MORPURGO, Benedetto
– Nacque a Trieste il 15 agosto 1861, da Angelo e da Carolina Levi.
Svolti gli studi medi nella città natale, frequentò le Università di Roma e di Vienna, dove Ernst Wilhelm von Brücke lo scelse come dimostratore nell’istituto di istologia. Si laureò a Vienna nel 1884 e nello stesso anno si trasferì a Strasburgo per il perfezionamento in anatomia patologica sotto la guida di Friedrich Daniel von Recklinghausen, in chimica fisiologica, con Felix Hoppe-Seyler, e in clinica medica, con Adolf Kussmaul.
Dopo un breve soggiorno ancora a Vienna, entrò come assistente nella clinica di Achille De Giovanni, presso l’Università di Padova, e poi come volontario nell’istituto di patologia generale di Giulio Bizzozero a Pavia. Nel 1889-90 si recò a Roma presso la scuola di perfezionamento in igiene del Ministero dell’Interno, appena fondata per potenziare le ricerche nel campo della batteriologia. Nello stesso anno conseguì la libera docenza in patologia generale e fu nominato medico-ordinario e direttore, con la collaborazione di Vitige Tirelli, del laboratorio di patologia del R. Manicomio di Collegno. Due anni dopo divenne professore straordinario di patologia generale presso l’Università di Ferrara e, nel 1895-96 fu incaricato del medesimo insegnamento e della direzione del relativo laboratorio a Siena. Nominato l’anno seguente professore straordinario a Cagliari, il 20 ottobre 1897 si trasferì nuovamente a Siena.
Alla morte di Bizzozero, dopo una fase di temporaneo affidamento a Cesare Sacerdotti, la prestigiosa cattedra di patologia generale dell’Università di Torino e la guida del relativo laboratorio passarono, nel marzo 1903, a Morpurgo, il quale nel dicembre 1900 aveva raggiunto l’ordinariato. La presenza degli ebrei triestini nella comunità medica torinese, che già contava tra le sue fila Giovanni Levi ad anatomia e Alessandro Herlitzka a fisiologia, cresceva dunque con l’iserimento di un nuovo nome illustre. Socio di numerose istituzioni italiane e internazionali – tra cui l’Accademia dei Lincei, l’Accademia di medicina di Torino, la Deutsche Gesellschaft für Pathologie – Morpurgo diresse le ricerche del laboratorio di patologia del centro di studio e cura dei tumori, istituito nel 1925 presso l’ospedale S. Giovanni di Torino. Nel 1935 fu collocato a riposo per raggiunti limiti di età, con decorrenza dal 29 ottobre. Nella seduta del 31 ottobre del consiglio della facoltà di medicina e chirurgia, Herlitzka propose la sua nomina a professore emerito, ma la richiesta non ebbe seguito (Torino, Archivio storico dell’Università, Aggregato 1745, Facoltà di medicina e chirurgia, verbale delle adunanze dal 19 giugno 1934 ).
Emigrato in Argentina, Morpurgo riuscì a sfuggire alle discriminazioni e alle persecuzioni del razzismo fascista.
Il 30 novembre 1938, il suo successore alla cattedra di patologia generale – Gennaro Di Macco – si affrettò a comunicare al rettore che «nessun ambiente» dell’istituto era «a disposizione di persone non ariane». Precisando, a scanso di equivoci: «una camera nella quale, sia pure raramente, il prof. Morpurgo si tratteneva per ricerche e studi, è stata da me utilizzata per lavori speciali» (ibid., Carteggio classificato XIV. B 374, fasc. 4.2, personale).
Morì a Buenos Aires il 21 agosto 1944.
