MUSOLINO, Benedetto
MUSOLINO, Benedetto. – Nacque a Pizzo l’8 febbraio 1809 da Domenico e da Francesca Starace.
La famiglia aveva tradizioni rivoluzionarie: lo zio e il padre aderirono alla Repubblica partenopea, furono perseguitati e costretti all’esilio. Musolino frequentò il liceo di Monteleone e in seguito si recò a Napoli, dove studiò diritto, mostrando però anche interesse per la filosofia e la politica. Il suo carattere si rivelò ardito e appassionato: giovanissimo, fu brevemente incarcerato per le sue simpatie liberali. Iniziò poi a viaggiare, visitando la Palestina e le isole del Mediterraneo orientale. Si stabilì per un periodo nell’Impero ottomano, a Istanbul (in seguito sostenne anche di aver rivestito incarichi a corte). Tornato nel Regno delle Due Sicilie, fondò e scrisse gli statuti di un’organizzazione clandestina: i Figliuoli della Giovine Italia, coinvolgendo Luigi Settembrini e altri calabresi.
Non si trattava di una filiazione della rete mazziniana. Il programma era per molti aspetti contrapposto a quello di Mazzini (che li accusò di materialismo e comunismo) perché accostava la questione sociale alle parole d’ordine di repubblica e unità d’Italia. Il carattere settario e gerarchico, la simbologia (teschi, bandiere nere, catechismi) erano fedeli ai metodi della carboneria, la struttura ideologica era atea e giusnaturalistica, quindi lontana dalla religiosità di Mazzini. Secondo i rivoluzionari calabresi il rinnovamento della cospirazione meridionale doveva passare attraverso la formazione di una élite dotata di un profilo autonomo e indipendente.
La setta diventò la più importante società neocarbonara, radicandosi in molte province continentali del Regno e della Sicilia. Nella primavera del 1839 alcune delazioni portarono all’arresto di Musolino e Settembrini. La loro colpevolezza non fu dimostrata, ma il patriota restò ugualmente per alcuni anni in carcere e fu poi confinato nel suo paese fino al 1848 (subendo anche un altro arresto). Dopo la concessione della Costituzione si recò a Napoli. Militò nei settori più estremi del movimento liberale e fu tra i pochi a sostenere l’autonomia della Sicilia. Eletto deputato nell’aprile 1848 per la circoscrizione di Monteleone, si attenne alla linea radicale della maggioranza dei rappresentanti calabresi: non volle accettare nessun compromesso con la dinastia per il giuramento richiesto ai deputati. I calabresi furono sulle barricate erette a Napoli il 15 maggio e tra i firmatari della protesta redatta da Pasquale Stanislao Mancini contro il forzato scioglimento della Camera. Gli stessi parlamentari si riunirono con il conterraneo Giuseppe Ricciardi e decisero di tentare la rivoluzione in Calabria, in collegamento con il Cilento e la Sicilia. A Cosenza fu costituito un governo provvisorio, presieduto da Ricciardi. Musolino, alla direzione della Guerra, partecipò alle sfortunate operazioni contro le forze regolari, impegnandosi nei disordinati reparti di volontari e nella guida politica dell’insurrezione. Il prezzo che pagò fu altissimo: una colonna borbonica mise a sacco il suo paese, il padre fu assassinato, il fratello Saverio fucilato e il palazzo di famiglia bruciato (in poco tempo morirono di crepacuore anche la madre, l’altro fratello e la cognata). Nei giorni successivi la rivoluzione calabrese fu annientata, i volontari e il governo si sbandarono.
