ZACCAGNINI, Benigno Giuseppe.
– Nacque a Faenza il 17 aprile 1912, quintogenito di Aristide (Imola, 22 luglio 1879-Ravenna, 29 febbraio 1960), ferroviere, e di Rita Scardovi (Sant’Agata sul Santerno, 1881-Ravenna, 1954), casalinga. Ebbe quattro sorelle e due fratelli: Gioconda (nata e morta nel 1905), Gioconda (1906-2001), Domenica (1908-2007), Santina (1909-2013), Oslavio (1916-1918) e Giuseppe (1918-2010).
Per via del lavoro di suo padre, si trasferì nel 1913 dalla Romagna a Mozzecane, piccolo centro in provincia di Verona, dove rimase con la sua famiglia fino al 1923. La prima educazione cattolica gli fu data in famiglia e poi nell’asilo delle Piccole suore della Sacra famiglia. Nel paese veneto svolse poi il corso di studi elementare, continuando come pendolare a Verona, dove frequentò la prima e la seconda ginnasiale. Completò il ginnasio prima a Parma, dove fu allievo dei salesiani, quindi a Ravenna, dove svolse la parte restante del ciclo liceale, e dove a diciassette anni risultò vincitore di un concorso catechistico e a diciannove divenne presidente diocesano della Gioventù italiana di Azione cattolica. Nel frattempo il padre, licenziato dalle ferrovie per la sua fede antifascista, venne assunto, grazie all’intermediazione di monsignor Antonio Lega, presso l’Agenzia viaggi del Credito romagnolo. In quel periodo contribuirono in maniera determinante alla formazione ideale e spirituale in senso antitotalitario di Zaccagnini vari rappresentanti del clero democratico e antifascista: Nicola Silvagni, Giovanni Minzoni, Primo Mazzolari; Giuseppe Sangiorgi, Luigi Sturzo, cui si affiancarono modelli di difesa della libertà politica e civile, come quelli offerti dai laici Alcide De Gasperi e Giuseppe Donati.
Completato il liceo, Zaccagnini si iscrisse nel 1930 alla facoltà di medicina dell’Università degli studi di Bologna, conseguendo il 26 giugno 1936 la laurea con una tesi dal titolo La morbilità in rapporto alla costituzione morfologica individuale (relatore prof. Giacinto Viola, ordinario di clinica medica e terapia medica). Si specializzò l’anno successivo in clinica pediatrica presso l’Università di Siena. Contemporaneamente agli anni universitari si iscrisse alla Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI).
Tornato a Ravenna, cominciò la sua professione sanitaria come direttore medico del poliambulatorio dell’Ospizio cronici e abbandonati S. Teresa del Bambino Gesù, che accoglieva persone in stato di forte disagio sociale e fisico; riorganizzò il Segretariato S. Pier Damiani e ricoprì l’incarico di presidente diocesano dei Giovani di Azione cattolica (1938-41): durante tale incarico incontrò, il 21 luglio 1939 a Ravenna in arcivescovado, il nuovo presidente nazionale della FUCI, Aldo Moro.
Dopo la frequenza della Scuola allievi ufficiali a Firenze, nel 1941 passò al 28° reggimento fanteria della brigata Pavia di stanza a Cesena. Nel 1942 andò a Lecce e due mesi dopo l’arrivo fu inviato come tenente medico di complemento in Slovenia nella brigata Macerata. Si distinse, in particolare, per le azioni compiute il 2 ottobre 1942 alle pendici della Crni Vhr, meritando la croce al valor militare.
Dopo l’8 settembre 1943 riuscì a sfuggire con ingegno alla deportazione in un campo di concentramento in Germania; inorridito dalla violenza bellica, maturò il desiderio di tornare a Ravenna al suo vecchio lavoro di medico, ma tale volontà di ripiegamento nel privato durò poco nella sua coscienza: dinanzi allo sfacelo di tutte le strutture del mondo cattolico italiano e alle devastazioni prodotte dalla guerra totale ancora in atto nell’Italia divisa in due e abbandonata a se stessa dalla sua classe politica dirigente, Zaccagnini insieme ad altri suoi compagni dell’Azione cattolica romagnola scelse, nell’ottobre del 1943, di non rimanere semplice spettatore degli eventi ma di divenire membro attivo della Resistenza all’occupazione nazifascista.
