BENOZZO di Lese (Benozzo Gozzoli)
Nato a Firenze intorno al 1420, figlio di Lese (Alessio) di Sandro, fu chiamato Benozzo Gozzoli per la prima volta dal Vasari nella seconda edizione (1568) delle Vite e non si sa con quale giustificazione. Il nome Gozzoli non appare mai, infatti, né in documenti relativi al pittore, né in alcuna sua opera firmata.
Il primo documento che riguarda la sua attività è il contratto che il 24 genn. 1444 lo impegna per tre anni comeaiuto del Ghiberti nell'esecuzione della porta est del battistero fiorentino. E presso il Ghiberti lavora nel 1444, 1445, 1446. Ma egli era nato all'arte con il Beato Angelico: si suppone con fondamento che fosse suo aiuto durante i lavori (1436-1443) nel convento di S. Marco a Firenze, e con lui lavorava nel marzo dell'anno 1447 in Vaticano e nel giugno dello stesso anno a Orvieto, nella cappella di S. Brizio in duomo (nei documenti che riguardano la decorazione della cappella di S. Brizio il nome di B. compare nuovamente nel 1448 e 1449). È anche probabile che sia stato aiuto dell'Angelico negli affreschi della cappella Niccolina in Vaticano eseguiti in quegli stessi anni.
B. si rese indipendente tardi, sui trent'anni, e sempre sotto l'influenza della mistica severità del maestro. Ma anche la consuetudine col Ghiberti lasciò in lui una traccia evidente: quella sua amorosa attenzione al mondo che lo circonda e quel suo piacevole materializzare l'Angelico. Al suo primo soggiorno romano va probabilmente riferita una delicata Madonna in gloria, nella parrocchiale di Sermoneta, che ancora lo rivela vicino all'Angelico, nella sottile gamma dei colori e nella grazia dell'espressione, anche se lontana dall'intìma spiritualità del frate. Opera giovanile è considerata dal Berenson anche una tavola con l'Annunciazione, conservata nel municipio di Narni.
La prima attività autonoma venne svolta da B. a Montefalco, dove arrivò nel 1450. Lì, nella chiesa di S. Fortunato, dipinse ad affresco, tra l'altro, sulla parete di destra, una Madonna col Bambino e un angelo (firm. e datata 1450); un polittico con la Madonna della cintola, dipinto per l'altar maggiore della stessa chiesa, è ora conservato nella Pinacoteca vaticana. Immediatamente dopo iniziò due cicli di affreschi nella chiesa di S. Francesco: Storie di s. Girolamo nella cappella intitolata al santo e Storie di s. Francesco nel coro; ambedue i cicli recano segnato il nome di B. e la data del loro compimento, 1452.
Sono forse gli anni suoi migliori: più spontanea e semplice è la sua arte pervasa ancora dallo spirito contemplante dell'Angelico, lontana da quella ricercatezza artigianale che apparirà nelle opere della maturità. La semplicità stessa della vita dei due santi lo induce a un modo di narrare spoglio, mentre con ogni probabilità rivive in lui l'eco delle severe storie francescane che Giotto aveva dipinto quasi due secoli prima nella basilica superiore della vicina Assisi. Il disegno è puro, nitido nello scandire, con figure allungate e nervose, lo spazio semplice di un paesaggio punteggiato da alberi e costruzioni fortemente aderenti a modelli reali. Eppure l'attenzione di B. si attarda ormai su molti particolari della vita quotidiana, del costume, dell'ambiente e si determina fin da ora la sua qualità di narratore fedele di vicende storiche. Un ricordo dell'Angelico è nei colori tersi, brillanti, che schiarano dolcemente nell'azzurro del cielo, nei verdi dei campi e nelle pietre delle città.
Nel 1453 B. dipinse a Viterbo le Storie di s. Rosa, purtroppo perdute: alcuni disegni a penna acquerellati di Francesco Sabbatini (XVII sec.), conservati nel Museo civico di Viterbo, permettono appena di intuirne la vena narrativa. Il contatto con le più arcaiche correnti artistiche umbre e laziali rallenta, e da ultimo finisce per arrestare lo sviluppo dell'artista a fianco dei grandi pittori della rinascita fiorentina.
Del 1456 è la pala con Vergine e santi eseguita per il collegio della Sapienza a Perugia (oggi in Pinacoteca), l'ultima sua opera ancora di semplice e spontanea struttura. Nel settembre del 1458 B. si trovava a Roma occupato a dipingere stendardi per l'incoronazione di Pio II; a questo soggiorno deve risalire l'attività per i francescani dell'Aracoeli dove dipinse nella cappella Cesarini scene della Vita di s. Antonio, perdute ad eccezione di un S. Antonio con due donatori. Ancora di B. esiste a Roma un affresco (Madonna in trono con angeli) nella chiesa dei SS. Domenico e Sisto e un tabernacolo presso la chiesa di S. Maria in Campitelli.
