MONTI, Benedetto
MONTI, Benedetto. – Nacque a Monte Giorgio di Fermo il 21 maggio 1799 da Vincenzo e da Anna Cecchi, modesti proprietari terrieri.
Dopo gli studi elementari a Roma, frequentò la facoltà di medicina presso l’Università di Bologna, dove si laureò. Cominciò la sua carriera come medico condotto a Brisighella, presso Ravenna, e nel 1825 progettò un Giornale clinico per la formazione dei medici condotti. Nel 1826 fu proposto da Maurizio Bufalini – suo maestro e sostenitore della scuola medica ippocratica – come suo sostituto nell’insegnamento di clinica medica all’Università di Urbino.
Gli anni del suo insegnamento in quell’ateneo furono animati e controversi e Monti non riuscì mai a instaurare rapporti di collaborazione con i suoi colleghi: nel 1827 dovette difendersi dall’accusa di materialismo avanzata contro di lui da esponenti dell’ambiente accademico a proposito di un articolo apparso sul periodico bolognese Osservatore de’ costumi. Il fatto più grave avvenne nel 1829 quando, a causa della gelosia nei confronti della giovane moglie (la bolognese Angiola Rosaspina, sposata due anni prima), Monti si rese colpevole di aggressione armata nei confronti del presunto rivale e fu incarcerato per ordine del Tribunale criminale di Pesaro: fu costretto a difendersi dall’accusa penale e nello stesso tempo a tentare di non perdere l’incarico all’Università. Ancora una volta si pronunciò a suo favore Bufalini, che sostenne la momentanea infermità mentale e l’accidentalità del possesso dell’arma. Nel 1830 Monti ottenne clemenza ma l’ostilità dell’ambiente urbinate non gli consentì di mantenere la cattedra. Nel 1831 si trasferì dunque all’ospedale di Tivoli, dove svolse il ruolo di medico primario. L’ultimo atto della fase urbinate fu la pubblicazione del Metodo intellettuale della scienza della vita e del procedimento logico dell’arte medica: prolegomeni alle istituzioni di medicina teorico-pratica (Pesaro 1831), opera diretta agli studenti nella quale è possibile cogliere i primi indizi della sua successiva riflessione filosofica.
Nel corso della permanenza a Tivoli (dove morì la prima moglie) si avvicinò a Vincenzo Gioberti, Niccolò Tommaseo e ad Antonio Rosmini, nonché a Francesco Puccinotti, medico di ispirazione ippocratica, con i quali intrattenne un importante carteggio. Risposatosi con l’anconitana Genoveffa Luciani, nel 1837 fece ritorno nelle Marche, chiamato ad Ancona come medico comunale durante l’epidemia di colera.
Nel 1840 fu nominato direttore del nuovo manicomio di Ancona, fondato da Benedetto Vernò, padre generale dell’ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli, e inaugurato il 14 marzo. Dovendo provvedere all’organizzazione del nuovo istituto, ebbe modo di mettere a frutto la propria cultura medica e filosofica. Nel 1841 furono pubblicate le Leggi statutarie e regolamento disciplinare pel nuovo ospizio per la cura fisico-morale dei mentecatti eretto in Ancona [...] Preceduti da un ragionamento intorno alla dottrina generale delle malattie mentali (Loreto 1841): la sua dottrina sulle malattie mentali rappresenta uno dei primi tentativi di elaborazione della nuova disciplina.
Il Regolamento appare ispirato alla terapia morale di Philippe Pinel, caratterizzata da forte attenzione alla pedagogia rieducativa, e rappresenta una compiuta opera di filosofia medica. Monti vi costruisce un sistema classificatorio nel quale trovano posto sia le affezioni materiali sia quelle psicologiche: il bravo medico deve mirare alla ricomposizione di soma e psiche. Anche in questo contesto non mancano le osservazioni polemiche nei confronti del sensismo – corrente prevalente della nuova scuola medica italiana – che tralascia di considerare l’importanza delle forze vitali dello spirito e della forza medicatrice della vita, distogliendo la gioventù medica dalla retta via.
