PALLAVICINO, Benedetto
PALLAVICINO, Benedetto. – Nacque a Cremona nel 1551.
Si definiva «cremonese» nei frontespizi delle prime due opere a stampa, dedicate agli Accademici Filarmonici di Verona (Il primo libro de madrigali a 4 voci, Venezia, Angelo Gardano, 1579) e al barone Paolo Sfondrati (Il primo libro de madrigali a 5 voci, ibid., Angelo Gardano, 1581). La scelta di questi dedicatari, gli stessi di alcuni libri di Marc’Antonio Ingegneri, avvalora l’ipotesi che egli si sia formato alla scuola del più importante maestro di musica in città: i chiari atteggiamenti emulativi del madrigale Vaghi boschetti di soavi allori su versi dell’Orlando furioso (libro primo a 5) rispetto alla composizione di Ingegneri (1580) implicano ulteriori stretti rapporti tra i due. La dedica di questo libro, firmata da Sabbioneta il 15 marzo, testimonia un biennio di servigi presso Vespasiano Gonzaga; dal 1583 e per tutta la vita Pallavicino fu poi al servizio dei Gonzaga nella corte di Mantova.
Fiduciario del duca Guglielmo, ebbe l’incarico di recarsi a Venezia per giudicare le qualità vocali di un castrato (1584: cfr. Canal, 1879, p. 697 n. 2) e soprattutto per seguire la stampa di alcune musiche del duca stesso (i perduti Magnificat, 1586: cfr. Bertolotti, 1890, p. 62). Morto Guglielmo (1587), fallito il tentativo di trasferirsi nella cattedrale di Verona in seguito al concorso nel 1589 (vinto da Giovan Matteo Asola), nel 1590 Pallavicino fu riconfermato nel servizio dal duca Vincenzo e nel 1596, alla morte di Giaches de Wert, fu nominato maestro di cappella della corte: la carica comportava la supervisione di tutte le attività musicali di palazzo, senza però interferire con quella di Giovan Giacomo Gastoldi, maestro nella basilica ducale di S. Barbara dal 1588 alla morte, 1609. Tale circostanza potrebbe aver acuito i contrasti che trapelano dalla lettera con cui Claudio Monteverdi il 28 novembre 1601 – due giorni dopo il decesso di Pallavicino, ch’egli qualifica come «soffiziente» (Lax, 1994, p. 13) – rivendicava il posto vacante.
Morì a Mantova, «de anni n° 50», il 26 novembre 1601 (Prunières, 1926, p. 294 n. 13; Bridges, 1963, p. 29).
Pallavicino scrisse polifonia sia profana sia sacra. Tra i più prolifici autori di madrigali, ne pubblicò in vita sei libri a cinque voci, uno a quattro e uno a sei (tutti editi a Venezia da Angelo Gardano, Giacomo Vincenti o Ricciardo Amadino); vi si aggiunsero due raccolte postume allestite nel 1604 (libro settimo) e nel 1612 (libro ottavo) dal figlio Bernardino, monaco camaldolese con lo stesso nome del padre.
Nelle sue prime opere dimostra un deciso interesse per una persistente scrittura imitativa, che spesso sviluppa più soggetti in simultanea, e un’attenzione per gli aspetti formali che, se esibisce una notevole perizia tecnica, può sembrare poco incline a cogliere le sfumature espressive del testo poetico. Questa cifra è, con esiti diversi, sempre evidente anche nei libri successivi: in S’il sol si rende bello a gl’occhi nostri (libro terzo, 1585, dedicato al marchese Alfonso Gonzaga), per esempio, la trama imitativa molto densa del primo verso sembra esaltare l’andamento leggero, quasi da canzonetta, che permea il restante componimento, e in genere l’intera raccolta.
I libri più significativi sono il secondo (1584, dedicato al duca Guglielmo come il primo a sei voci del 1587), il quarto (1588, dedicato al duca Vincenzo) e il sesto (1600, dedicato al conte veronese Alessandro Bevilacqua), in cui l’autore media i fruttuosi stimoli provenienti dalle più aggiornate esperienze madrigalistiche dell’ambiente mantovano e ferrarese. L’influsso da quest’ultimo si traduce – in particolare nei libri del 1584 e 1588 – nell’adozione di una copiosa ornamentazione su parole-chiave: essa assume anche specifiche funzioni tematiche, come nel petrarchesco Passa la nave mia colma d’oblio, che guarda esplicitamente a Wert, e nel finale di I capei dell’aurora (di Dragonetto Bonifacio; entrambi nel libro secondo), ovvero anima lunghi passi virtuosistici ‘alla ferrarese’ distribuiti in singole voci, come nel guariniano Tutt’eri foco, Amore (libro quarto), dove gli esuberanti vocalizzi contrastano sensibilmente con le omoritmie delle sezioni introdotte dall’interiezione «Ahi». Proprio col libro quarto Pallavicino sviluppa più consapevolmente le potenzialità espressive del declamato polifonico, anche in questo caso sollecitato dall’esempio di Wert, soprattutto nell’intonazione di rime di Battista Guarini come Sì, mi dicesti, et io e Con che soavità, labra odorate.