La sua attività scientifica si articola indicativamente in quattro distinti archi temporali. La prima fase comprende in particolare le ricerche condotte dal 1888 al 1898. Dopo un iniziale interesse propriamente batteriologico – nel 1886-87, in collaborazione con Riccardo Canestrini, per lo studio del bacillo komma – sulla scia di Bizzozero e della sua differenziazione tra elementi stabili, labili e perenni nei tessuti, focalizzò l’attenzione sulle leggi che regolano il rinnovamento cellulare nell’organismo. Analizzando le metamorfosi strutturali prodotte nei diversi tessuti dall’inanizione, dimostrò come quest’ultima, in forma acuta, causi l’atrofia semplice e contribuisca a ridurre, ma non ad arrestare del tutto, sia il processo di rigenerazione fisiologica sia quello dell’accrescimento e della riparazione di perdita di sostanza. Alla ripresa della nutrizione, negli elementi perenni non si rinviene alcuna moltiplicazione, mentre in quelli stabili e labili si ripristina l’attività cariocinetica. Di notevole interesse a questo proposito furono le ricerche condotte da Morpurgo con Canalis sulla minore resistenza dei polli contro il carbonchio in condizioni di digiuno: per la prima volta, e contrariamente all’opinione largamente diffusa all’epoca, veniva sottolineato il valore non assoluto dell’infettività dei batteri.
Le ricerche eseguite a Collegno con Vitige Tirelli sullo sviluppo dei gangli intervertebrali del coniglio fornirono un contributo fondamentale alla dottrina della stabilità degli elementi dei tessuti. In questi scritti, Morpurgo evidenziò come la moltiplicazione delle cellule nervose cessi assai presto nella vita embrionale, determinando di conseguenza in una fase precoce il numero degli elementi costitutivi del sistema nervoso. Inoltre, gli elementi specifici del ganglio non si differenziano tutti simultaneamente, per cui in periodi inoltrati dell’accrescimento e anche nell’adulto permane un certo numero di elementi piccoli con caratteri giovanili. Nel quadro di questo stesso filone di ricerca, Morpurgo dedicò particolare attenzione allo sviluppo dei muscoli volontari, precisando la collocazione del tessuto muscolare nella categoria dei tessuti a elementi perenni. Le fibre muscolari striate – sostenne nel 1899 – non si dividono: durante il periodo fetale le nuove fibre muscolari derivano da mioblasti rimasti indifferenziati; e poco dopo la nascita anche questo fenomeno cessa, il numero delle fibre risulta determinato e l’accrescimento ulteriore della muscolatura si produce per un aumento di volume delle fibre differenziate. Dagli studi dedicati in particolare al fenomeno dell’ipertrofia, emergeva inoltre con chiarezza l’aumento di volume di fibre preesistenti e specialmente di quelle più sottili, le quali potevano essere considerate come elementi in grado di crescere in risposta alle esigenze prolungate di un incremento di lavoro.
In una seconda fase, tra il 1900 e il 1908, Morpurgo si concentrò sullo studio di una particolare forma infettiva di osteomalacia in ratti albini, individuando in un diplococco il fattore eziologico che produce una forma malacica negli adulti e una rachitica nei giovani. Nel corso delle ricerche sull’osteomalacia e sulla rachitide, Morpurgo notò isole acalcari completamente chiuse nella sostanza calcificata, intorno alle cellule ossee distanti dalle cavità, fornendo così un rilevante contributo al dibattito scientifico sull’alisteresi (la diminuzione della parte minerale del tessuto osseo).