Musolino (con il nipote Giovanni Nicotera) fuggì a Corfù e poi a Roma, dove arrivarono quasi al completo gli altri dirigenti dei comitati di Cosenza e di Catanzaro. Cercò di promuovere una spedizione per rinnovare la rivolta in Calabria, ottenne il consenso del governo romano, ma Mazzini bocciò questa ipotesi e spostò l’obiettivo su Genova (episodio che acuì la tensione tra i due patrioti). Nella difesa di Roma guadagnò il grado di colonnello di stato maggiore, partecipò allo scontro di Velletri e alle ultime, drammatiche, giornate dell’assedio. Caduta la Repubblica, fuggì ancora una volta: a Napoli, infatti, la Costituzione fu abrogata e Musolino fu condannato a morte in contumacia. Si rifugiò in Francia, dove restò per anni, in condizioni economiche difficili, impartendo lezioni di italiano. Si dedicò soprattutto a studi sistematici sui problemi della società moderna e dello sviluppo industriale, mostrando larghezza di interessi su inedite questioni internazionali. Nel 1852 si recò in Inghilterra per sottoporre al governo inglese un originale disegno, che venne pubblicato postumo: riportare gli ebrei in Palestina, fondare uno Stato nazionale ebraico e sistemare la carta politica dell’Oriente. Il suo ardente temperamento si misurò soprattutto con il dibattito sulla questione nazionale che lacerava gli esuli. In questi anni giunse a una sistemazione più matura delle sue idee e concepì la sua opera maggiore: un’analisi delle rivoluzioni italiane del 1848 (anch’essa stampata dopo la sua morte). Si trattava di un lavoro emblematico della crisi della democrazia italiana ma anche del suo decennale contrasto con Mazzini, oggetto di una durissima requisitoria. Musolino ne demoliva la strategia e la filosofia politica, giungendo a metterne in discussione la lealtà rivoluzionaria e a progettare un movimento indipendente. In ogni caso, militò sempre nella democrazia radicale e si schierò a favore dell’iniziativa meridionale, anche se, a suo avviso, la sollevazione del Sud necessitava di uomini e mezzi adeguati, oltre che di un maturo ambiente politico. Il disastro di Sapri del 1857, in cui fu drammaticamente coinvolto il nipote Nicotera, confermò il giudizio negativo sull’azione mazziniana.
Il tentativo di elaborare una valida dottrina politico-sociale era un altro punto di dissenso tra i democratici. Musolino, di formazione atea e materialista, biasimò il misticismo sociale di Mazzini e si collegò alle idee di Giuseppe Ferrari e di Carlo Pisacane, pur non aderendo alle teorie dei socialisti francesi, con i quali spesso polemizzò. Immaginò invece un regime sociale che respingesse ipotesi comunistiche e si basasse sulla giustizia redistributiva, contrastando privilegi e abusi, garantendo a tutti la proprietà e riducendo le diseguaglianze. Una politica, questa, possibile solo nell’ambito della nazione: la rivoluzione europea era irrealizzabile perché lo sviluppo economico aveva modificato e reso ineguale la struttura sociale dei diversi paesi del continente. In Italia era compito di una élite illuminata, capace di guidare la rivoluzione e di trasformare il popolo in una forza d’urto, educare politicamente i ceti più umili e realizzare una costituzione sociale giusta.
Alla fine del decennio si avvicinò alla linea possibilista di Garibaldi, favorevole all’alleanza con il Piemonte moderato, e durante la seconda guerra d’indipendenza tentò di convincere Cavour a sostenere una impresa in Calabria. Nel luglio 1860 raggiunse Garibaldi in Sicilia, in vista dell’invasione del continente e gli fu affidato il piccolo corpo di spedizione, composto da alcuni dei migliori elementi dell’esercito meridionale, che l’8 agosto sbarcò nel continente per tentare un colpo di mano: la conquista del forte di Reggio Calabria. L’operazione però fallì e la colonna si ritirò sulla Sila, inseguita per alcuni giorni dalle forze borboniche. Il 19 agosto Garibaldi arrivò in Calabria e Musolino lo raggiunse, partecipando all’insurrezione delle province calabresi e alla trionfale campagna dei giorni successivi. Il 2 settembre fu inviato a Cosenza per organizzare una brigata di volontari, che prese il suo nome. Qualche giorno dopo raggiunse il fronte nel casertano, combattendo nella fase finale della campagna garibaldina, dal Volturno a Capua.
Nel gennaio del 1861 Musolino fu eletto nel primo parlamento italiano e venne confermato nella carica di deputato fino al 1880, allorché si dimise per motivi di salute. Il 12 giugno 1881 fu nominato senatore. Schieratosi nelle file della sinistra storica di Agostino Depretis e Francesco Crispi, si mosse in realtà sempre con una certa autonomia, scegliendo argomenti e posizioni del tutto personali, senza rinunciare ai principi maturati nella gioventù, intrecciando temi moderni con le proprie radici illuministe e carboniche.
