di Anchibeni, tratto dall'avo anziché dal proavo di Benvenuto.
B. nacque ad Imola nel terzo decennio del 1300 (Rossi): precedenti tentativi, quali quelli del Lacaita e del Rossi-Casé, di fissare più precisamente l'anno appaiono assai poco fondati, reggendosi astrattamente su un passo della introduzione al Romuleon di B., di cui oggi non può sfuggire a nessuno la natura topico-retorica: il fatto che Coluccio Salutati lo consolasse con lettera del 6 apr. 1379 della tristezza causata dalla vecchiaia e dalla canizie potrebbe far retrodatare l'anno di nascita. Fonti archivistiche imolesi e bolognesi attribuiscono la paternità di B. a Compagno (talvolta anche Boncompagno), notaio in Imola imperiali auctoritate, figlio di Anchibene, egli pure notaio. La professione notarile era propria della famiglia, poiché ad essa si dedicarono anche due fratelli di Compagno, Matteo e Pietro, e il fratello di B., Andrea. Ignoto il nome ed il casato della madre: che fosse una sorella del beato Pietro Passeri (o Passerini) vollero il Savini e il Sassatelli, ripresi dal Lacaita e, infine, giustamente rifiutati dal Rossi-Casé. Nulla di certo è testimoniato delle sue vicende giovanili: locali notizie secentesche di un suo discepolato ravennate dantesco, come pure quelle alludenti ad un suo insegnamento al Petrarca ed al Boccaccio, sono del tutto prive di fondamento. Studiò nella propria città sotto la guida del padre che teneva anche scuola privata di diritto, e quindi, come ovvia e necessaria propedeutica, di grammatica. Potrebbe essere ragionevole congettura, non però documentata notizia, che abbia compiuto un corso di studi più o meno regolari a Bologna. Dal commento a Dante, Inferno, XVIII, 28 ss., ove B. pare richiamarsi a personali esperienze romane, il Muratori si indusse a credere che egli fosse stato a Roma per il giubileo del 1350: cosa di per sé non inverosimile, ma pur sempre suscettibile di qualche dubbio, ove si pensi che, come mostrò il D'Ovidio, altrove B. ostenta dirette conoscenze napoletane, le quali sono invece notizie topiche che a lui giungono forse dal petrarchesco Itinerarium Syriacum del 1358. Cominciando a godere di buona fama, come storico e lettore di auctores, nel 1361-62 è a Bologna al seguito di Gómez Albornoz, il quale, nipote del cardinal legato Egidio Albornoz, è governatore della città che deve difendere contro Bernabò Visconti (da lui sconfitto il 20 giugno 1361). Per l'Albornoz compone tra il 1361 e il 1364 il Romuleon, compendio di storia romana dalla distruzione di Troia a Diocleziano: vasta compilazione in dieci libri priva di originalità, ma tale da dimostrare le vaste letture storiche di B. (che dichiaratamente segue Livio, integrandolo con s. Agostino, Valerio Massimo, Sallustio, Svetonio, Elio Sparziano, Lampridio, Giulio Capitolino, Floro, Giustino, Lucano, Eutropio, Orosio). L'opera ebbe larga divulgazione: fu volgarizzata varie volte in italiano e almeno una volta in francese (da Jean Melot, canonico di Lilla). B. potrebbe aver conosciuto il Petrarca a Bologna, nel febbraio-marzo 1364, quando l'aretino vi si fermò per rendere omaggio al legato papale Androin De La Roche, oppure anche ad Imola, ove il Petrarca fu già, come ha mostrato E. H. Wilkins (Vita del Petrarca, Milano 1964, p. 20), nel 1321 e dove potrebbe essersi quindi fermato di nuovo nel 1364 quando da Bologna si recò nel Casentino, passando per Imola. Al 1365 risale l'episodio più vistoso e importante della vita di B.: fu mandato il 20 marzo di quell'anno, dopo solenne investitura da parte del Consiglio degli Anziani, riunito in seduta comune col Consiglio dei Savi, in ambasceria ad Avignone per sollecitare l'intervento di Urbano V contro Azzo e Bertrando degli Alidosi; l'ambasceria non ebbe esito felice. Divenuti anzi gli Alidosi vicari per Imola, B. dovette allontanarsi per sempre dalla città per evitare rappresaglie. Di qui una idealizzazione di se stesso come "exul immeritus" che lo legherà così intimamente alla risentita psicologia e al poema di Dante (tutte le chiose alla bolgia dei "barattieri" sprizzeranno poi caustici accenni alla Babilonia avignonese, ove la sua missione di giustizia fu frustrata dagli intrighi dei maneggiatori). Si stabilì allora a Bologna, ove visse tenendo scuola privata, in cui leggeva gli auctores latini, non solo classici (Valerio