Probabilmente fu Cosimo de' Medici che chiamò a Firenze da Roma B., perché lavorasse nel palazzo di famiglia in via Larga. Sul finire del 1458 egli iniziò la sua fatica sulle pareti della cappella affrescandovi il Corteo dei Magi.
Molto probabilmente il tema gli fu suggerito dai committenti, ma il corteo dei re fu pretesto al pittore per dare libero sfogo alla fantasia, per descrivere piacevolmente fatti e personaggi contemporanei, nell'ambiente familiare dei giardini medicei e dei colli fiorentini, un poco stilizzati e idealizzati. A distanza di quasi cinquanta anni, è il mondo fastoso di Gentile da Fabriano che ritorna., trasformato naturalmente dall'esperienza del primo Rinascimento. Il ricordo, ancora recente, del concilio di Firenze, svoltosi nel 1439, rivive nella parata dei cavalieri, nelle vesti lussuose, nei broccati, nei cuoi lavorati, nei tipi dei personaggi che il pittore ancora giovane aveva visto a Firenze. La luce di B., lontana dalla credibilità della luce masaccesca, è fatta di raggi luminosi che vibrano di un chiarore ancora misteriosamente notturno e fanno brillare un po' artificiosamente le dorature degli alberi, le borchie, gli speroni, le stoffe marezzate e intrise d'oro. In tre lettere del 1459 (10 luglio, 11 e 23 settembre) B. dà notizie dei lavoro a Piero il Gottoso che seguiva personalmente la decorazione della cappella (cfr. Gaye, pp. 191194); specialmente significativa quella del 10 luglio ("...el lavoro io seghuito quanto posso: quelchio non farò rimarrà per non sapere"), dove sembra si possa intuire quasi una consapevolezza di essere superato nell'ambiente artistico fiorentino di quegli anni, che era pieno di nuovi fermenti e di nuove affermazioni.
Comunque, sta di fatto che B. abbandonò di nuovo la sua città, assumendo lavori a San Gimignano e a Pisa. Prima di partire dipinse una pala d'altare per la Compagnia della purificazione presso S. Marco, datata 23 ott. 1461, conservata oggi nella National Gallery di Londra: rappresenta la Madonna in trono fra i ss. Zanobi, Giovanni Battista, Pietro e Domenico;la predella è dispersa in vari musei: Miracolo di s. Zanobi, Staatliche Museen, Berlino-Dahlem; Miracolo di s. Domenico, Milano, Brera; Caduta di Simon Mago, Londra, Buckingam Palace; Danza di Salomè, Washington, Nat. Gall., coll. Kress; Purificazione della Vergine, Filadelfia, Museo Johnson (cfr. Shapley, 1952).
A San Gimignano B. dipinse ad affresco nella collegiata un Martirio di s. Sebastiano (firmato e datato 1465) e in S. Agostino un S. Sebastiano (1464) in una complessa raffigurazione di carattere votivo per l'altare dedicato al santo. In S. Agostino affrescò il coro con le Storie del santo (1464-1465, date segnate in due dei riquadri). Egli torna ora a dipingere nella maniera semplice e schietta, anche se qui meno ingenua, di Montefalco.
Le Storie di s. Agostino sono divise in diciassette riquadri e sono ricche di piacevoli invenzioni, di episodi popolari tratti dalla vita quotidiana della piccola città, e vi sono rappresentati certamente personaggi vivi e reali, tanta è l'immediatezza ritrattistica di molti volti arguti o incantati di sapore gustosamente paesano. E ogni scena è sottolineata da vivaci note paesistiche e campestri dove si perde il gusto del pittore. Nel ciclo di s. Agostino B. si valse dell'aiuto di Giusto d'andrea (cfr. Gaye, I, p. 212), che fu suo collaboratore anche negli affreschi del tabernacolo dei giustiziati presso il ponte dell'Agliena a Certaldo, eseguiti nel 1466 (cfr. Gaye, I, p. 213; Baldini-Berti, 1958; Dal Poggetto, 1963).
Al 1466 risalgono diverse tavole tutte segnate col nome di B. e datate: fra esse, la tavola con lo Sposalizio di s. Caterina di Temi. Durante il soggiorno a San Gimignano attese inoltre al restauro della Maestà di Lippo Memmi nella sala del Consiglio del Palazzo comunale: un'iscrizione porta il nome di B. e la data del lavoro (1467), che gli era stato commissionato il 22 apr. 1466.