Nel periodo compreso tra il 1909 e il 1925, le esperienze di parabiosi, ovvero di unione artificiale di due individui della stessa specie, divennero il fulcro delle sue ricerche. In una prima serie di lavori, analizzò le conseguenze dell’estirpazione dei reni in una coppia di ratti albini in parabiosi. Se si estirpavano i due reni in uno dei componenti di una coppia, la funzione assente in uno degli animali veniva rapidamente assunta dall’altro. Il complesso parabiontico era accompagnato da ipertrofia funzionale della sostanza renale rimasta, come accadeva al singolo ratto privato di uno dei reni. Per quanto riguardava l’eliminazione dell’urina, la coppia parabiontica si comportava pertanto come un singolo individuo. Anche estirpando tre reni in una coppia, il rene unico assumeva la funzione urinaria e rispondeva con un aumento di volume adeguato all’eccezionale richiesta di lavoro. Il mantenimento di un elevato grado di autonomia da parte degli organismi in parabiosi rappresentava l’acquisizione più rilevante degli esperimenti di Morpurgo. Nei casi di compensazione renale insufficiente, tutti i fenomeni patologici risultavano sempre rigorosamente limitati al ratto privo di reni. Alcune sostanze, dalle quali dipendevano le manifestazioni morbose di insufficienza renale, erano trattenute dall’animale che le aveva prodotte oppure venivano rifiutate dall’altro che «pur sobbarcandosi ad eliminare le scorie del suo compagno» manteneva la capacità di «scegliere» fra di esse (Azzi, 1945, p. 1947).
In una seconda fase di studio, Morpurgo estese le sue indagini alla rigenerazione dei nervi in due ratti in parabiosi. Dopo aver formato un largo ponte muscolare tra i due ratti e aver scoperto i grandi nervi ischiatici, collegò artificialmente, suturandoli, il moncone centrale del nervo ischiatico del ratto destro con il moncone periferico del nervo omonimo del ratto sinistro. Dopo alcune settimane, l’esperimento evidenziò la rigenerazione del nervo e un quasi perfetto ristabilimento della funzione, benché il nervo rigeneratore risiedesse tra tessuti disaffini quali i nervi appartenenti a un altro individuo. Morpurgo sottolineava come, dopo parecchi mesi, gli eccitamenti sensitivi compiuti sull’arto di uno dei due componenti fossero percepiti anche dal compagno e provocassero sul suo arto sensazioni e movimenti riflessi. Pertanto, in queste condizioni sperimentali, il midollo spinale di un ratto riusciva a innervare il territorio periferico, sensitivo e motore anche di un soggetto estraneo.
Parallelamente, negli stessi anni Morpurgo si interessò degli innesti di tessuti, dimostrando come questi ultimi attecchiscano soltanto se autoplastici, ovvero appartenenti a uno stesso organismo. Nel caso di innesti omoplastici, ovvero tra individui della stessa specie, era possibile osservare che, tra il secondo e il terzo giorno dopo l’innesto, i vasi circostanti il tessuto innestato proliferavano e si protendevano fino a congiungersi con quelli dell’innesto. Tuttavia, dopo questo inizio favorevole, il lembo trapiantato diveniva bluastro e rapidamente si disseccava, per poi essere eliminato. La reazione dell’ospite contro il trapianto omoplastico si presentava pertanto agli occhi di Morpurgo come del tutto analoga a quella di tipo immunitario osservata a partire dal 1883 da Elie Metchnikoff nei suoi studi sulla fagocitosi. Intrecciando le acquisizioni sperimentali degli innesti omoplastici con i giovanili lavori sull’inanizione e sulla minorazione immunitaria nei polli tenuti a digiuno, Morpurgo riuscì a trovare alcune conferme alla propria ipotesi: con esperienze comparative di innesti omoplastici ed eteroplastici su due gruppi di animali – rispettivamente ben nutriti e tenuti a digiuno – risultò evidente come il digiuno protratto e l’inanizione favorissero l’attecchimento dell’innesto, confermando l’assimilazione delle reazioni ai tessuti innestati con le difese messe in atto dalla immunità naturale nei confronti delle infezioni.
L’ultima fase dell’attività scientifica di Morpurgo appare connessa al suo ruolo di direttore del Centro tumori di Torino. Le ricerche sperimentali realizzate in questo ambito risentirono ovviamente dei precedenti risultati ottenuti nel campo degli innesti e dei meccanismi di resistenza naturale alle infezioni e di difesa contro i tessuti eterogenei. In particolare, Morpurgo e i suoi allievi approfondirono il ruolo dell’apparato reticolo-endoteliale nella resistenza ai tumori, analizzando gli effetti del blocco di questo sistema (ottenuto con iniezioni di Bley Trypan) sullo sviluppo e l’accrescimento di specifiche forme tumorali. Un secondo ordine di studi riguardò invece il rapporto tra nervi e tumori e la valutazione dell’eventuale impossibilità dello sviluppo dei nervi nel tessuto tumorale.