Massimo, Virgilio, Lucano) ma anche moderni (risale forse a questo tempo il commento alle Egloghe del Petrarca); si sa che la sua scuola era, almeno dal 1369, nelle case di Giovanni da Soncino, dove insegnavano retorica e grammatica anche altri illustri maestri, quali Pietro da Moglio, Domenico Accolti aretino (esegeta dantesco egli pure), Pietro da Forlì. A Bologna viveva con la moglie imolese Isabetta di ser Jacopo Juanelli, notaio che rogò in Imola dal 1347 al 1367; ignota è la data del matrimonio, che comunque, essendo la donna imolese, dovrebbe essere stato contratto prima del definitivo abbandono della città natale. Il soggiorno bolognese durò un decennio, interrotto da qualche viaggio: uno sicuro a Firenze negli ultimi mesi del 1373 o nei primissimi del 1374 (nel luglio era già sicuramente a Bologna) per ascoltare le letture dantesche del Boccaccio, che lasceranno, come hanno mostrato il Guerri ed il Prezioso, traccia molto vasta nel suo commento alla Commedia;un altro, probabile, a Padova. In questi anni la cultura bolognese viene uscendo da uno stato di crisi, durato qualche decennio, grazie all'opera di valentissimi magistri, quali Pietro da Moglio, che rifacendosi alle figure più significative del cosiddetto preumanesimo veneto-emiliano, restauravano la dignità degli studi classici, attirando intorno a sé vaste e attente scolaresche anche d'Oltralpe: a questo rinnovato impulso culturale B. portò un contributo non secondario. Tramite Pietro da Moglio entrò in contatto con il suo allievo Coluccio Salutati, col quale rimase legato da profonda amicizia ed interessi culturali: B. procurò al Salutati un Properzio ed un Catullo, ne ebbe estratti di Aulo Gellio e informazioni sull'autore delle tragedie attribuite a Seneca. A questi anni bolognesi, forse già anteriormente al 1373, se si potesse prestar fede ad un frammento di lettera di B. al Petrarca pubblicato nel XVI sec. da Gerolamo Claricio, sull'autenticità del quale furono tuttavia già sollevati dubbi abbastanza fondati, risalgono i primi esperimenti di letture dantesche, compiute, secondo giuste intuizioni del Novati, seguito poi dal Barbi e dal Maggini, non nello Studio ufficiale, ma nella scuola privata stessa, come corso libero parallelo alla lettura dei classici latini. Da queste letture dantesche venne impostandosi il famoso Comentum super Dantem, che è l'opera più celebre di B. ed uno dei commenti danteschi più importanti del sec. XIV, al quale andò sempre il favore dei lettori anche più esigenti, dal Muratori alla più recente critica dantesca. Se il successo di tali letture fu abbastanza vasto, come è testimoniato dalle numerose recollectae che ne furono variamente divulgate anche nel secolo successivo, non fu però così clamorosamente popolare come si volle dai biografi ottocenteschi: B. in fondo esponeva in latino, e quindi per un pubblico scolastico. Il Comentum quale lo abbiamo ora nacque però da successive rielaborazioni, sviluppi e stesure che B. apportò ai primi appunti bolognesi a Ferrara tra il 1379 e il 1383: una futura edizione critica, che sostituisca quella ormai invecchiata fornita dal Lacaita nel 1887 per il Barbera di Firenze, porterà senza dubbio molta luce sulla storia interna di quest'opera e sulla storia del suo testo, tanto interessante anche per la ricostruzione del Fortleben dantesco. La tecnica esegetica di B. era, particolarmente vivace e brillante: il suo latino era ancora vigorosamente medievale e scolastico, ricco di espressive intrusioni volgari, lontano dalla elegante raffinatezza dei maggiori stilisti (il Salutati gliene fece anzi bonario ma deciso rimprovero), ma proprio per questa sua libertà era in grado di esprimere con immediatezza e vigore la virulenta e appassionata personalità del commentqore, che ancor oggi interessa la critica dantesca non solo per la precisione di molte notizie storiche, la sottigliezza calzante dell'interpretazione allegorica (ridotta per altro a più esigue proporzioni rispetto agli altri commentatori dello. stesso secolo), la proprietà dei richiami filosofici (Sapegno), ma anche per la capacità di sentire certe atmosfere poetiche (Momigliano), la finezza di certi accostamenti impressionistico-realistici (Apollonio) e la comprensione generale della struttura del poema (Auerbach, Ciotti) che danno senso di vita attuale al testo chiosato. Per