BENEDETTO
Secondo abbate (e primo di questo nome) del monastero di S. Maria di Butrio. Nato intorno agli inizi del sec. XI in Lombardia, sarebbe stato tra i primi discepoli di quel S. Alberto di Butrio, cui una tradizione agiografica incontrollabile attribuisce attività di predicazione nel Tortonese.
Appare sicuramente certa una rilevante partecipazione di B. alla fondazione del monastero di S. Maria di Butrio, avvenuta non sappiamo esattamente in quale anno, ma certo durante il pontificato di Alessandro II; ed allo sviluppo della nuova comunità monastica attese con discrezione ed alacrità, adoperandosi in ogni modo per salvaguardarne sia la libertà politica (il monastero, infatti, pur essendo feudo del vescovo di Pavia, era sottoposto alla giurisdizione ecclesiastica del vescovo di Tortona, nella cui diocesi si trovava), sia quella spirituale, nei confronti di altri movimenti religiosi benedettini (tanto che essa fu solo vagamente nota agli stessi storici dell'Ordine, come il Mabillon), anche se il monastero si attenne, secondo la normale consuetudine del tempo, all'osservanza della regola di S. Benedetto ("secundum timorem Dei et regulam Sancti Benedicti", scriverà più tardi papa Gregorio VII nella sua bolla del 6 febbr. 1077, con la quale concedeva la più larga autonomia al monastero stesso: cfr. Santifaller, pp. 130 ss.). Si comprende dunque come, già pochi decenni dopo la sua morte, egli venisse considerato dalla tradizione locale come fondatore, insieme con il suo maestro S. Alberto, del monastero di S. Maria di Butrio; e, del resto, tale tradizione mostra di accettare, cinquant'anni circa dopo la morte di B., anche lo stesso pontefice Innocenzo II (cfr. la lettera indirizzata da quest'ultimo all'abbate Pietro di Butrio, 8 apr. 1134, in V. Legè-F. Gabotto, n. 11, pp- 21-24).
Nella seconda metà del sec. XI B. fu presente un po' dappertutto nell'Oltrepò pavese, partecipando attivamente, con la predicazione e l'esempio, col vigore della sua presenza e l'istituzione di singole minori comunità monastiche (cellae) nei luoghi ove più fosse necessario alla vita religiosa della regione. La parte migliore di sé, tuttavia, dette nello sviluppo del monastero di Butrio, da lui anche ingrandito ed abbellito. Alla morte di Alberto (5 ott. 1073. secondo la tradizione), per voto unanime dei suoi confratelli riuniti in capitolo B. fu eletto a succedergli come secondo abbate del monastero: pur essendo cagionevole di salute e già in età avanzata ("cum aetate, tum etiam, corporis infirmitate... debilis s, scriverà pochi mesi più tardi, a proposito di B., il papa Gregorio VII), accettò di buon grado il pesante ìncarico.
Secondo le norme canoniche l'elezione del nuovo abbate avrebbe dovuto esser confermata dal vescovo di Tortona, nella cui diocesi si trovava il monastero di S. Maria di Butrio; B. invece, facendosi forte di un privilegio di esenzione accordato dal papa Alessandro II al monastero ed al suo fondatore S. Alberto, volle ricevere la conferma dal papa, allora Gregorio VII. Fu così che, messosi in viaggio nel novembre di quello stesso anno con alcuni compagni e confratelli, si presentò al cospetto del pontefice, in Argentea (località, di cui restano ancora i ruderi, presso Traetto), per aver conferma, presentando il diploma originale, sia della sua elezione sia dei privilegi accordati da Alessandro II all'abbazia. Alle richieste di B. il papa rispose con una decisa quanto inattesa presa di posizione.
