FEDERIGHI, Benozzo
Nacque a Firenze attorno al 1370 da Francesco di Lapo e dalla sua prima moglie, Bice di Domenico Rucellai.
La famiglia Federighi, immigrata a Firenze da Sovigliana, piccolo borgo presso Empoli, aveva nel corso del sec. XIV acquisito una solida posizione economica e grande influenza politica; in particolare il padre del F. era stato nel periodo compreso tra il 1382 e il 1411 quasi ininterrottamente impegnato in particolari incarichi pubblici ed importanti missioni diplomatiche.
Non sappiamo dove il F. abbia compiuto gli studi né come e quando sia avvenuto il suo ingresso nello status ecclesiastico; si può solo ipotizzare che la posizione e le relazioni della sua famiglia gli abbiano consentito un'adeguata preparazione culturale e di adire ai benefici ecclesiastici fino dalla più giovane età. La prima notizia che lo riguardi direttamente risale al 1398. Essendo morto, il 7 luglio di quell'anno, ottaviano di Mariotto Orlandini, canonico della cattedrale di Firenze, il F. fu chiamato a prenderne il posto, con un provvedimento da alcuni considerato simoniaco (C. Salutati, Epistolario).
Tale decisione deluse le speranze di Coluecio Salutati, cancelliere della Repubblica fiorentina, che avrebbe voluto tale canonicato per uno dei suoi figli e si era già da tempo adoperato in tal senso presso il papa, ricevendone favorevoli assicurazioni. Anche il capitolo della maggiore chiesa fiorentina ne fu scontento, dato che si era riunito lo stesso giorno della morte dell'Orlandini ed aveva designato Piero Salutati come successore.
All'epoca in cui divenne canonico del duomo di Firenze, il F. cumulava già diversi benefici ecclesiastici: era protonotaro apostolico, canonico della cattedrale di Fiesole e di quella di Pistoia, precettore dell'ospedale di S. Antonio di Pescia e rettore della pieve di S. Maria a Cilicciavola; in seguito divenne anche rettore della chiesa fiorentina di S. Cecilia, ove lasciò per ricordo uno stemma in pietra della sua famiglia.
La Chiesa era in questo periodo travagliata dallo scisma di Occidente, che dal 1378 vedeva il clero diviso tra l'obbedienza a due pontefici. Tale stato di cose aveva prodotto danni gravissimi all'autorità pontificia, che, sul piano ecclesiastico, avevano causato un generale deterioramento della disciplina e dei costumi del clero, mentre sul piano politico avevano favorito le ambizioni indipendentistiche ed espansionistiche di città e signorie dell'Italia centrale già facenti parte dei domini pontifici. Per tali motivi la Repubblica fiorentina era tra gli Stati italiani che più si adoperavano per porre fine a questa situazione, ma il tentativo operato in tal senso con la convocazione del concilio di Pisa (1409) aveva addirittura peggiorato la situazione, poiché ai due papi che si contendevano la cattedra di Pietro se ne era aggiunto un terzo, Alessandro V, eletto dal concilio di Pisa; e quando questi morì (1410) al suo posto venne subito eletto Baldassarre Cossa, con il nome di Giovanni XXIII.
Come la maggior parte del clero fiorentino, il F. si allineò con il governo della Repubblica nell'obbedienza al papa pisano, di cui fu anche collettore apostolico in occasione della decima da lui indetta.
Sanato finalmente lo scisma dal concilio di Costanza, con l'elezione, avvenuta l'11 nov. 1417, di papa Martino V, la Repubblica fiorentina inviò un'ambasceria al nuovo pontefice per congratularsi dell'evento. Nell'istruzione approntata per gli ambasciatori si faceva esplicita menzione del F., che essi dovevano raccomandare all'attenzione del pontefice.
Nel 1421si rese vacante la sede vescovile di Fiesole, per la morte di Bindp Rustichelli. Martino V designò, con il consenso dei canonici di Fiesole, il F. a succedergli, sebbene il governo fiorentino avesse, con lettera del 27 ottobre di quell'anno, espresso la propria preferenza per Antonio de' Nerli e la potente famiglia fiorentina degli Albizzi si fosse adoperata per far eleggere un proprio congiunto.
Il F., tuttavia, prima di accettare la nomina, indirizzò una supplica al governo fiorentino, in cui chiedeva di poter accedere alla carica senza pregiudizio. Egli infatti sapeva che nell'ordinamento della Repubblica esisteva una norma che prevedeva pesanti ritorsioni per i cittadini che avessero accettato l'elezione al vescovato di Fiesole, come a quello di Firenze, senza il placet governativo.
Tale norma risaliva al 7 luglio 1375, epoca dello scoppio della guerra detta degli otto santi ed intendeva colpire la fazione (composta da famiglie come gli Albizzi e i Corsini) che alle prime avvisaglie del conflitto si era schierata con il papa. Nonostante la pace, seguita il 28 luglio 1378, che aveva come condizione l'annullamento di tale legge, essa era rimasta in vigore ed era stata recepita nella nuova redazione degli statuti fiorentini del 1415. Essa fu abolita, e in via provvisoria, soltanto nel 1439 (A. Panella, La guerra degliotto santi e le vicende della legge sui vescovi, in Arch. stor. ital., XCIX (1941), pp. 40 ss.).
