LOMELLINI, Benedetto
Nacque a Genova nel 1517 da una delle maggiori famiglie della città: i suoi genitori erano David e Bianca Centurione. Nulla si sa dei suoi primi anni e della sua formazione, eccetto che compì studi giuridici, forse a Roma, come prima tappa per la carriera curiale. Presso la Sapienza il L. divenne titolare del corso serale di diritto civile a partire dal 1542. Negli anni successivi, acquisì le cariche di referendario apostolico, di abbreviatore del parco maggiore e di segretario apostolico (1551). Il genealogista ottocentesco N. Battilana gli attribuisce un figlio naturale, di nome Ascanio.
Durante il pontificato di Paolo IV, nel quadro del crescente coinvolgimento della finanza genovese nel funzionamento della Camera apostolica, il L. acquistò, in data imprecisata, un chiericato della Camera e divenne uno dei referenti informali della Repubblica di Genova nei rapporti con la Curia, come prova il suo coinvolgimento nella complessa vicenda politico-religiosa legata all'espulsione dei monaci agostiniani conventuali dal monastero di S. Agostino di Genova, sostituiti dai confratelli della Congregazione osservante di Lombardia (settembre 1556) e della lunga vertenza giudiziaria che ne scaturì. Il favore di Paolo IV si manifestò anche nella inclusione del L. nel seguito del cardinale Carlo Carafa, inviato nel 1557 come legato presso la corte di Filippo II nelle Fiandre.
È con il papato di Pio IV che la carriera curiale del L. conosce un vero salto di qualità: nel febbraio 1562 venne nominato commissario apostolico per indagare nella terra di Bolsena circa le accuse di gravi delitti mosse dalla Comunità al governatore, il cardinale Tiberio Crispi, e sugli atti di ribellione che quest'ultimo a sua volta aveva denunciato. Nel novembre successivo, fu nominato prefetto dell'Annona di Roma e dello Stato pontificio e quindi fu gratificato da Pio IV di un donativo di 2500 scudi d'oro in ragione delle sue pie opere e delle fatiche al servizio della S. Sede. Non sono chiari, allo stato delle conoscenze, i motivi per cui, il 12 marzo 1565, Pio IV decise di elevare alla porpora il L., con il titolo di cardinale diacono di S. Maria in Aquiro - che avrebbe lasciato pochi mesi dopo per quello di S. Sabina -, al punto che il cardinale Prospero Santacroce, nel tracciare in quello stesso anno un profilo dei componenti il S. Collegio, lo definiva, con evidente malignità, mediocriter literatus, dicendosi meravigliato che gli fossero stati concessi il chiericato di Camera e altri uffici. A ogni modo, dopo esser stato per alcuni mesi amministratore apostolico del vescovado di Ventimiglia, nel settembre 1565, fu consacrato vescovo di Luni e Sarzana, dove però si recò soltanto nella primavera del 1568. Qui, in ossequio ai decreti del concilio di Trento, effettuò la visita pastorale della diocesi, servendosi peraltro di commissari appositamente delegati, e, infine, celebrò il sinodo diocesano. Sull'esempio di Carlo Borromeo, con il quale intrattenne una lunga corrispondenza, il L. fece subito stampare le costituzioni sinodali (Constitutiones et decreta condita in dioecesana sinodo Lunensi et Sarzanensi, Genuae, Apud Antonium Bellonum, 1568) che, tuttavia, suscitarono le vibrate proteste del capitolo della cattedrale di Sarzana, i cui canonici lamentavano di non essere stati consultati, come da tradizione, né di essere stati interpellati nella provvista dei benefici. L'annosa contesa che ne derivò con il capitolo sarzanese, unita allo scarso interesse del porporato a risiedere lontano da Roma e da Genova, lo spinsero nel 1569 a rientrare alla corte papale. Qui peraltro si trovò in una posizione del tutto defilata: egli era, infatti, privo di grandi risorse economiche, come testimonia il fatto che gli fu assegnata una pensione di 1000 scudi, in quanto cardinale povero, nel concistoro del 6 febbr. 