Come egli stesso ebbe a precisare più tardi in una lettera inviata, poco dopo il suo incontro con l'abbate, ai monaci di Butrio, Gregorio VII si rifiutò, infatti, di confermare il privilegio che B. gli aveva presentato, perché il documento in questione - come il papa stesso aveva potuto stabilire sulla base di elementi assai chiari - era un falso ("quod nimirum ratum non esse, manifestissimis deprehendimus indiciis, corruptione videlicet latinitatis et diversitate canonice auctoritatis": lettera del 28 nov. 1073, in Caspar, p. 53); non ritenne neanche opportuno - "quia, que sunt iusta et pia, postulat ecclesiastica regula" (ibid., p. 8) - rilasciarne altro autentico a proprio nome, sulla base di quello, riconosciuto falso. Nel suo colloquio con B., così come nella sua lettera ai monaci di Butrio, Gregorio VII ribadì inoltre i concetti della dipendenza spirituale e disciplinare dell'abbazia dal vescovo di Tortona, della cui diocesi il monastero faceva appunto parte ed alla cui giurisdizione spirituale di conseguenza i monaci appartenevano: egli dichiarava che avrebbe concesso "vestre necessitati", secondo i bisogni della comunità, cioè, un diploma di esenzione solo col consenso dei vescovo di Tortona o nel caso in cui la diocesi stessa di Tortona "canonice non fuerit ordinata". È possibile che a indurre Gregorio VII a prendere un simile atteggiamento sia stata una volontà di stroncare abusi che potessero verificarsi nell'ambito e con il pretesto dell'esenzione, come forse non sono da escludersi consìderazioni di politica generale nei riguardi della situazione tortonese, che è a noi, peraltro, poco e mal nota per il periodo.
Gregorio VII si mostrò poi dubbioso, sulla bontà della scelta fatta dai monaci eleggendo abbate B., e nella già ricordata lettera del 28 nov. 1073 non mancò di comunicare ai monaci le proprie perplessità. La persona del nuovo eletto, "licet honestis praedita videatur moribus", scriveva infatti il papa, "ad abbatis officium, tum etate tum etiam corporis infirmitate nobis visa est debilis"; aveva pertanto consigliato B. di rinunziare alla sua carica, "si se invalidum fratrum oportunitatibus perspexerit non posse sufficere". Nell'ultinia parte della lettera, tuttavia, il pontefice raccomandava ai monaci di Butrio di dimostrare a B. "debitam reverentiam", ordinando inoltre, e tassativamente ("auctoritate precipimus Apostolica"), così a loro come ai loro confratelli delle minori comunità dipendenti da Butrio, l'unità di intenti e l'unanime obbedienza al loro abbate "quod prefuerit in... Religionis tenore perseveranter", sino a quando li avesse diretti nello spirito della regola data loro da S. Alberto.
Il richiamo all'unità di intenti nello spirito della regola ed all'obbedienza dovuta all'abbate eletto, con il quale si chiude la lettera di Gregorio VII, ha fatto sì che alcuni studiosi avanzassero l'ipotesi che una parte dei monaci - forse proprio quelli delle comunità minori, ai quali soprattutto sembra rivolgersi l'ordine del papa - fossero dissenzienti riguardo all'elezione di B., e ne avessero chiesto anzi l'abdicazione. Ignote rimarrebbero, ad ogni modo, le motivazioni di tale dissenso. Sono comunque da rifiutare, come prive di fondamento, le affermazioni fatte da alcuni storici (per tutti, vedi Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll. 259 s.), secondo i quali il pontefice avrebbe rimosso B. dalla carica, rifiutandosi di consacrarlo abbate, ed avrebbe posto il monastero di Butrio sotto la direzione e sorveglianza del vescovo di Tortona, sino a quando i monaci non avessero proceduto ad una nuova elezione.