Nel 1944 Zaccagnini (nome di battaglia da partigiano, Tommaso Moro) divenne presidente del Comitato di liberazione nazionale (CLN) provinciale di Ravenna con il sostegno di tutte le forze politiche antifasciste. Dal gennaio all’agosto del 1945 fu direttore del quotidiano e organo del CLN provinciale La Democrazia, divenendo così una delle personalità più note e seguite della nascente Democrazia cristiana (DC) ravennate.
Appena terminata la guerra sposò in una cerimonia celebrata da suo fratello don Giuseppe a Ravenna, il 26 maggio 1945, Maria Anna Busignani (Ravenna, 1921-2019), casalinga, figlia di Alfredo (1889-1971, geometra) e di Livia Vitali (1889-1938, maestra elementare).
Dal matrimonio nacquero sei figli: Livia (1946), Maria Grazia Rita (1947-1957), Carlo Francesco Maria (1947), Giovanni (1949), Luca (1953-1969) e Stefano (1957-2018).
Nel 1946 venne eletto nel collegio di Bologna, con 11.121 voti, all’Assemblea costituente, andando a posizionarsi nell’area della sinistra democristiana con Moro, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani e Giorgio La Pira. Nel 1948 fu eletto deputato nella prima legislatura repubblicana con 16.000 voti di preferenza nella sua storica circoscrizione XII di Bologna: rimase alla Camera fino al 1983, quando entrò a far parte del Senato fino al 1989, e dal 1979 al 1981 fu anche europarlamentare.
Diversi e numerosi furono gli incarichi ricoperti all’interno dell’assemblea di Montecitorio: fra il 1948 e il 1949 fu componente di varie commissioni: Difesa, Affari interni, Agricoltura e alimentazione; per passare negli anni successivi all’Industria e Commercio (1958-62) e agli Esteri (1961-72). Dal 5 giugno 1968 al 1975 fu vicepresidente della Camera e nel 1972, per un breve periodo, presidente provvisorio della Camera dei deputati; continuò a essere componente della Commissione esteri fino alla fine dei suoi mandati parlamentari a Montecitorio, nel 1983, e al Senato ricoprì lo stesso ruolo fino al 1989. Oltre agli incarichi parlamentari fu consigliere comunale di Ravenna dall’immediato dopoguerra sin quasi alla metà degli anni Sessanta, e presidente provinciale della Federazione coltivatori diretti fin dalla sua fondazione nel secondo dopoguerra.
Per quel che concerne gli incarichi nazionali di governo, Zaccagnini fu sottosegretario di Stato al Lavoro e alla Previdenza sociale dal 3 luglio 1958 al 15 febbraio 1959 (II governo Fanfani); ministro del Lavoro e della Previdenza sociale dal 15 febbraio 1959 al 25 marzo 1960 (II governo Segni) e dal 25 marzo 1960 al 26 luglio 1960 (governo Tambroni); ministro dei Lavori pubblici dal 26 luglio 1960 al 21 febbraio 1962 (III Governo Fanfani).
All’interno della DC, il primo incarico di rilievo gli venne affidato dal segretario politico De Gasperi nell’ottobre del 1953, quando lo nominò direttore dell’Ufficio problemi del lavoro, «incarico che mantenne anche dopo l’avvento di Fanfani alla segreteria e che per i successivi cinque anni costituì il trampolino di lancio per la sua consacrazione a esponente politico di rilevanza nazionale» (Parente - Salsano, 2013, p. 60).
Convinto sostenitore della linea politica del centro-sinistra fortemente voluta da Moro, Zaccagnini fu eletto nel 1963, con 140 voti contro i 99 di Oscar Luigi Scalfaro, presidente del gruppo parlamentare democristiano alla Camera, incarico mantenuto fino al 1968. Nel luglio del 1969 fu eletto presidente del Consiglio nazionale della DC; nel 1971, a seguito di uno stallo politico nell’elezione del presidente della Repubblica, gli venne proposto dai suoi colleghi più importanti di partito la candidatura a capo dello Stato, ma declinò la proposta; mantenne invece il ruolo di presidente della DC fino al luglio del 1975, quando fu eletto segretario nazionale del partito, sostenuto in particolare dalla corrente morotea e sconfiggendo l’ala conservatrice che aveva proposto come candidato Arnaldo Forlani.