Nel 1841 pubblicò a Bologna il Saggio intorno al fondamento, al processo ed al sistema delle umane conoscenze, lavoro di netta ispirazione rosminiana nel quale volle elaborare un sistema della conoscenza della verità quale valore a un tempo intellettuale, morale, politico e civile. Nello stesso anno pubblicò inoltre ad Ancona il trattato Della necessità di proscrivere dalle scuole mediche italiane l’insegnamento eccitabilistico e di restaurarvi i principi della clinica ippocratica, dedicato all’ippocratico Puccinotti in esplicita polemica con Giacomo Tommasini. Il saggio ebbe una notevole risonanza e suscitò molte polemiche; si intensificò quindi il carteggio con i già ricordati esponenti della cultura cattolica, anch’essi avversari dell’empirismo scettico e ateo. Per loro tramite, Monti entrò in contatto epistolare anche con Massimo d’Azeglio e Luigi Carlo Farini.
La sua tensione professionale, civile e filosofica trovò notevole slancio nel 1846, anno dell’elezione di Pio IX e delle prime riforme introdotte nello Stato pontificio: salutò pubblicamente le iniziative del pontefice con un discorso diretto al «popolo romano » riportato nel manifesto In attestato di riconoscenza e di unione al popolo romano (pubblicò poi il Proemio ai Componimenti raccolti in occasione delle feste fatte in Ancona ad onore dell’immortale Pio IX pontefice massimo, Ancona 1846); dello stesso anno è anche il lavoro Dell’origine, della certezza e dello sviluppo dell’umana conoscenza con esame critico del sistema filosofico di Vincenzo Gioberti (Ancona). Altro richiamo alla formazione dei giovani, per i quali è importante disporre di opere elementari di fisiologia e di filosofia medica «spiritualista», con presentimenti e timori verso il positivismo applicato alle scienze mediche, è rappresentato dall’opera Intorno al sistema degli esseri in generale e alla natura dell’uomo in particolare (Ancona 1847).
I rivolgimenti del 1848 portarono Monti a manifestare apertamente i propri sentimenti patriottici: scrisse a Michelangelo Caetani, presidente del riformista e moderato Circolo romano, un libello dedicato a Gioberti «in testimonianza di esultanza pel suo ritorno in Italia» intitolato Intorno alla confederazione dei popoli italiani (Ancona 1848), nel quale si augurava che i cambiamenti non fossero affidati alle armi, ma a una assemblea eletta presieduta da Pio IX , con Carlo Alberto a capo dell’esecutivo. Dal dicembre del 1848 partecipò alla Commissione medico-chirurgica di 12 membri incaricata da Terenzio Mamiani di preparare relazioni e piani di politica sanitaria, mentre la Giunta di Stato lo nominò deputato costituente per la città di Fermo, incarico che però rifiutò perché in disaccordo con i radicalismi della Repubblica romana. Le successive vicende politiche lo costrinsero a fuggire da Ancona: si rifugiò a Torino dove accettò il compito conferitogli da Gioberti – presidente della Società nazionale per la confederazione italiana – di formare comitati locali nel circondario di Ancona. Tornato alla direzione del manicomio, nel 1850 riprese gli studi filosofici, ragionando sull’unione tra pensiero politico e tradizioni religiose ed esprimendosi a favore del progresso sociale da svilupparsi senza rivoluzioni e senza cedimenti all’enciclopedismo ateo. Scontento del suo incarico, nello stesso periodo si raccomandò agli amici Rosmini, Gioberti, Farini, d’Azeglio e altri per ottenere una cattedra di logica e metafisica a Torino oppure la direzione del manicomio di Nizza, ma nessuno dei suoi tentativi ebbe buon esito.
Nel 1859, quando Ancona si sollevò contro lo Stato pontificio, riprese l’attività politica: con Ferdinando Cresci, Mariano Ploner e Raffaele Feoli, fu membro della giunta provvisoria di governo che nell’estate decretò la decadenza del potere temporale del papa, ma dopo poco dovette fuggire, rifugiandosi prima a Milano e poi nuovamente a Torino. In seguito fu nominato da Farini docente di polizia medica e igiene presso l’Università di Bologna. Il 3 novembre pronunciò la sua prolusione Dell’uomo come soggetto ed oggetto della pubblica igiene e della polizia medica (Milano 1859).
