DE RITIS, Beniamino
Nacque ad Ortona a Mare (Chieti) il 1º maggio 1889 da Tomaso e Angelina Brocchini. Laureatosi in lettere e filosofia, si dedicò giovanissimo all'attività giornalistica esordendo nel 1915 su L'Idea nazionale di Roma, organo e centro del movimento nazionalista italiano. Fu successivamente redattore capo de IlResto del carlino di Bologna, de La Nazione di Firenze e corrispondente de IlMessaggero di Roma.
Osservatore lucido e acuto, ma sempre disincantato ed estraneo, affatto distaccato dalla materia dei suoi articoli, il D. ebbe come principale interesse lo studio e la ricerca sui costumi, le abitudini, la storia degli uomini: frutto di questa sensibilità furono, tra l'altro, alcuni volumetti di carattere storico-geografico, ricchi di notazioni originali e curiose sulle tradizioni e la vita delle popolazioni prese in considerazione (Piccola storia del popolo rumeno, Milano 1915; Piccola storia del popolo russo, ibid. 1920). Pure di questi anni è la stesura di un singolare romanzo, Il tramonto dei galantuomini (Firenze 1920), che ebbe un discreto successo per la freschezza e la sobrietà dello stile: il genere narrativo resterà, comunque, ai margini dell'attività pubblicistica del De Ritis. Questi stessi elementi stilistici, insieme ad una vasta cultura e al perenne impegno nello scrivere, tanto da essere proverbiale fra colleghi e amici, caratterizzarono il resto della produzione del D., che ebbe una svolta decisiva col trasferimento negli Stati Uniti. Il lungo soggiorno oltreoceano fu un fatto essenziale nella vita del De Ritis. Il mondo americano così dinamico e gigantesco, pieno di contraddizioni, di miserie e prodigi, fu un fertile terreno di studio e di analisi per la sua naturale disposizione a risalire all'essenza dei problemi dai fatti della quotidianità. Il D. si recò in America nell'immediato dopoguerra anche per sfuggire all'atmosfera illiberale che s'era creata in Italia con le violenze fasciste: per il suo carattere timido e bonario - e non certo per motivi politici - preferì emigrare piuttosto che misurarsi con la nuova realtà del paese. Arrivò a New York come preside di un erigendo liceo italiano, che non venne mai costruito, e fu chiamato da Luigi Barzini senior a collaborare al Corriere d'America da lui fondato in quella città. Fu, quindi, corrispondente, sempre da New York, di vari quotidiani (de Il Giornale d'Italia, della Gazzetta del popolo e, soprattutto, del Corriere della sera dal 1930 al 1934) ed elaborò in questi anni il meglio della sua produzione saggistica.
Degne di nota furono le corrispondenze (1932) sul rapimento del figlio di Ch. A. Lindbergh, il trasvolatore oceanico, e l'immagine che riuscì a dare dell'America della grande crisi e dei primi anni del New Deal rooseveltiano. Fu egli stesso vittima, dopo aver accumulato un ingente capitale, della caduta di Wall Street, disavventura che lo colpì profondamente. Al D. si dovette in quegli anni un ritratto del tutto nuovo degli Stati Uniti, non più terra mitica e utopistica, ma realtà viva e contraddittoria. Nel volume Mente puritana in corpo pagano (Firenze 1934), forse il migliore dei suoi saggi, viene esaminata e stigmatizzata l'irrisolta dicotomia americana d'essere colonia e colonizzatrice, terra di frontiera e baluardo della conservazione, integralista e spregiudicata al tempo stesso. Nella sua esposizione il D. si servì della propria esperienza e della capacità di penetrare i nessi profondi della realtà che lo circondava, con tale successo da giustificare un paradosso di A. Baldini che di lui diceva: "ha scoperto, non una, ma dieci volte l'America".
Oltre ad essere corrispondente della stampa italiana, il D. collaborò a quella statunitense: lavorò infatti per la New Papers Enterprises Association e scrisse per The Evening Post. Fu anche a capo dell'ltalian Literary Service e dell'Information Service dell'Italy-America Association che aveva sede presso la Casa italiana della Columbia University. Dopo aver trascorso diversi anni negli Stati Uniti, peregrinò ancora per il mondo. Fu, infatti, direttore dell'Istituto italiano di cultura di Malta, da dove mandava ancora corrispondenze al Corriere della sera, e nel Portogallo di Salazar. Ma il D. aveva ormai saldi legami con l'America e a più riprese vi tornò. Molto abile nell'evitare pericolosi abbracci col regime fascista, con cui ebbe contatti solo per ragioni di opportunità, il D. rimase a New York anche nel periodo bellico, fino al 1942, mantenendo l'incarico di presidente della locale Dante Alighieri.
Sofferente di disturbi nervosi, il D. nel dopoguerra tornò ancora in Portogallo ospite di una figlia e riprese la sua attività pubblicistica fino alla morte, avvenuta a Roma il 12 ag. 1956.
Opere: La pace di Tolentino (1ºventoso dell'anno V), Firenze 1917; The Roman Accord, New York 1929; La terza America, Firenze 1937; Stati Uniti. Dalla guerra civile al "nuovo trattamento", Milano 1938; Saturno americano, in La Nuova Antologia, 1º genn. 1938, pp. 84-90; Ritorno dall'America in guerra, ibid., 16 luglio 1942, pp. 100 ss.; Utopie di "Secolo americano", ibid., 1º genn. 1943, pp. 17-23, Portogallo, balcone atlantico, ibid., 16 sett. 1943, pp. 84-89; Periferie, ibid., 16 sett. 1943, pp. 251-256; Presenze eterne, in Strenna dei romanisti, XII (1951), pp. 155 ss.
Bibl.: Necrol.: A. Valori in Il Messaggero, 14 ag. 1956; in Il Mattino, 27 ag. 1956; in Corriere della sera, 5 sett. 1956; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 140, ad vocem; A. Baldini, B. [1923], in Amici allo spiedo, Firenze 1932, pp. 81-88; G. Prezzolini, B., in Il Resto del carlino, 14 luglio 1957;G. Licata, Storia del "Corriere della sera", Milano 1976, p. 339.