Nonostante i timori espressi da Gregorio VII riguardo la "corporis infirmitas" che avrebbe dovuto - o potuto - impedire a B. di "sufficere fratrum opportunitatibus", il nuovo abbate mostrò grande zelo nella guida del monastero in uno spirito di assoluta lealtà ed obbedienza nei confronti della Sede apostolica. In pochi anni, tra la fine del 1073 e gli inizi del 1077, guidando con zelo e fermezza i suoi confratelli, B. dette un nuovo e notevole impulso alla predicazione e all'evangelizzazione dell'Oltrepò, sviluppando al contempo la potenza economica e l'influenza religiosa dell'abbazia sulla regione. Fu così che Gregorio VII, in un momento assai difficile per la Chiesa di Roma, poté avere un alleato sicuro nell'Oltrepò, e questo proprio quando anche la diocesi di Tortona era molto probabilmente favorevole all'Impero.
Non conosciamo vescovi di Tortona per questi anni. Sulla base di alcuni elementi offertici dall'epistolario di Gregorio VII, anzi, ci è lecito pensare che essa fosse, allora, "canonice non ordinata" o, come minimo, sede vacante; certo è che, nel 1080, la reggeva un presule scismatico, Ottone (ed è la prima menzione di un presule tortonese dal 1073; cfr. F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia..., I, Il Piemonte, Torino 1898, p. 392).
In una situazione cosi fluida e gravida di incertezze e pericoli, non solo per la diocesi di Tortona, B. compì un'ardita mossa: probabilmente sul finire del 1076, procedette alla donazione in perpetuo del monastero di S. Maria di Butrio, dei suoi possedimenti e delle sue dipendenze, alla Sede apostolica: "beato Petro apostolorum principi et eius apostolice sedi in proprium ius oblatum atque perenniter concessum" (cfr. Santifaller, p. 130). Era un coraggioso atto di fedeltà al papa legittimo; ma era anche un'intelligente scelta politica, che avrebbe dato i suoi frutti in futuro, garantendo al monastero una relativa sicurezza. Quanto al pontefice Gregorio VII, egli non fece attendere a lungo la propria risposta al gesto di Benedetto.
Fedele alle promesse fatte nel novembre 1073 - "Quod si, peccatis exigentibus, eadem Ecclesia canonice non fuerit ordinata, tunc etiam munimine, quo iuste valebimus, vobis omnino solatiamur" - il pontefice rilasciò, il 6 febbr. 1077, all'abbate ed al monastero di Butrio (mostrando in tal modo di accogliere e l'offerta fattagli dai monaci e la loro preghiera di poter vivere "sub tutela sanctae Romanae ecclesiae in perpetua libertate") un privilegio di tutela e di esenzione assai accentuata, con la quale egli veniva praticamente a sottrarre l'abbazia dall'obbligo di obbedienza e di servitium nei confronti di tutte le autorità laiche e religiose, che non fossero la Sede apostolica ed il legittimo pontefice romano. Nel documento Gregorio VII sottolineava la libertà, ch'egli concedeva ai monaci, di potersi eleggere "communi consensu et secundum timorem Dei et regulam Sancti Benedicti", senza l'intromissione di alcuna autorità laica o religiosa (salvo l'obbligo di "eandem ordinationem apostolice sedi renunciare"), i loro abbati, ed il diritto di esigerne "gratis" la consacrazione dal vescovo di Tortona o, nel caso questi non fosse "canonice ordinatum", dal presule di una qualsiasi altra diocesi, purché ortodosso.
La bolla relativa a tali privilegi, di cui ci è pervenuta copia ridotta a forma di falso originale, è stata oggetto di un'accesa polemica negli ultimi decenni del secolo passato. La sua autenticità, impugnata dallo Pflugk-Harttung, che la giudicò (cfr. Acta pontificum Romanorum inedita, II, n. 170, pp. 137 s.)del tempo di Pasquale II, e dallo Jaffé, (cfr. Regesta pontificum Romanorum., I, n. 5268), fu invece sostenuta con ottime argomentazioni sia dal Kehr, Nachrichten.., p. 231, sia dal Legè, Sant'Alberto abate..., pp. 33-39. In realtà, il documento giunto sino a noi è copia dell'autentica bolla di Gregorio VII, falsificata però nell'escatocollo.
