MEDICI, Benigno
de’ (detto san Bello). – Nacque a Volterra il 19 luglio 1372 da Nicolino, appartenente a un ramo laterale della famiglia fiorentina, e da Faustina Mattei, di origini romane; furono suoi fratelli Giovanni, Luigi e Celia, sua gemella. Il 1° ag. 1372 fu battezzato con il nome di Giovanni Ippolito.
Studiò retorica con l’arcidiacono Matteo Garimberti di Parma e, a Siena, lingue orientali sotto la direzione di Giacomo Cassatici di Cesena, lettore di filosofia. A quegli anni risale la sua amicizia con il domenicano Domenico Peccioli da Pisa. Dopo la morte del padre (8 nov. 1389) tornò in patria, dove visse sino alla morte della madre (3 apr. 1394). Dal 1396 al 1399 studiò, non è noto dove, teologia, conseguendo la laurea.
Si stabilì allora a Firenze, dove si trovò coinvolto nelle lotte tra la sua famiglia e la fazione pallesca e si adoperò per stabilire la pace tra le parti. Sistemata la sua situazione familiare, locati i suoi beni e divisi gli utili, si recò a Roma per il giubileo del 1400; lì il papa Bonifacio IX, parente di sua madre, lo nominò suo prelato domestico e assistente al soglio, incoraggiandolo a stabilirsi a Roma, e gli conferì «l’abbazia di S. Martino della Valletta» (Cerfoglia, col. 265), cui però il M. rinunciò sei mesi dopo; tornò quindi a Firenze.
Il 4 ott. 1400 entrò, a Pisa, nell’Ordine degli umiliati, e assunse il nome di Benigno, a ricordo del generale dei vallombrosani Benigno Salvioli, nome assunto anche dal prozio del M., Benigno Blandrati, entrato nello stesso Ordine. Non poté però concludere neppure l’anno di noviziato perché alcuni confratelli pisani, nemici dei Medici, lo fecero oggetto di persecuzione. Per espresso consiglio del papa e con il consenso del generale del suo Ordine il M. lasciò allora Pisa e, continuando a vestire l’abito degli umiliati, nel marzo 1401 si stabilì a Firenze; ben presto però, in seguito a manifestazioni antimedicee, si dovette rifugiare a Volterra con Celia e Giovanni; Luigi si era nel frattempo recato in Francia «per maneggiarsi appo quel Re a favore della sua Famiglia» (Quadrio, III, p. 34). A Volterra nell’arco di un mese Celia e Giovanni morirono.
Il 16 luglio 1401, lasciato l’Ordine degli umiliati insieme con Blandrati, entrò nell’Ordine degli eremiti di S. Girolamo della Congregazione di Fiesole – di recente fondazione – ponendo le condizioni che l’Ordine non potesse, alla sua morte, avanzare pretese sulla sua eredità e che egli potesse scegliere di volta in volta come sua sede il luogo che ritenesse più opportuno a difendersi dagli attacchi alla sua casata. Tornò quindi nuovamente a Volterra, sempre con Blandrati, in un ritiro agitato costantemente dalle lotte di fazioni cittadine e da aggressioni antimedicee.
Il M. lasciò quindi anche Volterra e intraprese, sempre con il prozio, un viaggio per visitare le tombe di comuni parenti. Imbarcatisi a Livorno nell’ottobre 1401, i due si diressero prima a Salerno e in Sicilia, quindi in Provenza, a Barcellona, nella Gironda. Il 30 marzo 1404 (domenica di Pasqua) il M. era a Parigi, dove si incontrò con il fratello Luigi, paggio di corte. Blandrati si recò a Milano e vi morì il 12 luglio 1404, e il M., desideroso di cercare nuovi luoghi in cui diffondere l’Ordine, si volse verso il Cantone dei Grigioni. Rimase tutta l’estate 1405 a Coira, ospite del vescovo della città, Antonio; quindi si recò a Fürstenberg.
Nell’ottobre 1405 Stefano Quadrio, castellano di Sazzo, in Valtellina, ospitò il M. che tornava dai Grigioni passando per Bormio, insieme con il fratello Luigi, gravemente ammalato; il 9 ottobre Luigi morì e fu sepolto nella cappella del castello. Il M. quindi si diresse a Milano, dove si erano rifugiati alcuni dei suoi parenti che erano fuggiti da Firenze.
Durante il viaggio si fermò a Dazio e vi fondò un monastero. Tra Dazio e Coira, dove tornava nei mesi estivi per sfuggire l’ambiente paludoso di Dazio, trascorse molti anni, dedito agli studi teologici e alla diffusione del suo Ordine nella zona.