Rimase segretario fino al febbraio del 1980, non ricoprendo più, dopo quella data, altre cariche di rilievo all’interno del partito.
Zaccagnini si fece interprete all’interno della DC delle istanze sociali e popolari che erano alla base del consenso politico di lungo periodo dato al partito: un partito che mai avrebbe dovuto diventare il comitato d’affari della borghesia capitalistica con tendenze conservatrici se non, in alcuni frangenti, reazionarie: la DC avrebbe dovuto essere e rimanere per lui partito popolare, democratico, aperto, moderno, attento ai cambiamenti storici e alla difesa di una laicità intesa come imprescindibile spazio di libertà di espressione e di autonomia rispetto a ogni tentazione di clericalizzazione.
In questa prospettiva politica Zaccagnini sostenne le formule che consentirono alla DC di guardare alla sua sinistra, verso dapprima il polo socialista, allontanatosi dalla prospettiva rivoluzionaria, totalitaria e filosovietica, e in seconda battuta verso il Partito comunista italiano (PCI).
Radicalmente persuaso che la politica fosse concepibile soltanto come servizio per la comunità e insieme come campo di responsabilità individuali e collettive compiute per il bene del Paese, Zaccagnini non mancò di criticare aspramente il suo partito come quando nel 1974 gli apparve che avesse smarrito proprio questa sua caratteristica-principe: essere partito di servizio e non di mera occupazione e gestione clientelare del potere locale e nazionale, come stava apparendo a una gran parte della popolazione italiana.
La sua elezione alla segreteria nazionale, avvenuta il 25 luglio 1975 e rinnovata dal XIII Congresso romano della DC (18-24 marzo 1976), indicò proprio l’esigenza diffusa fra l’elettorato democristiano di rilanciare una formazione politica e un assetto incentrato sui governi dello scudo crociato che apparivano incerti e in forte affanno dopo la dura sconfitta referendaria sul divorzio (1974) e la crisi economica generale dell’Italia dovuta alla crisi petrolifera mondiale. In sintonia con Moro, Zaccagnini elaborò una proposta programmatica capace di inaugurare una nuova stagione politica, la cosiddetta terza fase (dopo il centrismo degasperiano fra gli anni Quaranta e Cinquanta e il centro-sinistra moroteo-fanfaniano degli anni Sessanta) in cui fosse centrale una operazione di confronto e di dialogo aperto con il PCI retto dal segretario Enrico Berlinguer. Quest’ultimo aveva infatti lanciato nel 1973 la proposta del compromesso storico fra le maggiori forze politiche del Paese: la DC, il PCI e il Partito socialista italiano (PSI) per garantire stabilità all’Italia dinanzi alla duplice sfida del terrorismo e della crisi economica.
Tuttavia tale proposta fu respinta da Zaccagnini e da Moro in quanto ritenuta foriera di possibili patti consociativi e trasformistici che avrebbero potuto degenerare in confusione politica e parlamentare, non riuscendo più a distinguere le responsabilità della maggioranza da quelle delle opposizioni. A tale iniziativa il gruppo dirigente DC (con alla testa proprio Moro e Zaccagnini) rispose con ‘la politica del confronto’, ovvero con l’apertura di uno spazio di comunicazione con il PCI sui principali temi economici e sociali del Paese, senza insormontabili pregiudiziali ideologiche ma neppure senza cedimenti sulla linea del governo del Paese (B. Zaccagnini, Una proposta al Paese, Firenze 1976; Id., La politica del confronto, Cassino 1979). Nacque così la fase della ‘solidarietà nazionale’ con il governo a guida Giulio Andreotti (31 luglio 1976-11 marzo 1978), il primo a godere della ‘non-sfiducia’ del PCI, partito che entrò nell’area della maggioranza di governo con il quarto esecutivo Andreotti (11 marzo 1978-21 marzo 1979) nella tragica giornata del 16 marzo 1978, quando, in concomitanza con il rapimento di Moro e l’uccisione dei suoi cinque agenti di scorta, votò la fiducia al nuovo ministero.
