GIACOBINI, Benedetto Ludovico
Nato a Fobello, in Valsesia, il 5 ag. 1650 da Francesco e Margherita de' Neri (o Negri), dopo aver trascorso un breve periodo a Nancy, in Francia, insieme con i fratelli Giacomo e Gianfrancesco, dal 1666 fu per sei anni ad Aosta a fianco del fratello Antonio, pittore, che ne dipinse più tardi il ritratto per la sacrestia di S. Gaudenzio a Varallo Sesia, mostrandolo di bassa statura e di lineamenti rustici. Ad Aosta dimorava presso il canonico della cattedrale della città, dal quale fu avviato allo studio delle lettere, della retorica e della filosofia. Tornato a Fobello, il 17 sett. 1672 ricevette la tonsura da monsignor G.M. Maraviglia, vescovo di Novara. Ultimata la formazione presso i gesuiti di Novara - dove si dedicò soprattutto allo studio della teologia morale e del canto fermo -, il 26 genn. 1676 fu ordinato sacerdote da monsignor G. Caramuele, vescovo di Vigevano. Dal 12 maggio 1677 fu parroco a Cressa (presso Borgomanero, nel Novarese), dove rimase fino al 1704. Male accolto in principio dalla popolazione, ne vinse la resistenza con umiltà e pazienza, distinguendosi per povertà di vita e grande carità (fu per questo detto "padre dei poveri").
Nel 1704 gli fu proposto da G.B. Vincenti, vescovo di Novara, di concorrere per la successione al canonico De Zoppis alla prepositura di Varallo Sesia e della collegiata: avendo egli rifiutato, fu indotto all'ubbidienza dallo stesso vescovo e prescelto dalla commissione nominata all'uopo. Il 18 genn. 1705 abbandonò così Cressa per Varallo, dove rimase fino alla morte, eccezion fatta per un breve periodo di esilio nel 1711, a seguito del passaggio della Valsesia sotto la giurisdizione dei Savoia.
Tale passaggio provocò, infatti, un urto tra la politica ecclesiastica sabauda e la situazione patrimoniale dei canonici locali: a seguito di un editto che proibiva agli ecclesiastici di accettare benefici senza il placet regio, intaccando così l'immunità ecclesiastica, il G. impedì ai funzionari regi, già scomunicati da Roma, di accostarsi ai sacramenti e fu per questo allontanato.
La condotta coerente e integerrima tenuta in questa circostanza gli valse la stima duratura proprio di casa Savoia - soprattutto di Vittorio Amedeo II, che gli indirizzò varie lettere e lo avrebbe voluto a capo di un vescovato nei suoi Stati - e parecchie attestazioni di rispetto, fra cui quella di Clemente XI, che lo richiese a Roma, e del conte Carlo Borromeo, che nei mesi dell'esilio gli propose di seguirlo a Napoli. Proposte tutte che il G. rifiutò, desiderando unicamente riprendere la cura delle anime della sua parrocchia. Fu lo stesso Vittorio Amedeo II a suggerire il nome del G. per il vicariato generale della Valsesia, che egli aveva richiesto a Roma dopo che la valle si era trovata politicamente sotto la giurisdizione sabauda, pur continuando ancora a far parte della diocesi di Novara, i cui territori erano aggregati al Ducato di Milano.
A Varallo, con l'aiuto della principessa di Masserano e di altri benefattori, il G. promosse la riedificazione della chiesa di S. Gaudenzio, eretta in collegiata nel 1669, e incoraggiò il popolo a portare a termine la costruzione del santuario del Sacro Monte: una grande cura per il decoro dei luoghi di culto contraddistinse sempre la sua pratica pastorale (già a Cressa aveva fatto erigere, parzialmente a sue spese, una chiesa nuova, consacrata nel 1698), unitamente al gusto della liturgia, alla chiara esposizione della dottrina e alla predicazione, curata anche nei giorni non di precetto. Diede anche un forte impulso alla confessione, ai sacramenti, all'evangelizzazione, secondo i tratti di un'ascetica di marca ignaziana che dava grande spazio alla cura delle anime, accanto a un'ardua disciplina e a un programma educativo fondato su rinuncia e carità; ma soprattutto fu noto e ammirato per gli esercizi spirituali che organizzò dal 1676 al 1723, rivolti agli altri sacerdoti dell'intera diocesi: esercizi per i quali dettò in latino alcuni Proponimenti, che L.A. Muratori pubblicò a Padova nel 1753.