A quel periodo risale la maggior parte delle sue opere, tra le quali vari commenti alla Bibbia, particolarmente interessanti per la conoscenza che egli aveva delle lingue orientali, che qui poteva mettere a frutto: commentò i Numeri, con una spiegazione del testo ebraico e delle due versioni caldea ed egizia, e l’Apocalisse. Interpretò diverse controversie scolastiche e compose litanie (Quadrio, III, p. 47).
Nel 1423, sedatisi i conflitti, i Medici tornarono a Firenze; il M. però attese ancora tre anni per tornare in Toscana e solo il 3 maggio 1426 rimise piede a Volterra; lì fece da mediatore nelle discordie tra i Salviati e i Gondi, tra i monaci vallombrosiani di Fiesole e il suo Ordine, tra i Colonna e i Mattei, suoi parenti per parte di madre. Dopo aver rafforzato l’Ordine di Fiesole, nel 1427 si recò a Venezia, ospite dei Contarini, e vi rimase sino al 1433, quindi fu per circa un anno a Padova, dove predicò durante la quaresima, sperando di trovare tra gli studenti di quella Università nuovi adepti per il suo Ordine.
Nel 1437 fondò un monastero a Feltre e nello stesso anno trasformò in monastero del suo Ordine lo «spedale di S. Martino», messogli a disposizione dal vescovo di Trento, che però il 6 genn. 1441 revocò la concessione di introdurre nuovi ordini in città costringendo il M. ad abbandonare la nuova fondazione. Il M. si diresse allora a Verona e qui, tra il 1441 e il 1442, fondò un altro monastero.
In quegli anni si mosse tra Dazio, Bergamo – dove nel 1443 fu ospite della famiglia da Carrara – e la Val Brembana, presso il conte Teodolo Guarinone, feudatario di quei luoghi.
Nel 1446, nei dintorni di Berbenno, in Valtellina, ad Assiovuno (odierna Monastero di Berbenno), l’abate e alcuni monaci, ridotti in miseria, gli offrirono il monastero di S. Bernardo di Montoneproprio (fondato da tre fratelli della famiglia Ricci alla fine del Duecento) in stato di grande decadenza. Per intercessione del cardinale Enea Silvio Piccolomini, parente del M., l’Ordine dei benedettini rinunciò al monastero, che fu quindi acquisito dall’Ordine del Medici. Piccolomini, nell’ottobre 1458, pochi mesi dopo la sua ascesa al soglio pontificio con il nome di Pio II, costituì il M. «libero e assoluto padrone» del monastero (ibid., p. 56), dove il M. fissò la sua residenza. Con il consenso del vescovo di Como, Lazzaro Scarampi, venuto a visitare l’abbazia, il M., con un atto dell’11 luglio 1466, divise in tre parti i beni del monastero e ne dette un terzo agli eredi dei Ricci, ridotti in miseria, un terzo all’arciprete di Berbenno e l’ultima parte agli affittuari del monastero.
Passati gli ultimi anni nella quiete del monastero di Assiovuno, il M., quasi centenario, vi morì in fama di santità il 12 febbr. 1472.
Nel suo testamento, reso noto due giorni prima della morte, chiedeva di essere sepolto ad Assiovuno; istituiva eredi i figli maschi della famiglia Medici e lasciava notevoli legati ai cugini Piccolomini, dei quali era debitore. Il vescovo di Como, Branda da Castiglione, da tempo amico del M., diede licenza all’arciprete di Berbenno di chiamare il M. beato fino al momento della canonizzazione. Una bolla di Urbano VIII escluse che potesse chiamarsi santo. Detto anche «san Bello» per la sua avvenenza, il M. è ancora venerato con culto locale in Valtellina.
Fonti e Bibl.: A.M. Chiesa, Vite di alcuni beati…della Valtellina, Milano 1752, pp. 86-176; F.S. Quadrio, Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua delle Alpi oggi detta Valtellina, II, Milano 1755, pp. 578 s.; III, ibid. 1756, pp. 31-70; G. Orsini, Vescovi abbazie e chiese e i loro possessi valtellinesi, in Arch. stor. lombardo, LXXXVI (1959), pp. 170 s.; Id., Storia di Morbegno, Sondrio 1959, p. 132; G. Cerfoglia, M. B., in Bibliotheca sanctorum, IX, Roma 1967, coll. 265-267; A. Rovi - M. Longatti, Sorico. Storia di acque, terre, uomini, Menaggio 2006, p. 16.
C. Gennaro