Infine, dal 1468, B., ormai anziano, risiedette a Pisa, e lavorò nel Camposanto sino al 1484 raggiungendo nella città una grande fama.
Indubbiamente la composizione degli affreschi pisani, che rappresentano Storie dell'Antico Testamento, fu l'opera sua più completa e più vasta, e numerosi documenti ci permettono di seguire passo passo dall'inizio sino alla fine quella sua attività "terribilissima" (Vasari). Purtroppo, dopo i danni causati dall'incendio del 1944, verificatosi per cause belliche, l'opera di B. può dare oggi solo una pallida idea della vivacità e della fantasia che egli vi prodigò creando il suo capolavoro. Anche lì, l'estro del pittore narratore trovò una fonte continua di ispirazione nel paesaggio, scenario ampio e vario, nei personaggi biblici che, vestiti nei più ricchi costumi dei tempo, agivano e vivevano le loro scene come cerimonie e feste contemporanee. Spesso i volti vivacemente individualizzati appaiono, pur nella pallida immagine che ne èrimasta, come ritratti di persone reali e conosciute. Era l'allegria di una scena agreste che faceva da sfondo all'Ebrezza di Noè, compiuta per prova il 1° genn. 1469, mentre altrove affiorano elementi architettonici, ricordi della più recente esperienza fiorentina brunelleschiana ed eco nostalgica della classicità romana, come nella Costruzione della torre di Babele e nella scena con Abramo e gli adoratori di Belo, mentre il paesaggio trionfava nella Partenza di Abramo e di Lot verso la Palestina, tanto da divenire il protagonista. Timido, quasi impacciato, lo studio della prospettiva pierfrancescana si profila nelle più studìate e risolte architetture che fanno da sfondo all'Infanzia e giovinezza di Mosè. Tutti questi affreschi dopo la guerra furono restaurati e, con infinita pazienza, in parte recuperati. Il successivo distacco portò alla scoperta di numerose sinopie che valgono oggi a integrare l'opera invero non molto vasta del B. disegnatore. Alcune sono rapidi schizzi, quasi solo impressioni non di una scena intera, ma di un atteggiamento, di un volto, di un panneggio, altre invece sono una preparazione completa di una intera scena, studiata attentamente nei particolari chiaroscurali che assumono talvolta un valore plastico non più raggiunto dall'affresco compiuto. Nei lavori del Camposanto B. fu affiancato da aiuti, dei quali i documenti pisani ci tramandano i nomi, non altrimenti noti: fra essi un suo fratello, Bernardo.
Numerose altre opere B. compose contemporaneamente agli affreschi del Camposanto, e il Vasari ne dà particolareggiate notizie. Purtroppo esse sono per lo più perdute, come gli affreschi con le Storie di s. Benedetto dipinti "alle monache di S. Benedetto a Ripa d'arno" (Vasari). Si citano fra le opere rimaste di questo periodo: una tavola con Madonna e santi, ora nel Museo civico (1468; da S. Benedetto), dove si conserva anche una tavola con Madonna, s. Anna e donatrici;un affresco con Gesù crocefisso fra santi nel refettorio dell'ex convento di S. Domenico (oggi Istituto di ricovero e di educazione); una Crocefissione su tavola nella chiesa di S. Domenico; il Trionfo di s. Tommaso d'Aquino, dipinto per il duomo, ora al Louvre; una Madonna in trono tra santi, datata 17 marzo 1473, ora nel Museo di Colonia. .
B. rimase a Pisa ancora diversi anni dopo il compimento degli affreschi del Camposanto, occupato in vari lavori. Ancora nel 1495 è citato in un documento di pagamento. Nel 1497 è a Firenze fra gli stimatori delle pitture di Alessio Baldovinetti in S. Trinita. Nel maggio di quell'anno a Firenze, scoppiò la peste: per sfuggirla B. si rifugiò a Pistoia, ma il male lo raggiunse e lo portò il 4 ott. 1497 a morte. Fu sepolto a Pistoia nel convento di S. Domenico; rimase così inutilizzata la sepoltura che i Pisani gli avevano preparato nel loro monumentale camposanto.
Il Vasari chiude la vita di B. cosi: "visse Benozzo costumatissimamente sempre e da vero cristiano, consumando tutta la vita sua in esercizio onorato". E di questa vita onorata, come dei carattere suo dolcissimo, è specchio l'arte sua modesta, ma piacevole e ricca di grazie da fiaba serena e di immagini semplici, talora un po' goffe, ma spesso inimediate e colte nella vita quotidiana del tempo.
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