Dopo la parentesi del libro quinto (1593, dedicato al conte Giovanni Battista Guerriero), che appare meno innovativo del precedente e però contiene pregevoli esempi di scrittura ‘a tre’ (col basso a sostegno di due voci acute) e tre madrigali probabilmente dedicati alla comica e poetessa Isabella Andreini, un’ulteriore evoluzione stilistica si compie col libro sesto, pubblicato nel 1600 e riservato in buona parte a testi guariniani di carattere epigrammatico. Le scelte compositive prediligono nettamente strutture accordali organizzate in brevi frasi incisive, separate da frequentissime pause; la declamazione delle immagini poetiche si svolge con una varietà di figurazioni attentamente calibrate sul ritmo della parola, che spesso ricorrono ai più concitati ritmi di crome (abbondanti per es. nel guariniano O come vaneggiate), mentre il vocabolario armonico si arricchisce di intervalli diminuiti, dissonanze e false relazioni in sintonia con quel linguaggio espressivo che di lì a pochi anni i fratelli Monteverdi avrebbero denominato «seconda pratica»: madrigali come il noto Cruda Amarilli, che col nome ancora dal Pastor fido (con l’ardito intervallo di settima iniziale), ma anche le intense sincopazioni del madrigale guariniano Ohimè se tanto amate o la sezione conclusiva – con le distese dissonanze di minima su «a lagrimar d’amore» – di Deh, dolce anima mia (ancora dal Pastor fido), possono essere indicati come emblemi dell’alto livello artistico di Pallavicino. I due libri postumi raccolgono madrigali che si possono far risalire agli ultimi dodici anni della sua vita: sebbene esclusi dalle raccolte stampate in vita, essi confermano la sua versatilità creativa e la sua padronanza delle tecniche compositive.
La produzione ecclesiastica è tramandata solo dalle stampe postume del Liber primus missarum (1603, dedicato a Tullio Petrozzani, primicerio di S. Andrea in Mantova) e Sacrae Dei laudes policorali (1605, dedicate a don Michele Lonardello, abate del Cenobio Classense di Ravenna), anch’esse curate dal figlio, e da altri cinque salmi manoscritti (Bologna, Museo della musica, mss. Q.36, 38, 41). Difficili da datare, queste composizioni non sembrano collegate all’ufficio di maestro ricoperto dal 1596: erano destinate a usi esterni alla cappella ducale, quasi certamente alla chiesa di S. Andrea e al convento camaldolese di S. Marco. Il libro del 1603 è aperto dalla Missa Ut, re, mi, fa, sol, la a 4 voci, che mostra un ampio uso di progressioni ed episodi con accentuazioni ternarie del metro binario come le si rileva in altri autori mantovani (Ippolito Baccusi, Lodovico Viadana), e prosegue con la Missa Hoc est praeceptum meum (sul mottetto di Wert); nelle altre due messe su mottetti di Orlando di Lasso (Benedicam Domino e Omnia quae fecisti) l’imitazione dei modelli si fa molto intensiva e la rielaborazione dei soggetti, con ricorso a diversi artifici contrappuntistici, rimanda più apertamente alla lezione di Ingegneri. Nei mottetti policorali del 1605 la struttura formale si fonda essenzialmente sul dialogo antifonico dei cori trattati in modo compatto; una maggior varietà ritmica è talvolta ottenuta con intere sezioni in tempo ternario poste in apertura (Cantate Domino, Iubilate Deo, Canite tuba), mentre nei due mottetti a 16 voci si notano raddoppi all’ottava tra cori diversi, tecnica citata dal Viadana nei suoi Salmi del 1612 e poi frequente nel Seicento. Molto semplici, nelle polifonie rigorosamente accordali, sono i salmi manoscritti a otto voci in due cori, che fanno anche largo uso del ‘falsobordone’.
Alcuni musicografi coevi ricordarono Pallavicino tra i maggiori autori dell’epoca: spicca Adriano Banchieri (1609), che lo additò come un precursore di Monteverdi al pari del principe Carlo Gesualdo, di Alfonso Fontanelli e di Emilio de’ Cavalieri. Singolarmente ampio il favore che le sue musiche incontrarono presso i contemporanei, a giudicare dalle ristampe dei libri di madrigali (due o tre per ognuno, salvo il libro primo a 4 e l’ottavo a 5), dalla raccolta edita da Phalèse ad Anversa nel 1604 (contenente gli interi libri quarto e quinto e otto brani dal secondo) e dalle numerose composizioni ripubblicate in antologie o ricopiate in miscellanee manoscritte.
Per il catalogo tematico delle opere cfr. Flanders, 1974. Ed. mod.: B. Pallavicino, Opera omnia, 7 voll. (Corpus Mensurabilis Musicae, 89), a cura di P. Flanders - K. Bosi Monteath, Neuhausen-Stuttgart 1982-96.