cogliere la profondità di intuizioni della critica di B. basterà ricordare come, impostando un confronto che poi diverrà topico tra Dante e Petrarca, pur esaltando umanisticamente il secondo come "copiosior in dicendo", salva la grandezza del primo perché "maior poeta", in quanto ha saputo fondere in un'opera di estrema complessità tutte le parti della filosofia e della poetica, creando un poema che è nello stesso tempo tragedia, satira e commedia. Il che pare essere la più lontana origine di un modulo critico che avrà tanta fortuna nel Foscolo, che conosceva e citava B., e in tutta la critica romantica, De Sanctis incluso. La lectura bolognese non dovette durare molto tempo indisturbata: gelose rivalità professionali finirono per rendergli la vita impossibile, costringendolo a cercar rifugio a Ferrara sotto la munifica e affettuosa protezione di Nicolò II d'Este, da B. conosciuto ad Avignone, al tempo della legazione contro gli Alidosi. Nella chiosa ad Inferno, XV, 106ss., B. racconta di aver svelato nel 1375 al legato papale Pietro di Bourges certe sconcezze di cui si sarebbero macchiati insegnanti e discepoli dello Studio bolognese: il legato avrebbe preso vigorosi provvedimenti contro i colpevoli, alcuni dei quali però, salvatisi dalla condanna grazie a giudici corrotti, lo avrebbero perseguitato per vendicarsi di lui. Nessuna prova documentaria attesta l'episodio, ma, in assenza di elementi più solidi, si può forse pensare che si tratti di un modo, neppure insolito, di "colorire" rivalità, odii e gelosie professionali.
A Ferrara B. trova un ambiente ben più calmo e più sicuro: protetto dal marchese e circondato di venerazione e rispetto, lavora indefessamente intorno a ricerche nuove o sviluppando e ampliando lavori iniziati già a Bologna: rilegge pubblicamente Valerio Massimo, completa e sviluppa il Comentum super Dantem, chiosa le Bucoliche e le Georgiche di Virgilio, lasciandoci uno dei commenti virgiliani più importanti di tutto il secolo per originalità d'impostazioni allegoriche, superamento di luoghi comuni medievali, abbondanza di conoscenze della scoliastica tardo-antica e medievale (Ghisalberti); legge in più riprese Lucano, da lui apprezzato soprattutto come fonte di notizie storiche; commenta le tragedie di Seneca e, forse, anche la poesia bucolica boccaccesca (sebbene di quest'ultima fatica non ci sia rimasta traccia). Continua la sua opera di storiografo, per la quale ebbe soprattutto le lodi di Sicco Polenton e di Biondo Flavio, componendo una rassegna degli imperatori da Giulio Cesare a Venceslao, dal titolo Augustalis libellus, che poi fu aggiornata fino a Massimiliano da Pio II Piccolomini. Sono anni, questi, di lavoro indefesso, che lo stanca (se ne lamenta in una lettera al Salutati), data anche l'età avanzata e qualche preoccupazione finanziaria per la numerosa figliolanza.
B. morì quasi sicuramente a Ferrara tra il 1387 e l'agosto del 1388. Il Rossi-Casé, il Novati e tutti gli studiosi seguenti, basandosi su una testimonianza indiretta, assai vaga per altro, tratta da una lettera di Pier Paolo Vergerio il Vecchio del 17 giugno 1390, datarono la sua morte alla prima metà del giugno di quell'anno stesso: poiché compaiono i suoi eredi già in un documento del 13 agosto 1388, la data di morte va con ogni certezza anticipata di almeno due anni.
Fonti e Bibl.: Imola, Arch. notarile: Berto della Volpe, Rogiti, III, 13 ag. 1388; Ibid., anno 1359: Quaternus rogationum et instrumentorum mei Compagni quondam fratris Anchibenis de Imola, imperiali auctoritate iudicis ordinarii et notarii;Ibid., ms. 1660: V. Savini, Notabilium civitatis Imolae;Ibid., Archivio Codronchi, G. Sassatelli, Relazione manoscritta sulle famiglie nobili d'Imola, 1664; Chartularium Studii Bononiensis, I, Bologna 1921, pp. 8, 17-18; G. Claricio, Amorosa visione con apologia di G. Claricio imolese..., Milano 1521, in App.; L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, I, Mediolani 1738, coll. 1029-1298 (prima edizione, anche se parziale, del Comentum, desunta dal ms. Estense α, X, 1, 7); G. Alberghetti, Compendio della storia d'Imola, II, Imola 1810, pp. 33-34; L. Angeli, Memorie di illustri imolesi, Imola 1828, pp. 149-150; A. Hercolani, Biografie e ritratti di romagnoli illustri, Forlì 1834, pp. 64-72; T. 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