Sebbene nessun vescovo di Fiesole o di Firenze fosse mai stato colpito da sanzioni, la prudenza del F. fu molto apprezzata e gli valse la definitiva fiducia del governo fiorentino che, ad ogni occasione, non mancò di raccomandare al papa il F., cui si attribuivano grandi doti di dottrina ed una esemplare condotta. Il 21 nov. 1422, avendo saputo che il papa era in procinto di creare dei nuovi cardinali, la Signoria scrisse a Roma a Bartolomeo Bardi, proponendo per tale dignità alcuni prelati fiorentini. tra cui il Federighi. Il 21 marzo 1431 la solenne ambasceria inviata da Firenze a congratularsi con papa Eugenio IV per la sua elezione aveva anche l'incarico di raccomandarlo al nuovo pontefice. Nel 1445, essendo morto l'arcivescovo di Firenze B. Zabarella, la Signoria scrisse al papa chiedendo che il successore fosse scelto tra tre candidati fiorentini, tra cui il F.; il papa scelse invece Antonino Pierozzi.
Papa Eugenio IV, dal canto suo, non mancò di attribuire al F. alcuni incarichi speciali e di farsi rappresentare da lui in diverse occasioni: nel dicembre 1432 gli affidò l'incarico di dirimere una controversia sorta tra i canonici della basilica fiorentina di S. Lorenzo e quelli della metropolitana, a motivo del privilegio reclamato da ambo le parti di portare le "almuzie". Egli risolse il caso nel mese di febbraio dell'anno successivo a favore del capitolo di S. Lorenzo. Nel mese di ottobre 1435, avendo il papa designato come arcivescovo di Firenze il patriarca di Alessandria, Giovanni Vitelleschi, il F. prese possesso, a nome del nuovo eletto, dell'arcidiocesi. Il 13 marzo 1446, nella chiesa di S. Domenico di Fiesole, egli, insieme col vescovo di Pistoia Donato de' Medici, consacrò Antonino Pierozzi arcivescovo di Firenze.
Sull'attività pastorale del F. all'interno della diocesi fiesolana ci informano i verbali di una visita da lui condotta tra il 1434 e il 1439, che lo portò in 340 chiese, 26 oratori, 12 monasteri, 83 confraternite e 34 ospedali. Da questi verbali emergono le precarie condizioni morali e materiali del popolo della diocesi, su cui avevano pesantemente influito le ripercussioni dello scisma: molti rettori di chiese e parrocchie non possedevano neppure il messale né il breviario e non era raro neanche il caso di chierici analfabeti. Generalmente ignorati erano anche l'obbligo, per i rettori eletti dal popolo o da patroni laici, di far approvare l'elezione dal vescovo e quello delle confraternite di far approvare allo stesso i capitoli e gli statuti con cui si regolavano. Il F. fu piuttosto severo nel richiamare all'osservanza di questi doveri: nei casi più gravi di inadempienza non esitò a comminare la scomunica.
Per pochi mesi - dal luglio al settembre 1439 - la visita pastorale, per gli altri periodi condotta personalmente dal F., fu portata avanti da un suo vicario, poiché egli si dice "occupatus in curia romana certis causis de novo emergentibus". É probabile che il F., che fino a quel momento aveva seguito i lavori del concilio di Firenze, portando avanti nel contempo la visita pastorale, avesse seguito a Roma papa Eugenio IV. La sua partecipazione al concilio che vide riunite la Chiesa latina e quella greca è provata dalla sottoscrizione "Ego Benotius episcopus Fesularum, subscripsi", in calce al decreto di unione.
Nel 1437, essendosi diffusa la notizia, rivelatasi poi falsa, della morte di Giuliano de' Ricci, arcivescovo di Pisa, sembrò che il F. sarebbe stato chiamato a succedergli; rimase invece alla guida della diocesi fiesolana fino alla morte.
Morì a Firenze, nel palazzo annesso alla chiesa di S. Maria in Campo, tradizionale residenza dei vescovi di Fiesole fino dal secolo XIII, il 27 luglio 1450.
Fu sepolto nella chiesa di S. Pancrazio, nella cappella di famiglia; il suo sepolcro fu opera di Luca Della Robbia.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. naz., Poligrafo Gargani 790; Arch. di Stato di Firenze, Provvisioni. Registri, reg- 31, C. 12; Signori. Legazioni e Commissarie. Elezioni e istruzioni a oratori, reg. 9, c. 32; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1867, pp. 301, 329, 355; C. Salutati, Epistole, a cura di F. Novati, III, Roma 1896, pp. 312, 316 s.; IV, ibid. 1911, pp. 422, 556; S. Ammirato, Vescovi di Fiesole, di Volterra e d'Arezzo, Firenze 1637, pp. 45 s.; F. Ughelli-N. Coletì, Italia sacra, II, Venetiis 1717, col- 334; D. M. Manni, Osservazioni sopra i sigilli antichi dei secoli bassi, XII, Firenze 1743, p. 37; S. Salvini, Catalogo cronologico dei canonici della chiesa metropolitana fiorentina, Firenze 1782, p. 28; G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani, XX, Firenze 1785, p. 206; D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche dell'ambrosiana imperiale basilica di S. Lorenzo, I, Firenze 1816, pp. 38 s.; V. Chiaroni, Lo scisma greco e il concilio di Firenze, Firenze 1938, p. 86; M. Barducci, La diocesi di Fiesole in una visita pastorale del Quattrocento, in Tra spiritualismo e riforma, Firenze 1979, pp. 61 s., 70 s., 73; G. Raspini, Fiesole. Una diocesi nella storia, Fiesole 1986, pp. 49, 119, 122, 207, 224, 229, 268; C. Eubel, Hierarchia catholica medii aevi, I, Monasterii 1913, p. 258; II, ibid. 1914, p. 154.