Fonti e Bibl.: G.M. Artusi, L’Artusi overo delle imperfettioni della moderna musica, Venezia 1600, p. 3; A. Banchieri, Conclusioni nel suono dell’organo, Bologna 1609, p. 60; P. Cerone, El melopeo y maestro, Napoli 1613, p. 89; P. Canal, Della musica in Mantova, in Memorie dell’Istituto veneto, XII (1879), pp. 697, 721 s.; A. Bertolotti, Musici alla corte dei Gonzaga in Mantova dal secolo XV al XVIII, Milano 1890, p. 62; H. Prunières, La vie et l’œuvre de Claudio Monteverdi, Paris 1926, ad ind.; D. Arnold, «Seconda pratica»: a background to Monteverdi’s madrigals, in Music and Letters, XXXVIII (1957), pp. 343-346, 348, 350-352; T.W. Bridges, The madrigals of B. P., diss., University of California, Berkeley, CA, 1959; G. Pontiroli, Notizie di musicisti cremonesi dei secoli XVI e XVII, in Bollettino storico cremonese, XXII (1961-64), pp. 160, 162; D. Arnold, Monteverdi, London 1963 (ed. riv. a cura di T. Carter, 1990), ad ind.; D. Arnold, Gli allievi di Giovanni Gabrieli, in Nuova Rivista musicale italiana, V (1971), pp. 947, 951, 953, 956, 962; P. Flanders, The madrigals of B. P., diss., New York University, New York 1971; Id., A thematic index to the works of B. P., Hackensack, NJ, 1974; I. Fenlon, Music and patronage in sixteenth-century Mantua, I, Cambridge 1980 (ed. it. Bologna 1992), ad ind.; K. Bosi Monteath, The five-part madrigals of B. P., diss., University of Otago 1981; A. Delfino, L’opera sacra di Be. P., diss., Università di Pavia, 1984; D. Arnold, Monteverdi: some colleagues and pupils, in The new Monteverdi companion, a cura di D. Arnold - N. Fortune, London-Boston 1985, pp. 107-111; K. Fischer, Nuove tecniche della policoralità lombarda nel primo Seicento, in La musica sacra in Lombardia nella prima metà del Seicento, a cura di A. Colzani - A. Luppi - M. Padoan, Como 1987, pp. 46-50, 56 s.; G.E. Watkins - T. La May, Imitatio and emulatio: changing concepts of originality in the madrigals of Gesualdo and Monteverdi in the 1590’s, in Claudio Monteverdi: Festschrift Reinhold Hammerstein zum 70. Geburtstag, a cura di L. Finscher, Laaber 1986, pp. 458-460, 480-484; L. Sirch, «Era l’anima mia»: Monteverdi, Fontanelli, Pecci e Pallavicino, in Rassegna veneta di Studi musicali, V-VI (1989-90), pp. 103-135; K. Bosi, The Ferrara connection: diminution in the early madrigals of B. P., in Essays on Italian music in the Cinquecento, a cura di R. Charteris, Sydney 1990, pp. 131-158; C. Monteverdi, Lettere, a cura di É. Lax, Firenze 1994, pp. 13 s.; S. Parisi, Musicians at the court of Mantua during Monteverdi’s time, in Musicologia humana. Studies in honor of Warren and Ursula Kirkendale, a cura di S. Gmeinwieser - D. Hiley - J. Riedlbauer, Firenze 1994, pp. 183, 188, 190-194; A. Delfino, Ingegneri didatta. Alcune ipotesi per una ricerca, in Marc’Antonio Ingegneri e la musica a Cremona nel secondo Cinquecento, a cura di A. Delfino - M.T. Rosa Barezzani, Lucca 1995, pp. 25-45; A. Newcomb, A new context for Monteverdi’s Mass of 1610, inStudien zur Musikgeschichte: eine Festschrift für Ludwig Finscher, a cura di A. Laubenthal - K. Kusav-Windweh, Kassel 1995, pp. 163-173; S. Patuzzi, B. P. ‘maestro di capella’ del duca Vincenzo, diss., Università di Parma, 1995-96; Id., «Poter metter fine allo infinito»: i ‘madrigali di musica’ di B. P., in Atti e memorie dell’Accademia nazionale virgiliana di scienze, lettere ed arti, n.s., LXIV (1996), pp. 135-165; H. Schick, Musikalische Einheit im Madrigal von Rore bis Monteverdi, Tutzing 1998, ad ind.; G. Sommi Picenardi, Dizionario biografico dei musicisti cremonesi, a cura di C. Zambelloni, [Turnhout] 1998, p. 212; K. Bosi, Accolades for an actress: on some literary and musical tributes for Isabella Andreini, in Recercare, XV (2003), pp. 101 s.; R. Tibaldi, Dal Quattrocento alla fine del Seicento, in MusiCremona. Itinerari nella storia della musica di Cremona, Pisa 2013, ad ind.; The New Grove dictionary. of music and musicians (ed. 2001), XIX, pp. 6-10.