Proprio all'insigne storico modenese, e alla sua volontà di conservare la memoria della vita e delle azioni del vicario di Varallo, il G. deve la sua fama tra i contemporanei. I due si conobbero nel 1699, allorché, dottore presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, il Muratori seguì per qualche giorno il conte Carlo Borromeo nel paesino di Cressa, mosso a curiosità proprio dalla fama di santità del parroco. Spinto dall'impressione che la vita austera e la devozione del G. aveva lasciato sul suo animo, già nel 1713 - ancora vivente il G. - l'erudito esortò il vescovo di Novara, Giberto Borromeo, a "ricercar segrete informazioni di tutte le virtù e belle azioni d'esso Giacobini, finché viveano coloro che sul principio della sua religiosa carriera l'aveano conosciuto", e nel giugno aveva rivolto la stessa richiesta a Carlo Borromeo, motivando l'urgenza di raccogliere testimonianze con la sua personale esigenza di trarne vantaggio e profitto spirituale (Andreoli, p. 285). Di nuovo, in una lettera del 29 agosto successivo: "Le notizie desiderate ora serviranno a me d'istruzione e di stimolo. Se poi sopravvivessi potrebbero servire per istruzione d'altri e gloria di lui" (ibid.). Le richieste furono rinnovate in una lettera del 10 dic. 1718, con la quale il Muratori si offriva di scrivere la vita del Giacobini. Alle suppliche del Muratori il vescovo Borromeo, ora elevato alla porpora, rispose tuttavia solo dopo la morte del G., con una lettera circolare ai parroci della diocesi, datata 6 giugno 1734, con la quale invitava chiunque l'avesse conosciuto a redigere la propria testimonianza. Dalla raccolta di questo materiale nacque la biografia, edita nel 1747, che rispondeva dunque a un intento non erudito-conservativo, ma di personale edificazione. L'esempio del G., insieme con quello del padre Paolo Segneri jr., di cui ugualmente il Muratori aveva scritto la vita nel 1720, giocò un forte ruolo nell'orientare l'erudito modenese alla vocazione pastorale, poi realizzata per diciassette anni - dal 1716 al 1733 - presso la parrocchia di S. Maria della Pomposa a Modena. La stesura della biografia del G. si poneva così al termine di un cinquantennio di interesse dell'autore per la figura del G., quale esempio incarnato di un ministero pastorale incentrato su evangelizzazione e pratica dei sacramenti, umiltà, orazione e carità. La vita muratoriana del G. ebbe grande e immediata fortuna: fu tradotta in latino dal conte Pietro Strassoldo di Gorizia, affinché potesse essere diffusa anche nel mondo tedesco; alla metà del Novecento era ancora letta nei seminari italiani.
Il G. morì a Varallo, dove è sepolto, nella notte del 1° apr. 1732.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Lettere particolari, m. 29, 1728; L.A. Muratori, Trattato di carità cristiana in quanto essa è amore del prossimo, Bassano 1758, p. 319; Id., Vita dell'umile servo di Dio B. G. preposto di Varallo e vicario generale di Valle di Sesia, Padova 1747 (nuova ed. critica a cura di A. Stoppa, Novara 1977); P. Morandi d'Omegna, Compendio della vita del sacerdote e buon servo di Dio B.L. G., Milano 1751; G. Cattaneo, Commemorazione del II centenario della morte del venerabile servo di Dio sac. B.L. G., Castelletto Ticino 1932; G. Romerio, I prevosti più illustri della insigne collegiata di Varallo. L. Ravelli; ven. B.L. G., Varallo 1933; G. Cavigioli, Profilo di B.L. G., Varallo 1943; A. Andreoli, Nel mondo di L.A. Muratori, Bologna 1972, pp. 283-285, 349 s.; F. Ponti, L.A. Muratori e il prevosto di Varallo B. G., in Novarien, V (1973), pp. 126-136; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX, coll. 1194 s.