Piuttosto pessimista sui livelli raggiunti dalla medicina dell’epoca nella comprensione del cancro e in particolare delle sue cause, Morpurgo elogiò nel luglio 1928, sulle pagine della rivista Gerarchia, l’impegno dimostrato dal regime fascista nel potenziamento delle forme di prevenzione e diagnosi precoce dei tumori, invitando i lettori a non considerare i centri di studio e cura recentemente costituiti a Torino e a Milano come «tribunali che pronunziano solo sentenze di morte», ma come «templi di scienza e di amore umano» (La lotta contro il cancro, in Gerarchia, VIII [1928], p. 542).
Le differenti ramificazioni dell’attività di ricerca di Morpurgo confluirono, nella seconda metà degli anni Venti, in un intenso sforzo di ridefinizione del concetto di costituzione, alla luce delle più recenti acquisizioni della patologia sperimentale e della genetica. Nel discorso letto il 5 novembre 1928 nell’aula magna dell’Università di Torino, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, egli criticava l’idea di «predestinazione patologica», individuando «l’essenza della costituzione» in un «complesso di caratteri biochimici, molti dei quali sono comuni a tutti gli individui di una specie, mentre altri sono proprii a ciascun esemplare, così che si può dire che nel suo insieme la costituzione di ogni individuo è individuale» (Costituzione individuale e malattia, in Annuario dell’Università di Torino, 1928-1929, pp. 20-21). Occorreva pertanto, secondo Morpurgo, affrontare il concetto di costituzione tenendo presenti le differenze tra fenotipo e genotipo e considerando le complesse interazioni tra fattori ereditari e condizionamenti ambientali. Gli effetti mutageni dei raggi Röntgen o i possibili danni genetici derivanti dalle unioni fra consanguinei erano soltanto alcuni degli esempi citati in questa sede da Morpurgo per delineare i cardini su cui avrebbe dovuto basarsi lo sviluppo futuro della ricerca medica in vista dell’obiettivo della «perfezione fisica e morale» della «stirpe» (ibid., p. 26): da un lato, l’intesa collaborazione tra medicina scientifica e biologia sperimentale; dall’altro, la considerazione delle implicazioni eugeniche dello studio delle mutazioni e della costituzione biochimica individuale.
Fonti e Bibl.: Torino,Arch. Storico del-l’Università, R. Università degli Studi di Torino, Carteggio classificato, XIV.B, faldone n. 191 bis, f. 1.3; Programmi dei corsi, faldone VII. 23, f. programmi dei corsi liberi e dei corsi ufficiali per l’anno scol. 1927-28; Carteggio classificato XIV. B 374, f. 4.2 personale; Aggregato 1.745, Facoltà di medicina e chirurgia, verbale delle adunanze dal 19 giugno 1934. Per una bibliografia completa delle opere di Morpurgo: cfr. G. Mottura, B.M., in Verhandlungen der Deutschen Gesellschaft für Pathologie, XXXIX (1956), pp. 430-36. Notizie sulla sua attività scientifica si trovano in: A. Azzi, B.M., in Giornale di batteriologia e immunologia, III (1928), pp. 3-8; Id., B.M., Ibidem, XXXIII (1945), pp. 145-48; B. Bruni - G. Tribbioli - S. Curtetti, Il Laboratorio neuropatologico del R. manicomio di Collegno, Torino 1996, p. 11; G. Pareti, Laboratorio e Moschetto. La scuola torinese di patologia e la propaganda fascista, in Quaderni di storia del-l’Università di Torino, II-III (1997-98), 2, pp. 117-43; P. Mazzarello, Il Nobel dimenticato. La vita e la scienza di Camillo Golgi, Torino 2006, pp. 113, 153.