I cinquantacinque giorni del sequestro Moro furono per il segretario Zaccagnini tempo di forte tormento e lacerazione interiore. Egli infatti si fece esponente insieme a tutto il partito della linea della fermezza, ovvero di quella posizione che non intendeva trattare con i terroristi riconoscendo loro una dignità politica di interlocuzione che avrebbe significato di fatto la resa morale e politica dello Stato democratico dinanzi al ricatto della violenza. Pur collaborando e agevolando segrete linee parallele di trattativa, rimase incrollabile sul fronte della fermezza e questo gli costò la durissima reazione di Moro che dalla prigionia brigatista lo additò come uno dei principali responsabili della sua prossima fine.
La conclusione dolorosa del rapimento dello statista democristiano con il ritrovamento del cadavere a Roma il 9 maggio 1978, fu un momento durissimo per Zaccagnini, che di lì a poco tempo, durante il XIV Congresso nazionale del partito nel febbraio del 1980, lasciò la segreteria politica: la DC stava per intraprendere la nuova stagione politica del pentapartito centrata sull’alleanza con il PSI di Bettino Craxi, abbandonando così la strategia del confronto con il PCI fortemente voluta da Zaccagnini, che continuò a essere parlamentare per il successivo decennio senza tuttavia essere più al centro della scena politica.
Colpito da infarto, morì a Ravenna il 5 novembre 1989.
Opere. Oltre ai vari interventi su quotidiani e riviste di cultura e di politica, si vedano in particolare: Presenza dei Cattolici nella Provincia di Ravenna, Medaglia d’oro al V.M., in Il contributo dei Cattolici alla lotta di Liberazione in Emilia-Romagna, a cura di G. Cavalli, Milano 1966, pp. 151-158; La partecipazione dei cattolici al CLN, in La Resistenza in Emilia Romagna. Raccolta di saggi critico-storici, a cura di L. Bergonzini, Bologna 1976, pp. 315-329; La testimonianza di don Mazzolari, Roma 1976 (con P. Scoppola); Una proposta al Paese, Firenze 1976; La politica del confronto. Relazioni al Consiglio nazionale DC 1975/1978, Cassino 1979; Il messaggio di don Giovanni Minzoni, Ravenna 1984 (curata con R. Ruffilli); Ricordo di Roberto Ruffilli, Brescia 1989 (con F. Benvenuti e C.M. Martini); Lettere agli amici, a cura di A. Preda, Roma 1990; Discorsi parlamentari (1947-1979), introduzione di G. Bianco, Roma 2009; La politica è bellissima, Ravenna 2009; Le radici della speranza. Lettere scelte di un credente prestato alla politica, a cura di A. Preda, Roma 2019.
Fonti e Bibl.: Ravenna, Archivio del Comune, Registri di Stato Civile della famiglia Zaccagnini; G. Taroni, L’impegno dei cattolici nella D.C. ravennate 1943-1953, presentazione di B. Zaccagnini, Ravenna 1982; C. Belci, Z., Brescia 1990; Tommaso Moro un uomo per tutte le stagioni. Raccolta di scritti e foto di B. Z., a cura di A. Albertazzi - G. Marchiani, Bologna 1990; A. Giovagnoli, La cultura democristiana: tra chiesa cattolica e identità italiana, 1918-1948, Roma-Bari 1991; Id., Il partito italiano. La Democrazia cristiana dal 1992 al 1994, Roma-Bari 1996; P. Grassi, Z., B., in Dizionario storico del movimento cattolico. Aggiornamento 1980-1995, diretto da F. Traniello - G. Campanini, Genova 1997, pp. 477-482; C. Belci, B. Z. Un riformista con l’animo del rivoluzionario, Milano 1999; B. Bonardi, B. Z. La vitalità interiore della fede, Roma 1999; Z.: identità religiosa e laicità cristiana, Ravenna 2002; A. Giovagnoli, Il caso Moro. Una tragedia repubblicana, Bologna 2005, ad ind.; A. Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di M. Gotor, Torino 2008, ad ind.; A. Preda, Dialoghi con Z., Roma 2009; Id., Z. nel futuro della politica, Roma 2010; U. Parente - F. Salsano, Z. Una vita a servizio della politica, Roma 2013; A. Preda, Z.: immagini e riflessioni per il futuro, Roma 2014; Id., La Pira e Z. L’utopia in politica, Roma 2017.