BENTIVOGLIO (Bentivolus)
Appartenente, secondo la tradizione, alla famiglia dei Bentivoglio, originaria di Gubbio, successe a Offredo sulla. cattedra vescovile di quella città, non si sa con esattezza in quale anno, ma dopo il 1184, data oltre la quale non si hanno notizie del predecessore, e prima dell'ottobre 1188.
Arbitraria è, con ogni probabilità, l'identificazione di B. con un Benedetto, priore della canonica di S. Mariano negli anni precedenti al 1188, il cui nome si conserva in molti documenti dell'Archivio di Gubbio: l'unico argomento a favore sarebbe la sola iniziale dei destinatario presente nei documenti pontifici riguardanti il vescovo; ma poiché in uno si trova scritto per intero il nome Bentivolus, e lo stesso nome compare inoltre nella sottoscrizione di una carta dell'Archivio, non pare debbano sussistere dubbi sul nome del vescovo né vi è motivo di credere che egli abbia cambiato nome all'inizio del suo episcopato.
Appena eletto vescovo, B. chiese e ottenne, il 20 ott. 1188. dal papa Clemente III l'autorizzazione a trasferire nella cattedrale della nuova città, che si stava costruendo sul colle, le reliquie dei santi, che difficilmente si potevano difendere dal furto o dalla profanazione nella città bassa, ormai semidistrutta dalle continue lotte tra guelfi e ghibellini.
La precaria pacificazione che si era ottenuta in Gubbio in seguito ai patti di pace con Perugia del 1183 - patti che avevano determinato nuovamente il sopravvento della fazione ghibellina - fu rotta nel 1190, quando i guelfi ripresero la lotia contro i loro avversari interni. I cittadini più responsabili, tuttavia, temendo che la città, quasi completamente distrutta e perciò senza possibilità di difesa, divenisse una facile preda per la vicina Perugia, decisero di mandare un'ambasceria composta dai consoli della città e da alcuni giudici - non senza prima essersi assicurati dell'appoggio di Corrado, duca di Spoleto, amico ed alleato dell'imperatore - da Enrico VI, che si trovava allora all'assedio di Napoli, per fare atto di sottomissione e chiederne la protezione per la città. Con un diploma del 5 giugno 1191 Enrico VI accettava di perdonare agli Eugubini la loro rivolta, dando il suo benestare per la ricostruzione della città nuova sulle pendici del monte Ingino, ed elencando con la massima precisione i confini e le appartenenze civili ed ecclesiastiche. Le terre e i possedimenti della diocesi e dei monasteri e abbazie erano dichiarati liberi di amministrarsi autonomamente; la giustizia della città doveva essere amministrata dai consoli, e i cittadini dovevano pagare annualmente all'imperatore 100 libbre in moneta di Lucca. Pacificata per il momento la città, anche il vescovo poteva godere senza contrasti dei suoi diritti.
Il 26 febbr. I 192 B. ricevette da Celestino III la conferma dei possessi della diocesi, secondo quanto era stato già concesso dal papa Alessandro III ai suoi predecessori. Poco dopo il vescovo riconosceva in un diploma tutte le proprietà dei canonici della cattedrale, aggiungendone delle nuove, quali la pieve di S. Giovanni, quella di S. Maria in Ghezano, S. Donato e varie altre chiese.
Grande impegno mise B. per ottenere dalla Santa Sede la canonizzazione dell'antico vescovo di Spoleto Ubaldo; raccolse le testimonianze di miracoli avvenuti sulla tomba del santo, suppliche, preghiere, tutto ciò insomma che poteva aver valore per provare la santità di Ubaldo, finché il suo desiderio fu esaudito dal papa Celestino III con la bolla Benedictus Deus del 4 marzo 1192, proclamante la canonizzazione di Ubaldo (festa, 16 maggio).
Scoppiata, durante la costruzione della città sul colle, una nuova rivolta antimperiale, B., timoroso anche per la spoglia di s. Ubaldo, affrettò, autorizzando anche con un diploma la costruzione della canonica, i lavori per l'edificazione della nuova cattedrale, dove l'11 settembre fu trasferita la tomba del santo. Poco dopo B. moriva, non si sa con precisione quando: l'elezione del successore Marco avvenne dopo il giugno 1195.
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