BENTIVENGA da Gubbio
La prima testimonianza indiretta di B. risale probabilmente al 1304, anno in cui si può datare la notizia secondo la quale Giovannuzzo di Mevania, confessore di s. Chiara di Montefalco, appare già professare idee legate a quella setta dello "Spirito della libertà" (Oliger, p. 30), il cui fondatore risulterebbe, dalle fonti, il francescano Bentivenga.
Sotto questa data, inoltre, una cronaca che il Faloci Pulignani attribuisce a Giovanni Olorini, cronista di Spello del sec. XIV - sulla cui attendibilità vanno fatte tuttavia alcune riserve - annota: "Fra Bentivenga da Gubbio francescano passa per Spello con una compagnia d'huomini e di donne quasi nudi, tutti con una croce in mano e nell'altra una frusta, mostrando gran santità e penitenza...". Se nessun'altra fonte riferisce la partecipazione di B. alle processioni di disciplinati, di esse è tuttavia un ricordo in una delle fonti principali per la storia di questo movimento ereticale, la Vita di s. Chiara di Montefalco scritta da Berengario di Sant'Africano, e in una delle testimonianze del processo di canonizzazione della santa del 1318-19, secondo le quali essa avrebbe avuto la visione di uomini nudi che andavano per la valle di Spoleto flagellandosi: da questa visione essa avrebbe avuto la prima intuizione della setta che si stava diffondendo in Umbria, di cui la santa per prima avrebbe denunciato le dottrine eretiche.
Prima di entrare nell'Ordine francescano nella provincia dell'Umbria, B. era stato probabilmente seguace di Gerardo Segarelli, era appartenuto cioè alla setta degli "Apostoli", se si deve dar fede, come pare, alla testimonianza di Angelo Clareno, unico a riferire la notizia.
L'Oliger, accettando senz'altro tale testimonianza, pone il distacco di B. dalla setta del Segarelli e il suo ingresso nell'Ordine francescano nel 1286, anno in cui Onorio IV sopprimeva la congregazione degli "Apostoli", invitando gli adepti, desiderosi di seguire una vita religiosa, a entrare in uno degli Ordini approvati (p. 70); ritiene anche che in questa prima esperienza vada ricercato il vero senso dell'appellativo "Apostolus", con il quale alcune fonti ricordano che egli veniva chiamato, motivandolo, però, anche con la fama della sua santità (pp. 68 s.).
Qualunque sia stata la sua provenienza, è certo che B., entrato nell'Ordine, vi acquistò grande considerazione e stima per la santità della sua vita. Nel 1306 egli si trovava a Montefalco, evidentemente nel convento dei francescani, con l'ufficio di predicatore: a questo anno vanno datati i colloqui avuti nel monastero di S. Croce con s. Chiara di Montefalco, prima dal discepolo di B., Iacopo da Montefalco, anch'egli predicatore francescano, poi da B. stesso: da essi - descritti diffusamente dalle fonti - si possono ricavare le principali teorie professate dai seguaci dello "Spirito della libertà", setta che acquista una sua fisionomia, sia pure non molto originale, e che, se va messa indubbiamente in relazione con altri movimenti ereticali del tempo, particolarmente con i Begardi, non va però confusa con essi.
Le principali affermazioni che Berengario di Sant'Africano attribuisce a Iacopo sono la libertà dell'uomo di fare ciò che vuole, l'inesistenza dell'inferno, la possibilità che l'anima perda il desiderio di questa vita; B. nei colloqui insiste su questo ultimo punto, e soprattutto sulla libertà dell'uomo di fare ciò che vuole, anche di, avere rapporti carnali "absque excusatione matrimonii", perché tutto è voluto e operato da Dio. Altri particolari si apprendono dai testimoni al processo di canonizzazione di s. Chiara: l'anima non deve turbarsi, l'uomo non deve provare rimorso del peccato, perché tutto è voluto da Dio. Con formulazioni più elaborate le idee di questa setta appaiono poi nelle opere di teologi e inquisitori (Ubertino da Casale, Alvaro Pelagio e altri), e l'Oliger, forse con eccessivo schematismo, le racchiude nei termini di quietismo, impeccabilità, negazione del libero arbitrio. Non sembra di poter riscontrare, nello "Spirito della libertà", tracce di panteismo, caratteristico invece delle teorie amalriciane, e del gioachimismo, che stava rifiorendo nella predicazione di fra' Dolcino (Oliger, p. 62).
Chiara, resasi conto, dopo un primo momento di incertezza, della eterodossia dei seguaci dello "Spirito della libertà", nei primi mesi del 1307 denunciava B. quale eretico, tramite Francesco Darniano da Montefalco, all'inquisitore Andrea da Perugia (da identificare forse con il vescovo missionario francescano: cfr. Oliger, pp. 73 s.), il quale tuttavia rispose di non riuscire a "capere... eurn in sermone, ita est cavillosus" e di non avere contro di lui testimoni (testimonianza di suor Tommasa al processo di canonizzazione di s. Chiara, in Oliger, p. 108); lo denunciava quindi, tramite Bernardo de Pisauris, la cui figlia viveva nel monastero di S. Croce, al cardinale Napoleone Orsini, nominato per la seconda volta (1306-1308) legato apostolico del ducato di Spoleto, della marca Anconitana e del contado di Perugia. Ad opera di questo, tra la primavera e l'estate del 1307, B. e i suoi seguaci venivano arrestati e condotti con ogni probabilità ad Arezzo, dove si trovava allora il cardinale con il suo cappellano Ubertino da Casale, cui si deve la condanna.
Non sembra accettabile la notizia della Cronaca di Spello di un incarceramento di B. in tale città, donde sarebbe stato mandato a Roma a espiare la pena del suo peccato. Secondo la testimonianza di Angelo Clareno, Ubertino ricorse a uno stratagemma per riuscire ad avere le prove della eterodossia delle dottrine sostenute da B., finse cioè di volere entrare a far parte della setta e acquistò così la fiducia del frate, che gli espose dinanzi a testimoni le sue teorie, sì da poter essere poi condannato come reo confesso.
Dopo il processo ad Arezzo e la condanna al carcere a vita, B. fu condotto a Firenze nel carcere dell'inquisizione del convento di S. Croce, insieme con alcuni compagni. Dalla deposizione di fra' Tommaso da Foligno al processo di canonizzazione di s. Chiara risulta che B. il 22 giugno 1319 era ancora vivo in carcere. La sua morte deve essere avvenuta tra questa data e il 1332, anno in cui Alvaro Pelagio scrisse il De Planctu Ecclesiae, dal quale risulta già morto.
Anche dopo la condanna di B. la setta dello "Spirito della libertà" continuò sicuramente ad avere seguaci. Essa veniva condannata il 10 apr. 1311 da Clemente V con la bolla Dilectus Domini, e Rainerio, vescovo di Cremona, veniva nominato inquisitore nella valle di Spoleto al fine di estirpare l'eresia. Tracce di questa sono rinvenibili forse anche successivamente e in altre zone d'Italia (cfr. Oliger, pp. 79 ss.).
Fonti e Bibl.: Per un'analisi minuta delle fonti, per l'edizione dei testi principali, e per la bibliografia si rimanda a L. Oliger, De secta spiritus libertatis in Umbria saec. XIV. Disquisitio et Documenta, Roma 1943, ad Indicem; alcune precisazioni sulle teorie di B., messe in relazione a quelle di altri eretici, in R. Guarnieri, Il movimento del Libero spirito dalle origini al sec. XVI, in Arch. ital. per la stbria della pietà, IV (1965), pp. 405-408.