1569. Inoltre era forse percepito, negli ambienti legati a Pio V, come figura troppo legata alla Repubblica di Genova e alla Spagna, e in generale era considerato, secondo quanto riferiva l'ambasciatore Juan de Zúñiga a Filippo II "por hombre de poco fundamento". Ciò forse contribuisce a spiegare la ragione per cui il L. rimase sostanzialmente in ombra rispetto alla politica curiale, come proverebbe anche il fatto che fu membro della sola congregazione del Concilio dal 1572 alla morte. È comunque certo che il L. mantenne il ruolo di mediatore informale, ancora tutto da studiare, nei rapporti tra la Repubblica di Genova e i pontefici: basti pensare all'esercizio del patrocinio per l'assegnazione di benefici e vescovadi nel territorio governato dalla Repubblica. Ne è indizio il fatto che fu lui, nel maggio 1571, a informare Pio V della disponibilità delle autorità genovesi a tradurre a Roma, per esservi inquisito, un certo Battista Sannazaro, detto Rosa, che remava sulle galere. Allo stesso modo occorrerebbe analizzare i legami del L. con la vasta rete di interessi economici e finanziari genovesi attivi sulla scena romana.
Scarsi e indiretti sono gli elementi noti sugli orientamenti religiosi del Lomellini. Benché fosse in rapporti di amicizia con G. Paleotti e si professasse servitore del cardinale Borromeo - anche in quanto creatura di Pio IV -, egli appare, allo stato delle conoscenze, figura di secondo o terzo piano nel panorama del S. Collegio, sebbene siano documentati nei diari concistoriali del cardinale G.A. Santori alcuni suoi interventi in questioni puntuali di diritto beneficiario. Nel 1578 l'ambasciatore veneziano A. Tiepolo riporta che era stimato come "buona persona e neutrale".
Con l'elezione di Gregorio XIII, conosciuto all'epoca della legazione del cardinal Carafa, le sorti del L. ebbero un miglioramento: nel marzo 1572 il papa lo trasferì dalla sede vescovile di Luni e Sarzana a quella di Anagni, "per la vicinità et commodità di poter far la ressidenza, et debito mio, senza mio incommodo et spesa intollerabile", come scrisse in una missiva al cardinale Borromeo (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., F.97 inf., c. 498r, 2 apr. 1572). Solo nel dicembre di quell'anno il L. si recò nella sua nuova sede, dove compì la visita pastorale e tenne il sinodo diocesano.
Nel giugno 1573 il L. era di nuovo a Roma, dove lo aveva chiamato Gregorio XIII per conferirgli il governo della provincia di Campagna e Marittima. Il porporato ritornò successivamente ad Anagni da dove - stando a quanto rispose alle esortazioni alla residenza pervenutegli dal Borromeo - pensava di esercitare le cure del governo pastorale della diocesi e quelle del governo temporale della provincia. Di lì a breve, l'esplodere della guerra civile a Genova (marzo 1575) ricondusse a Roma il L., membro - come tutta la sua famiglia - della fazione dei "vecchi". Partecipò al concistoro in cui Gregorio XIII comunicò la decisione di inviare il cardinale Giovanni Morone quale legato pontificio a Genova. Da parte sua il L. scrisse al Borromeo di essere stato chiamato dalla nobiltà genovese a svolgere opera di rappresentanza informale presso il papa, non senza lamentare i pesanti costi che gli richiedeva il vivere nella città eterna. Infine, nel marzo 1576, quando la situazione genovese si era ormai placata, ebbe da Gregorio XIII il permesso di ritornare ad Anagni. Poco o nulla si conosce dei suoi ultimi anni che visse tra Anagni e Roma.
Il L. morì a Roma il 29 luglio 1579, secondo quando indica l'iscrizione fatta apporre da Goffredo Lomellini sulla sua sepoltura nella chiesa romana di S. Gregorio al Celio.
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