Dopo i plebisciti del 1860, con l’annessione al Regno d’Italia dell’Emilia e delle Marche, gli fu affidata a titolo gratuito anche la direzione della clinica delle malattie mentali dell’Ospedale S. Orsola di Bologna, dove si trovò a contatto con illustri esponenti della restaurazione ippocratica e divenne membro del Consiglio superiore di sanità. Gli fu allora conferito l’Ordine cavalleresco di S. Maurizio e Lazzaro. In quell’anno intervenne più volte pubblicamente sul tema della politica sanitaria: in occasione dell’apertura dell’anno accademico (Della igiene pubblica, della polizia medica, della medicina legale e della loro coordinazione sintetica e del principio unitivo nel quale si congiungono, Bologna 1860), e delle celebrazioni per il 38° anniversario della fondazione della Società medico chirurgica di Bologna (Della legge suprema del bene e del male della vita sociale e del rapporto della igiene pubblica colla scienza dell’incivilimento delle nazioni, in Bullettino delle scienze mediche, s. 4, 1861, vol. 15, pp. 35-61).
Nello stesso 1861, divenuto tra l’altro socio corrispondente della Società medico- psicologica di Parigi, si dedicò a lavori relativi alla questione romana e alla riforma degli studi in Italia.
Al primo argomento dedicò Della chiesa cattolica ne’ suoi rapporti colla nuova organizzazione politica del Regno d’Italia, Bologna 1861, riflessione apprezzata da Cavour, e Lettere dell’illustre Nicolo Tommaseo e del prof. Benedetto Monti relative alla igiene ed alla quistione romana, Bologna 1861): in nome dell’uguaglianza e fraternità delle nazioni manifestò entusiasmo per la fine del potere temporale e, nello stesso tempo, sostenne la necessità della completa autonomia del fronte spirituale. Quanto alle proposte avanzate dal governo per migliorare la formazione dei giovani, pubblicò le Considerazioni intorno alla riformazione degli studi (I e II parte, Bologna 1861) e le Considerazioni generali circa il progetto ministeriale relativo alle riforme degli studi del Regno d’Italia lette alla Commissione del Collegio medico- chirurgico dell’Università di Bologna (Bologna 1861).
Tornò a difendere la scuola medica ippocratica anche in occasione della morte di Cavour, sottoposto, secondo la prestigiosa rivista medica inglese The Lancet, a una eccessiva applicazione del salasso. Colse allora l’occasione per ribadire le proprie posizioni circa il contrasto tra spiritualisti e sensisti e alla necessità di conciliare politica, scienza e cattolicesimo (La malattia del conte di Cavour giudicata in un articolo del giornale medico d’Inghilterra La Lancet, Bologna 1861; Al presidente della R. Accademia di medicina di Torino: risposta [...], Bologna 1861).
Quando Farini, governatore delle Regie province dell’Emilia, decise di istituire il Corpo amministrativo centrale degli ospedali e di riformare il S. Orsola, Monti partecipò all’iniziativa nel suo triplice ruolo di docente universitario, direttore della clinica di malattie mentali e, dal 22 marzo 1861, anche medico direttore del manicomio del S. Orsola. Fu tra i membri della commissione istituita nel 1862 per proporre rimedi per una migliore cura degli alienati e con l’architetto Ignazio Gardella si dedicò alla progettazione, mai realizzata, di un nuovo edificio destinato a rappresentare il manicomio ideale sul modello di quello di Chambery.
Nell’anno successivo si radicalizzarono i contrasti tra Monti e gli altri sanitari da una parte e il corpo amministrativo dall’altra e la polemica ebbe vasta eco sulla stampa. Egli lanciò numerosi appelli (Al sig. vice presidente del Corpo amministrativo degli spedali di Bologna, Bologna 1863; All’illustrissimo sig. avvocato Clemente Taveggi vice presidente del Corpo amministrativo degli spedali di Bologna, Bologna 1863), ma la vicenda finì con la destituzione sia di Francesco Rizzoli sia di Monti, allontanato dalla direzione del manicomio all’inizio del 1864.
Queste ultime vicende ebbero forti ripercussioni sulla sua salute. Inaugurò per l’ultima volta l’anno accademico con una prolusione sui Principi fondamentali circa alla riforma degli studi in Italia (Bologna 1865), ma poco dopo venne colto da congestione cerebrale; sopravvisse per quattro anni senza conoscenza e morì il 1° settembre 1869. Venne sepolto nella Certosa di Bologna e in suo ricordo fu posta una lapide.
Monti ebbe due figli dalla prima moglie: Decio, compositore e accademico di Santa Cecilia, e Paolo, studente di medicina morto nel 1848 a seguito di malattia contratta durante la difesa di Roma; dal secondo matrimonio nacquero Alberto, avvocato, Lorenzo, medico alienista che lavorò presso il manicomio di S. Benedetto di Pesaro, ed Elena, morta bambina.
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