Dopo questo successo, che aumentò indubbiamente la sua fama, B. prosegui instancabile nella sua attività pastorale ed apostolica, fondando nuove cellae e cercando di rafforzare tanto l'influenza spirituale che quella temporale del monastero sulla regione. Della fama di B., proclamato secondo fondatore dell'abbazia, trasse vantaggio l'abbazia stessa, che, per il prestigio goduto dal suo abbate, venne arricchita da varie donazioni private - tra cui la più cospicua fu quella fatta da un tal Gosperto nel 1084 (cfr. V. Legè-F. Gabotto, n. VI, pp. 11-13) - e da quelle dei marchesi Malaspina, protettori dell'abbazia fin dall'epoca della sua fondazione. B. morì, stremato dalle malattie e dalle responsabilità della sua carica, intorno al 1085; gli successe uno dei suoi più fedeli discepoli, Guido, che lo aveva assistito sino alla morte.
La fama della vita esemplare di B. è provata dal fatto che, sessant'anni più tardi, nel 1149, un suo successore, Benedetto, volle riprendere, simbolicamente, il suo nome.
Fonti e Bibl.: G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XX, Venetiis 1767, p. 88; Ph. Jaffé, Monumenta Gregoriana, Berolini 1864, P. 51; Migne, Patr. Lat., CXLVIII, col. 315; J. von Piflugk-Harttung, Iter Italicum, Stuttgart 1883, p. 804; Id., Acta Pontificum Romanorum inedita, III, Stuttgart 1884, n. *170, pp. 137 s.; Ph. Jaffé, Regesta pontificum romanorum, I, Lipsiae 1885, pp. 590, 601, 645 s., 862; Regesti delle lettere pontificie riguardanti la Liguria..., in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIX (1887), pp. 50 s., 56; V. Legè-F. Gabotto, Doc. degli Archivi tortonesi relativi alla storia di Voghera..., in Bibl. della Soc. stor. subalp., XXXIX, Pinerolo 1908, nn. IV-VI, pp. 7-13; P. F. Kehr, Italia pontificia, VI, 2, Berolini 1914, nn. *1-3, pp. 234 s.; Das Register Gregors VII., a cura di E. Caspar, Berlin 1920, pp. 53 ss.; L. Santifaller, Quellen und Forschungen zum Urkunden-und Kanzleiwesen Papst Gregors VII., I, Città del Vaticano 1957, pp. 129 ss.; J. Mabillon, Annales Ordinis S. Benedicti..., V, Luteciae Parisiorum 1713, pp. 64 s. (dove si dà "Ubertus" o "Hubertus" invece di "Albertus"); A. Cavagna Sangiuliani, Dell'abazia di Sant'Alberto di Butrio…, Milano 1865, pp. 48, 50 ss., 57, 61, 64, 115 ss., 171; G. Salice, Annali Tortonesi, Torino 1874, pp. 491 s.; P. F. Kehr, Papsturkunden in Reggio nell'Emilia, in Nachrichten von der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, Philolog-hist. Klasse, 1897, pp. 231 s.; V. Legè, Sant'Alberto abate..., in Atti dell'Acc. Tortonese "Leone XIII", Tortona 1901, pp. 22-25, 27, 29 ss., 38, 40 s., 52, 57, 67 dell'estr.; P. Lugano, Sull'abazia di Sant'Alberto di Butrio, in Derthona sacra, IX (1901), pp. 11-12; Bulletin des Publications hagiographiques, in Analecta Bollandiana, XXI (1902), pp. 223 s.; F. Gabotto, Per la storia di Tortona nell'età del Comune, Torino 1922, p. 85; A. M. Zimmermann, Kalendarium Benedectinum, III, Wien 1937, pp. 16, 18; D. Sparpaglione, Una gemma d'Oltrepò, Tortona 1959, pp. 22-24, 42-52, 53, 66, 96.