Nei suoi interventi, densi di idee originali, spesso ardite e non realizzabili, affrontò il problema del completamento dell’Unità e confermò la spiccata sensibilità per la politica internazionale e le questioni economico-sociali. Appena eletto, presentò a Cavour un complesso progetto di legge per combattere la povertà e la miseria nazionalizzando tutte le terre incolte o abbandonate. Nonostante i toni radicali la sua visione, ribadita negli anni successivi, fu di tipo associativo e riformatore: quotizzazione demaniale, programmazione di una colonizzazione interna affidata ai comuni, imposta progressiva erano le proposte più significative. Denunciò gli abusi e le prepotenze causate dall’azione dei governi e dei proprietari, ma non si orientò verso l’Internazionale, restando all’interno della sinistra radicale, atea e antimazziniana.
Anche nel dibattito sul completamento dell’Unità criticò a fondo la Destra. Premessa della riflessione politica era l’interpretazione della questione romana: nel dicembre 1861 sostenne che la fine del potere temporale avrebbe aumentato il prestigio del papato. Tre anni dopo, fu tra i più convinti oppositori della Convenzione di settembre che il governo aveva stilato con la Francia di Napoleone III. Neppure porta Pia, a suo parere, risolse il rapporto tra i cattolici e lo Stato. Musolino impostò un parallelismo tra il problema del papato e quello dell’Internazionale, sostenendo che solo affrontando la questione sociale si poteva trovare una chiave per neutralizzare queste due imponenti minacce e arrivando a vagheggiare negli ultimi anni soluzioni quasi autoritarie e comunque la necessità di un rafforzamento dell’esecutivo. La politica estera fu il terreno preferito della sua azione parlamentare. Sviluppò iniziative originali e in qualche caso stravaganti, ma capaci sempre di andare oltre i confini del paese. Individuò nel mondo slavo il potenziale nemico dell’Europa, giungendo a proporre una coalizione europea contro la Russia, e sostenendo poi in Senato la Triplice Alleanza. Intervenne ripetutamente sulla questione ebraica e, soprattutto, su quella turca, giudicata strategica per le sorti della democrazia europea. L’Impero ottomano rappresentava l’unico baluardo contro l’espansione russa: occorreva difenderne ad ogni costo l’integrità politica e territoriale.
Nel 1883, ammalato, si ritiro nel suo paese, Pizzo, dove visse gli ultimi anni e morì il 15 novembre 1885.
Opere: Al popolo delle Due Sicilie, Napoli 1848; L’Inghilterra e l’Italia, Roma 1848; Il prestito dei 700 milioni e la riforma delle imposte, Torino 1863; Memorandum sur la guerre actuelle Turco-Moscovite, Roma 1877; Il trattato di Berlino, ibid. 1879; La situazione, ibid. 1879; La Riforma parlamentare, ibid. 1882; La Rivoluzione del 1848 nelle Calabrie, a cura di S. Musolino, Napoli 1903; La Gerusalemme e il popolo ebreo, a cura di G. Luzzatto, Roma 1951; Giuseppe Mazzini e i rivoluzionari italiani, a cura di P. Alatri, Cosenza 1982.
Fonti e Bibl.: G. Paladino, B. M., L. Settembrini e i figliuoli della Giovine Italia, in Rassegna storica del Risorgimento, X (1923), 4, pp. 831-874; D. De Giorgio, B. M. e il Risorgimento in Calabria, Reggio Calabria 1953; R. Cessi, B. M., in Almanacco calabrese, 1956, pp. 107-119; 1957, pp. 109-126; G. Berti, B. M., in Studi storici, I (1959-60), 4, pp. 717-754; Id., Nuove ricerche su B. M., ibid., II (1961), 2, pp. 30-53; B. Musolino. Il Mezzogiorno nel Risorgimento tra rivoluzione ed utopia, Atti del convegno... Pizzo ... 1985, Vibo Valentia-Milano 1988; cfr inoltre: G. Ricciardi, Una pagina del 1848 ovvero storia documentata della sollevazione delle Calabrie, Napoli 1873; L. Settembrini, Ricordanze della mia vita, Napoli 1879; O. Dito, La rivoluzione calabrese del 1848, Catanzaro 1895; G. Paladino, Il 15 maggio del 1848 a Napoli, Città di Castello 1921; M. De Stefano, Avanguardie garibaldine in Calabria, Reggio Calabria 1930; N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Torino 1932; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento: guerre ed insurrezioni, Torino 1969, ad indicem.